Navigando in internet, da amante incallito di films horror e subito dopo aver visto uno dei capitoli della mitica saga di “Wrong Turn”, mi ero imbattuto casualmente in un sito che ha come oggetto luoghi ed edifici abbandonati in Italia e nel resto del mondo. La curiosità era troppa ed i clicks sono stati tantissimi; la cosa poi è divenuta virale, nel senso che la riga di ricerca di Google ha dovuto per forza di cose fornirmi molti altri risultati utili sullo stesso argomento (altrimenti l’avrei fusa…) ed ho iniziato così a farmi una cultura. Fino a quando ho deciso di dedicare un’intera giornata alla scoperta di due di quegli ambienti dimenticati, uno volutamente e l’altro un po’ meno. Ammetto che la cosa può sembrare macabra ai più, ma anche questo ha accresciuto a modo suo il mio bagaglio di esperienze.
Partenza come sempre notturna, con mia lunga dormita sui sedili del bus ed autisti che mi scarrozzano in giro per lo “stivale”. Ovviamente li ringrazio per il servizio che svolgono. Arrivo a Milano di primissima mattina, prendo la solita metropolitana, il solito bus n. 73 e giungo a Linate dove attendo l’apertura del desk per il ritiro della macchiana a noleggio. La prima destinazione questa volta non necessita di ore di guida per essere visitata. Imposto il navigatore affinchè mi dia una mano a raggiungere Via Monte Grappa n. 40 a Limbiate senza fare chissà quali giri e, dopo davvero poco, ci sono. Davanti a me c’è l’ingresso del complesso in cui si trova il mio obiettivo, cioè l’ex manicomio di Mombello. A casa avevo letto già molte cose in proposito e visto tante foto, per cui sono già al corrente del fatto che, varcata quella porta che non ha alcun tipo di controllo o di accesso limitato, avrei trovato due mondi completamente differenti: il primo, quello normale, in cui alcuni palazzi sono la sede di una ASL perfettamente attiva (ecco perchè l’accesso all’area non è sorvegliato); il secondo, quello difficile da credere, in cui circa 10-12 edifici sono oggi completamente morti, mentre un tempo erano utilizzati anche troppo come ex casa di cura per malati mentali. Questi tempi di cui parlo non sono neanche molto lontani poichè la legge che ha sancito la chiusura dei manicomi non è troppo datata; va poi aggiunto che da quel momento “burocratico” fino alla chiusura vera e propria di questi luoghi c’è voluto ancora un po’ per riorganizzare in qualche modo (e male, come sempre…) le vite degli ospiti delle strutture. Facendo due rapidi calcoli ci si rende conto che la cosa davvero macabra non è entrare ora in quegli edifici abbandonati esclusivamente per una visita, ma come un mondo che riteniamo civile abbia potuto praticare fino a ieri certe barbarie mascherandole col nome di “cure” su coloro che non si sapeva come aiutare.
Avevo studiato molto bene la diposizione degli edifici con le foto dall’alto di “Google Maps”, per cui so bene dove andare. L’interno del complesso è tenuto molto bene: c’è tanto verde, direi anche molto ordinato. Per terra tantissime foglie gialle cadute dagli alberi della zona perchè…non l’ho ancora scritto…ma è il 31 ottobre…cioè Halloween per gli americani e per chi di noi sta facendo sua questa festa, anche se non fa parte minimamente della nostra tradizione.
Ma per chi ci vuole credere, cosa ci può essere di meglio di visitare un ex manicomio lasciato al suo destino da anni proprio in quel giorno ? Studio anche di persona la zona perchè una cosa è leggere dei racconti e vedere delle foto, mentre tutt’altro è esserci davvero; mi guardo intorno e decido di entrare nel primo edificio che ho di fronte. Sono armato di macchina fotografica e torcia elettrica con batterie ultra-cariche poichè, ovviamente, non esiste elettricità da nessuna parte e diverse stanze dove non batte la luce del sole sono totalmente buie.
Sin dall’inizio il panorama è a dir poco spettrale: non bastava il corso degli anni senza alcuna manutenzione; a dare una mano ci ha pensato anche l’uomo. Infatti, non tutti i visitatori come me sono civili: vedo di tutto per terra, dalle lattine/bottiglie di birra a cumuli di immondizia; più avanti vedrò anche oggetti andati a fuoco con la cenere ancora in bella vista; altri oggetti rotti e divelti per non parlare ovviamente di tutta la roba che è stata letteralmente saccheggiata dai soliti vandali e sciacalli di turno. In una parola sola: un letamaio. Giuro che mi ha fatto più schifo ciò che ha fatto l’essere umano di ciò che ha fatto il tempo trascorso inesorabilmente, ma questa non è più una novità. Ma non mi trovo lì per l’immondizia, per cui decido mio malgrado di soprassedere e di procedere oltre come da programma. Alzo gli occhi per inquadrare l’intero corridoio che ho davanti: sembra davvero, sin da subito, di essere all’interno di uno di quei films che mi piacciono tanto e che mi tengono col fiato sospeso dall’inizio alla fine (quando sono fatti bene…); o addirittura in un videogame in cui, da un momento all’altro, può spuntare il pericolo di turno che tenta di avvinghiarsi alla gola. Ma tutto questo vive solo dentro di me; la realtà è ben altra e la scopro passo dopo passo.
Procedo nel tetro corridoio ed entro, con l’aiuto della mia compagna di viaggio (la torcia elettrica) in ogni singola stanza e, dove sono presenti, anche nelle altre stanze che si diramano ancora più verso l’interno. Tutto ha uno stato di totale desolazione. Ci sono moltissimi bagni, ma questo è normale. Pare che, quando venne chiuso, l’ex manicomio ospitasse una marea di pazienti. Si riconoscono senza problemi luoghi di ogni tipo: camerate (spesso ancora con i loro letti originali, anche se devastati), uffici, archivi pieni di documenti dappertutto, stanze mediche speciaslistiche all’interno delle quali venivano eseguite viste mediche “accurate” e molto altro.
La cosa davvero più triste di tutta questa vicenda è che si possono trovare cose come radiografie dell’epoca, registrazioni di ingresso ed uscita dei malati, pezzi di carta sparsi dappertutto e, soprattutto, intere cartelle cliniche lasciate lì nel periodo della “grande fuga per chiusura della struttura”. Non riuscivo a capire: in quelle pagine c’è la storia delle persone che sono state lì dentro chissà per quanto tempo; molti di loro sono entrati e non sono mai usciti, morendo in quegli edifici chissà dopo aver subìto quali sofferenze. Ora sono lì, spiaccicate per terra, alla mercè di tutto e di tutti senza alcun rispetto. E’ questa la vera follia e sono altri i veri destinatari che avrebbero avuto bisogno di tali “cure” poichè probabilmente avrebbero capito in quel modo il vero valore della vita.
Continuo il mio cammino senza sosta, scatto centinaia di foto e ad un certo punto trovo un mega-finestrone (ovviamente distrutto ed in mille pezzi) che “guarda” ciò che anni prima era un giardino per fare stare “all’aperto” i pazienti. Ora ci sono erbacce di ogni tipo, forma e dimensione. La maggior parte sono così cresciute da essere ben più alte di me.
Dalla parte opposta, un altro finestrone gemello, rotto anche lui; e sopra c’è l’intero primo piano che avrei visitato tra non molto. Il giro del piano terra del primo edificio sta volgendo al termine: mi trovo davanti un ascensore (ovviamente distrutto ed inutilizzabile) ed accanto ad esso un vano scale. Avevo letto che i piani superiori sono ben più rischiosi di quelli inferiori per il rischio di crollo sia del pavimento che del soffitto, ma ormai sono lì e non ho intenzione di non andare a vedere. Con attenzione salgo la rampa che ho di fronte ed arrivo di sopra.
La situazione è più o meno la stessa che ho appena lasciato, con una differenza: il soffitto in molti punti è realmente crollato lasciando sul pavimento tegole e pezzi di muratura.
La luce di quel giorno d’autunno entra in quel luogo abbandonato e l’atmosfera da film cresce esponenzialmente. Altri bagni, altre camerate, altri corridoi…tutto a perdita d’occhio. Ma come si può solo pensare a rendere attivo un luogo del genere ? Ammesso che quelle persone fossero state davvero mentalmente ammalate, come sarebbe stata possibile una guarigione in un ambiente simile ? Domande che resteranno sempre senza risposta per un comune mortale come me; quesiti che andrebbero fatti a coloro che hanno autorizzato tali barbarie in decenni di menefreghismo totale, magari dopo aver passato una bella serata nell’ozio delle loro belle case con le loro amorevoli famiglie. Quando poi vedo vasche da bagno con delle tracce rosse sbiadite sullo smalto biancoconsunto penso inevitabilmente cosa possa essere successo al loro interno. Termina anche il giro di quel piano; vedo le scale per scendere e lo faccio, per poi uscire fuori da quel primo edificio. Decido di entrare subito in un altro palazzo e mi incammino a passo svelto. Chissà che cosa avrei trovato ancora…
Ne vedo uno che mi ispira, per cui lo raggiungo. Questo, a differenza del precedente che aveva un piano terra ed un primo piano, ha un piano terra ed un piano interrato. Entrando vedo uno stanzone enorme e desolato; all’estrema sinistra c’è una specie di struttura in muratura a forma di “desk” o di “reception”. Ovviamente è tutto vuoto e sto solo immaginando l’uso che ne era stato di tali ambienti. Questo, al piano terra, sembra una specia di sala mensa o qualcosa di simile; forse una sala “ludica” in cui far socializzare i malati.
Stranamente sento un rumore provenire da dietro una porta: avevo letto che certe stanze avrebbero potuto essere abitate dai senza tetto della zona che, senza un posto migliore dove andare, dormivano lì. Avevo anche letto che, incontrando una porta chiusa, avrei dovuto non aprirla e non impicciarmi perchè avrebbe potuto essere la dimora di una persona meno fortunata, ma non è così. Forse il vento mi sta aiutando a farmi vivere ancora con più enfasi questa strana esperienza. Entro nello stanzone “gemello” lì vicino e vedo qualcosa che mi dà l’idea di essere una cucina con la presenza di forni, fornelli ed altri strumenti simili. Quando vedo che su quel livello non ci sono altro che spazi aperti, decido di scendere al piano “-1”. Non è stata una decisione facile, nel senso che mi piace girare, vedere, esplorare ecc. ma non sono del tutto “Indiana Jones”; soprattutto ci ho pensato un po’ perchè nel giorno di Halloween sarebbe stato anche facile trovare ciò che di più pericoloso esiste al mondo (anche più di un malato…), cioè gruppi di persone sane lì con il solo intento di divertirsi; e, si sà, il divertimento spinto all’eccesso spesso può anche finire male. Ma ormai ci sono e “o la va, o la spacca” diventa il motto della giornata. Scendo le scale una ed una ed allungo gli occhi per vedere se capto qualcosa di strano prima di arrivare in fondo; non c’è niente e decido di esplorare quel livello. Come sopra, vetri rotti, mobili rovesciati, armadi per terra ed un ambiente lugubre, umido e clamorosamemente tetro. Quel piano inferiore non è troppo grande, per cui faccio presto ad uscire.
Tornando di sopra vedo un gatto grigio a strisce che si aggira tranquillo e beato: allora è lui che ha causato il rumore che mi ha fatto saltare in aria qualche minuto prima…
Uscito da lì mi dirigo verso il terzo edificio da visitare; sembra un reparto femminile. Entro e vedo le stesse cose dei due palazzi precedenti.
Non cambia molto la musica, però non mi tiro indietro e lo giro totalmente, piano superiore compreso. Proseguo così per un altro paio d’ore, cioè fino a quando, giunto all’edificio n. 7, arriva la convinzione che anche i restanti 4-5 palazzi siano uguali ai precedenti. Nel frattempo si è fatto tardi perchè avrei dovuto raggiungere un altro luogo abbandonato dall’uomo non molto distante da Limbiate, per cui decido che è davvero tutto. La visita non mi ha deluso, anche se il vandalismo umano (ripeto) mi ha disgustato più del fatto che l’interno di quelle mura che stavo esplorando avevano visto più morti di chissà quale altro edificio. Concludo dicendo che, durante il giro nei 7 palazzi, ho incontrato altre persone che, come me, erano lì con l’intento di visitare l’ex manicomio; avevo letto anche quello su internet e quindi non sono rimasto sorpreso. L’importante è che fossero lì spinti solo dalla curiosità e non da cattive intenzioni.
Percorrendo la strada a ritroso verso l’uscita torno, passo dopo passo, nel “mondo reale”: vedo la ASL coi suoi palazzi molto curati, gente che va e che viene, il parcheggio pieno di macchine e tutto il resto. E’ stato un po’ come tornare indietro da un viaggio nel tempo. Arrivo alla macchina e mi rimetto in marcia. La prossima ed ultima destinazione per la giornata è Consonno. Per il 99,99% di chi legge, questo nome non dice nulla, ma se la storia di questo luogo fosse andata diversamente forse le cose non starebbero proprio così; più che altro…se colui che ha investito soldi in tale impresa avesse usato un po’ di cervello, anzichè cercare di realizzare pazzie impossibili, chissà…
Cenni storici su Consonno: prima degli anni sessanta era un piccolo borgo della Brianza (comune di Olginate). Tutto questo fino alla vera e propria irruzione del Grande Ufficiale Mario Bagno, Conte di Valle dell’Olmo. Lui, che di mestiere faceva l’imprenditore nel ramo immobiliare, di affari se ne intendeva. Decise così di acquistare l’intero borgo dove le case non erano possedute da chi le abitava, ma erano di proprietà di una società immobiliare, per radere tutto al suolo e costruire un’intera città dei balocchi; nel suo immaginario perverso sarebbe dovuta diventare una sorta di “Las Vegas” della Brianza. Ci fece mettere davvero di tutto: salone delle feste, sale da gioco, sale da ballo, sentinelle in stile medievale, un minareto, sfingi, negozi di dubbio gusto e persino pagode. La cosa pazzesca è che, per alcuni anni, la cosa funzionò davvero e migliaia di persone si recarono lì per divertirsi. Addirittura personaggi della tv (Pippo Baudo su tutti, più gruppi musicali in voga all’epoca) fecero lì le loro apparizioni e performances. Molte coppie di sposi ci si recavano per farsi fotografare in quella che era la nuova città dei divertimenti. Ma la verità è che quell’idea malsana aveva del tutto snaturato il borgo e l’ambiente come lo si conosceva e la vendetta era dietro l’angolo. Prima di tutto ci ha pensato il naturale scorrere degli eventi: infatti, quando quel luogo perse di interesse perchè non era più qualcosa di nuovo, il numero dei visitatori iniziò drasticamente a calare e cominciò la prima crisi. Ma la botta definitva la dette proprio la natura deturpata: una frana di ingenti dimensioni si abbattè sulla nuova strada che univa Consonno al resto del territorio ed isolò del tutto la città dei balocchi che si trasformò in un attimo in paese fantasma. Oggi io, come tanta altra gente prima di me ha fatto e come altri faranno, vado a vedere ciò che rimane di un sogno strampalato, soprattutto perchè eretto dopo aver distrutto il luogo in cui circa 300 persone credevano di avere la loro casa per il resto della vita e, soprattutto, realizzato senza le necessarie infrastrutture per raggiungerlo. E’ bastata infatti una frana a mandare tutto in frantumi.
Precisazione pratica: Il paese oggi è accessibile da due vie; quella da Olginate è praticamente sempre chiusa alle auto per via della presenza di una sbarra all’inizio della strada che viene alzata solo la domenica per 1 ora a settimana tutto l’anno tranne in estate, in cui l’accesso si ha dalle 10:00 alle 19:00; Provenendo invece da Villa Vegano (come ho fatto io), la sbarra è posta alla fine della strada, praticamente in paese. Le vie interne sono visitabili solo a piedi in quanto ancora oggi sono proprietà privata. Tornando per un attimo al passato, i cartelli che leggevano coloro che si avvicinavano qui recitavano testualmente:
” A Consonno è sempre festa”
” A Consonno il cielo è più azzurro”
” Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo”.
Ecco invece come si presenta la situazione oggi: sono finalmente a Consonno non senza un pizzico di difficoltà. La zona è poco segnalata e ci sono arrivato tramite stradine di campagna nel vero senso della parola: strette per il passaggio simultaneo di due macchine, tortuose al punto giusto e che, da uno dei due lati, si affacciano su un bello strapiombo che non perdonerebbe un eventuale errore di guida. Parcheggio l’automobile un po’ prima della sbarra e proseguo a piedi. Già lì, l’atmosfera è inquietante. Ovviamente non sono l’unico; la differenza con l’ex manicomio di Mombello e chè a Consonno si è all’aria aperta; poi il resto è uguale. E’ tutto in rovina ed abbandonato a se stesso; il minareto non si sa come si regga ancora in piedi e quelli che erano i negozi e le sale sono oggi delle stanze vuote piene di ogni rifiuto e, sicuramente, covo di qualche consumatore non occasionale di drogucce di ogni tipo. La verità è che mi sentivo più a mio agio nelle stanze di Via Monte Grappa n. 40 a Limbiate, ma ormai sono lì e decido di fare l’intero giro e di documentare il tutto.
Una cosa è certa: non ci ricapiterò più, neanche per sbaglio. Questo posto ha davvero poco o niente da dire oggi. Sicuramente lo aveva quando funzionava a pieno regime con chissà quanta gente sorridente intenta nelle attività che venivano offerte, ma adesso è completamente diverso. Scattate le foto di rito, termino il giro prima del previsto e decido di rientrare alla base. Lascio Consonno senza rimpianti e decido di trascorrere le ore che mi separano dalla riconsegna dell’auto e del ritorno a casa al Parco della Villa Reale di Monza, fortunatamente di strada. Non ho visitato la villa, cosa che farò nel prossimo futuro, ma già dall’esterno si vede che è davvero bella ed interessante.
Conclusioni: Questo “tour” decisamente particolare e poco usuale ha avuto alti e bassi. Il meglio lo ha dato sicuramente l’ex manicomio di Mombello, con picchi di adrenalina a non finire; mentre il peggio lo ha dato l’ex “sfavillante” città dei balocchi di Consonno, deludente come poco altro al mondo. In ogni caso, ripeto, da entrambe le esperienze ho tratto delle conclusioni ed ho arricchito il mio “bagaglio personale”. Attenzione: non sto dicendo che per essere migliori come persone occorre andare ad esplorare luoghi abbandonati o similari. Ho il massimo rispetto per chi la trova una cosa stupida, orribile e fuori luogo. Sto solo dicendo che, con le dovute accortezze e la necessaria organizzazione, non si dovrebbe rinunciare a nessun tipo di esperienza perchè “vedere è capire”. Viaggiare non è solo andare alle Maldive o in Polinesia per guardare il mare sempre più celeste. Viaggiare è scoprire, entusiasmarsi, strabuzzare gli occhi davanti alle bellezze della natura…ma è anche riflettere, pensare, cercare di capire e magari rimanere delusi da ciò che si ha davanti. Per dire di aver viaggiato, secondo me, occorre vedere proprio tutto e non solo ciò che, per esempio, un tour operator offre in un catalogo colorato.