Vuoi vedere il video realizzato con le foto più belle dell’isola di Ponza ? Clicca Qui !
E’ il terzo sabato di febbraio del 2021 ed il tempo, ormai quasi da un anno, è uno dei grandi misteri che non riesco a decifrare. Una volta era il mio miglior alleato ed ero in grado di gestirlo con una perfezione quasi maniacale, ma dall’inizio delle barbare restrizioni alla circolazione delle persone è cambiato tutto: da una parte sembra non passare mai per la noia causata dal non poter far niente che mi assale sempre più spesso, ma dall’altra non mi rendo ancora conto di come siano volati via undici mesi abbondanti vissuti prevalentemente indossando la tuta da camera…eppure è successo. Pensandoci bene, è un periodo enorme totalmente buttato nel cesso nel quale avrei potuto portare a termine una marea di cose, sia già previste (e mandate a monte) sia nuove di zecca da inventare di sana pianta. Dire che si naviga a vista, che le cose cambiano dall’oggi al domani a causa di chi si è improvvisato salvatore della patria (senza averne le benchè minime capacità) o che non ci sono certezze sul futuro è il minimo sindacale, ma quello che fa più tristezza è il totale menefreghismo dimostrato verso chi, da questa situazione folle, subisce un enorme disagio. Con queste premesse è sempre più difficile trovare qualcosa di nuovo da vedere, soprattutto perchè il limite invalicabile del confine della regione di residenza è stato da poco prorogato di un altro mese. Il week-end scorso sono rimasto a casa causa meteo avverso, ma stavolta è previsto il contrario, ovvero sole pieno ed incondizionato su tutto il Lazio. Prendo la palla al balzo per fare una cosa che medito da tantissimo, ma che non ho mai messo in pratica: visitare l’isola di Ponza, la maggiore del piccolo arcipelago delle Pontine ubicato in provincia di Latina. So bene che certi luoghi raggiungono il top in estate, ma so anche che andando in quella stagione troverei il caos più totale e prezzi assurdi per il pernottamento. Di contro, il sole d’inverno sa dare ai panorami marittimi un tocco in più, elemento che mixato col silenzio e con la tranquillità delle presenze pari a zero della bassissima stagione offre un risultato comunque ottimo. Quindi anche stavolta qualcosa da fare riesco a trovarlo; un impegno domenicale mi toglie la possibilità di restare sull’isola per un secondo giorno e questo non mi consente di fare il giro totale studiato a tavolino, ma sarà un motivo in più per tornare in futuro a completare l’opera. E’ ora di andare a vedere cosa è successo…
Sabato mattina: ormai le alzatacce sono il filo conduttore delle mie ultime partenze, quindi anche oggi la sveglia suona alle 4:50. Raggiungere Ponza da casa mia con i mezzi pubblici è possibile e pure molto facile da realizzare, ma la strada da fare non è poca e serve uno sforzo per arrivare in tempo all’appuntamento col traghetto. Mi preparo e vado con la macchina al solito parcheggio presso la metro Anagnina; salgo sul convoglio urbano e scendo a Termini dove acquisto il ticket che mi consentirà di essere a Formia per le 8:15 circa; il viaggio scorre via meravigliosamente mentre ammiro uno stupendo inizio di giornata cha ha un sole pienissimo come protagonista indiscusso. Poche centinaia di metri di discesa mi separano dal porto: la fila per comprare i biglietti è molto breve, ma mi aspettavo meno gente di quella che vedo. Prendo sia l’andata che il ritorno: dato che domani dovrò ripartire all’alba sto più tranquillo così. Salgo a bordo ed ho l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda le sedie disponibili, così faccio mio un posto accanto ad un finestrone e mi godo il panorama per le due ore e mezzo di navigazione previste. Già…almeno questo è ciò che spero, ma non tutte le ciambelle riescono col buco: a metà percorso succede l’impossibile, ed un maledetto banco di nuvole (del quale non si vede la fine) copre il sole rendendo tutto cupo e tetro. Con la scarsa connessione che c’è quando si è in mezzo al mare provo a consultare il sito delle previsioni che puntualmente ha provveduto a modificare la situazione adattandosi alla realtà. Sembra che tutto ciò durerà fino a mezzogiorno; considerando che arriverò alle 11:30 ci posso anche stare, ma qualcosa mi dice che non sarà così: sono troppo spesse quelle nuvole per andarsene via del tutto da qui ad un paio d’ore scarse. Ci avviciniamo alla destinazione e, metro dopo metro, compare alla vista il porto di Ponza che ha l’abitato storico alle sue spalle; lo spettacolo è davvero bello, ma con la luce solare sarebbe stata tutta un’altra cosa. Una volta a terra, dopo 150 minuti precisi precisi, guardo il cielo e capisco che il mio pessimismo è confermato. Mettermi a scattare fotografie in queste condizioni è solo una perdita di tempo, per cui faccio l’unica cosa possibile, ovvero camminare fino a raggiungere l’estremità opposta dell’isola (punto più lontano tra quelli previsti dalla mia mappa) sperando che il meteo si sistemi durante la passeggiata. Poi, una volta lì, inizierò ad immortalare il tutto durante la tratta di rientro. Metto in moto le gambe e vado tenendo il mare alla mia destra e la collina alla mia sinistra per il primo tratto. L’impressione che ho è quella di essere sia in un altro luogo (non sembra affatto il Lazio che conosco e che vedo tutti i giorni) che in un altro tempo: le casette colorate (spesso non perfettamente curate, ma si sa che il salmastro è micidiale), le viuzze interne acciottolate e l’atmosfera che tocco con mano rendono questo posto un vero e proprio borgo marinaro del passato; la magia è rotta dalla strada asfaltata qui presente e dalle macchine che la percorrono a discreta velocità. Trovo subito il negozio di alimentari che stasera mi fornirà la cena e poi, dopo qualche minuto, eccomi in aperta campagna. Qui, oltre ad iniziare una discreta salita che le mie gambe sentono fin troppo bene a causa delle abitudini ormai perdute, spicca la presenza di tantissime piante di Fico d’India che regalano all’ambiente circostante un tocco più esotico. Il tempo passa inesorabile e, panorama dopo panorama, l’agonia provocata dalle nuvole continua imperterrita. Nel frattempo il sito delle previsioni continua ad aggiornare la situazione ogni minuto, e qui si conferma il mio sogno ormai morto e sepolto di voler fare il meteorologo, l’unico mestiere al mondo nel quale puoi sparare cazzate quotidiane senza che nessuno ti dica niente. La salita si trasforma in discesa più volte in un vai e vieni di saliscendi: ad un certo punto vedo sulla destra un cartello che mi indica la direzione da seguire; attenzione: lo noto perchè sapevo più o meno dove lo avrei trovato grazie alla pianificazione fatta a casa, altrimenti col cavolo che ci avrei fatto caso; di certo non è illuminato con delle luci a led lampeggianti per facilitarne l’individuazione. Indica il sentiero da seguire per raggiungere Punta d’Incenso, mia prima destinazione odierna. Si tratta di uno sterrato che attraversa una zona piena di vegetazione mediterranea abbastanza bassa. Sarebbe anche piacevole da percorrere se non fosse per la presenza di decine di bossoli vuoti che testimoniano la stramaledetta attività di caccia che viene praticata qui; scommetto che uscendo fuori dal tracciato classico ne troverei a centinaia, ma meglio non pensarci. La cosa buona è che ogni tanto un po’ di luce dal cielo fa capolino, segno che le nuvole stanno iniziando a diradarsi; purtroppo è ancora presto per cantare definitivamente vittoria. Ad un certo punto la strada raggiunge la scogliera a picco sul mare ed il panorama qui è bellissimo. Con mia sorpresa passo alla destra di un’abitazione: all’inizio mi domando che cosa ci faccia qui, ma poi decido di non farci troppo caso e proseguo fino a Punta Cantina. Finalmente prendo la reflex ed inizio a fotografare: i primi obiettivi sono l’Isolotto di Gavi (più vicino) e l’Isola di Zannone (più lontana), tanto verde quanto ambigua per le storie che si raccontano su di essa: oggi è disabitata, ma in passato vi era la villa del Marchese Casati Stampa e della moglie a renderla viva e decisamente attiva: pare che i coniugi, sufficientemente distanti dal resto del mondo, organizzassero orge e festini sessuali da far impallidire i più pervertiti. Cambiando argomento, alla mia sinistra noto anche gli Scogli di Cala Felce. La cosa veramente bella è che osservo il tutto nella più totale solitudine.
Torno indietro per la stessa strada dell’andata perchè non ci sono alternative. Quando raggiungo la casa della quale ho parlato poco fa, la musica cambia radicalmente: nel passaggio precedente ne ho costeggiato e superato la parte perimetrale, mentre dalla mia posizione attuale vedo perfettamente il giardino. Per quel che riesco a scorgere da debita distanza c’è un po’ di tutto, un numero imprecisato di oggetti senza un ordine preciso; la cosa che inquieta di più è la presenza di un manichino (in piedi) completamente nudo, ed il perchè sia li mi è ignoto. A prima vista mi ricorda qualcosa come la casa nel bosco del film “Wrong Turn” e la sensazione non è affatto piacevole. Sicuramente si tratta di sola suggestione, ma meglio accelerare il passo perchè, come recita un detto delle mie parti, è meglio aver paura che prenderle. A metà sentiero ho un altro flash, stavolta positivo: guardando alcuni video del Nord Europa spiccano tra le tante cose le immagini di campi da calcio costruiti in posizioni impensabili come isolotti o scogli a picco sul mare. Bene, questa dell’immagine che segue è la versione nostrana della cosa; certo…magari l’ambiente circostante è lasciato un po’ troppo a se stesso se confrontato con la perfezione di Norvegia, Islanda, Isole Faer Oer e similari, ma con un po’ di fantasia si può immaginare di essere li.
Torno sulla via asfaltata e metto in atto la seconda parte del piano. Prima di tutto prendo una delle viuzze qui presenti ed inizio a passeggiare in un piccolo quartiere fatto di sole case: la sensazione che provo è davvero particolare perchè una buona parte delle abitazioni che vedo sono scavate nel tufo; ci sono volte in cui esito a salire delle rampe di scale perchè mi danno l’idea di essere private (e non voglio certo andare a finire dentro al salotto di qualcuno…) ma poi il coraggio di affrontarle mi fa scoprire che sono invece fruibili da chiunque essendo l’unico modo per andare oltre. Le arterie proseguirebbero per chissà quanto ancora, ma ad un certo punto inverto la marcia e mi dirigo verso la zona di Forte Papa. Raggiungerla è semplicissimo perchè la via è indicata da un classico cartello turistico a sfondo marrone. Incontro due bambini che mi salutano e mi chiedono se sono diretto a quello che loro chiamano “il fortino”; annuisco e loro puntano gli indici verso il cancello che è aperto ai pedoni ma chiuso per i mezzi di trasporto. E’ lo stesso accesso della vecchia miniera di bentonite, non più attiva dal 1976 e teatro per decenni dello sfruttamento dei lavoratori locali. Proprio qui succede il miracolo: finalmente le nuvole decidono di togliersi dalle scatole e di darmi un po’ di respiro, così riesco ad ammirare il panorama di questo posto surreale: alla mia destra c’è un enorme cumulo di materiale biancastro (immagino sia la famosa bentonite…) che mi dà l’idea di essere dentro ad una gigantesca lettiera per gatti, mentre di fronte ho Forte Papa (o quel che ne resta…perchè è completamente diroccato) che raggiungo in qualche modo. Oltre le falesie, maestose ma che sembrano poter franare da un momento all’altro, c’è un mare stupendo e dai colori incredibili.
Scattando quest’ultima foto mi rendo conto di aver messo piede poco fa su di un punto sospeso nel vuoto in cui la roccia ha uno spessore davvero misero; la cosa certa è che non è stato un atto di eroismo, bensì un errore. Fortunatamente sono qui a raccontarlo. Alla fine dei giochi prendo la medesima strada che mi ha portato qui e torno sulla via asfaltata fino alla “Parrocchia di Maria Santissima Assunta in Cielo”. Durante il percorso però non posso fare a meno di immortalare lo “Scoglio della Tartaruga” (così chiamato perchè pare assomigliare ad una testuggine) e tre gattoni meravigliosi che si stanno chiedendo che cavolo ho di così importante da dirgli che valga la pena di disturbare le loro fatiche quotidiane…
Alla sinistra della chiesa (guardandola di fronte) si apre un percorso in salita che conduce dopo poche centinaia di metri al “Belvedere della Madonnina”, punto sopraelevato dal quale è possibile godere di un ottimo panorama. La stradina diventa sterrata quasi subito e per una breve tratto passa in mezzo ad una marea di piante di Fico d’India. Davanti a me c’è una signora minuta che sale a fatica con un mazzo di fiori in mano per poi sparire dietro l’ultima curva. Quando giungo sulla sommità e sono pronto per scattare la foto di rito mi devo bloccare perchè la signora è proprio lì davanti intenta ad omaggiare la scultura della Madonna. Non posso fare altro che attendere che finisca, così faccio due chiacchiere con una persona che è qui già da prima. Scopro che si tratta di un viaggiatore che, come me, ha visto una buona parte di mondo ed il tempo scorre mentre ci raccontiamo alcuni aneddoti vissuti durante le reciproche avventure passate. Inutile dire che entrambi siamo disperati a causa del blocco della circolazione che limita i viaggi in maniera quasi totale e che siamo qui a Ponza in pieno febbraio quasi solo per mancanza di alternative valide, anche se non posso negare che l’isola sia davvero interessante e da non tralasciare. Purtroppo la fretta ed il poco tempo che ho a disposizione mi costringono a bloccare la conversazione al fine di continuare il mio giro, ma è un vero peccato doverlo fare perchè le persone così si trovano, ma con una difficoltà incredibile.
Ritorno sulla strada asfaltata ed il prossimo punto di interesse è rappresentato dai “Faraglioni di Lucia Rosa”. Prendono il nome da una storia vera, di quelle strappalacrime delle quali il passato purtroppo è pieno. Siamo alla fine dell’ottocento e pare che Lucia Rosa fosse innamorata di un contadino; il matrimonio negato dalla famiglia la sconvolse a tal punto che preferì gettarsi sugli scogli per mettere fine alla sua vita ed alle sue sofferenze. E pensare che oggi ci si divorzia (e a volte si fa anche di peggio…) per delle semplici differenze di vedute. Poco più avanti godo della miglior posizione possibile per immortalare la vicina isola di Palmarola, altro paradiso locale che però ha solo il mare come motivo per visitarla, dunque non è un obiettivo invernale. Peccato che la troppa foschia all’orizzonte rovini l’immagine che segue. Durante la tratta mi fermo più volte per fotografare particolari che ritengo degni di nota.
Davanti a me ho una lunga discesa e mi appresto a percorrerla tutta fino al prossimo centro abitato, non molto distante dalla zona del porto. Arrivo in loco per vedere la “Chiesa di San Giuseppe”, edificio religioso senza infamia e senza lode incastonato tra altre mille casette.
L’inverno ha diverse caratteristiche negative ed una di queste è la presenza di poche ore di luce a disposizione; infatti non manca molto al tramonto e, nonostante ci siano altre cose da vedere, devo per forza dirigermi nel punto che assolutamente non posso mancare in questo particolare momento della giornata, ovvero la spiaggia di Chiaia di Luna. E’ senza dubbio la più conosciuta e la più bella di tutta l’Isola di Ponza e so che il colore rosso del sole in fase calante la infuoca con tonalità pazzesche. Mentre muovo i miei passi osservo la “Statua di Mamozio” e, in lontananza, la “Chiesa dei Santi Silverio e Domitilla” per poi percorrere un altro caratteristico quartiere. Quando giungo a destinazione è proprio il momento giusto: affacciarmi dalla terrazza prospiciente mi fa prima uscire un’esclamazione di stupore e subito dopo mi lascia a bocca aperta. Una cosa è vedere questo posto in foto ed un’altra è farlo con i propri occhi. La spiaggia, da anni chiusa al pubblico perchè molto pericolosa, ha un arenile lungo e stretto incastonato tra il mare ed un’impressionante scogliera di tufo che raggiunge anche i cento metri di altezza, purtroppo altamente franabile. Sono ben noti gli incidenti accaduti qui, tra i quali non mancano quelli mortali; questa cosa ha spinto l’amministrazione comunale a vietare a chiunque il passaggio e la sosta sulla sabbia. Chi vuole fare il bagno nelle acque di questa baia può raggiungerla solo via nave e fermarsi a debita distanza dalla costa. Non ho idea di quanto sia ferreo questo divieto e lo conferma il fatto che vedo due persone sotto di me passeggiare tranquillamente da parte a parte…ma si sa che siamo in Italia e che qui le cose funzionano tutte a tarallucci e vino. Non ho alcuna intenzione di muovermi per tutto il tempo che il tramonto mi regala e così faccio.
E’ quasi buio e non mi resta altro da fare se non avvicinarmi al porto ed esplorare quella zona. Prima di scendere il percorso dell’andata mi fermo su di un punto panoramico scorto poco fa e da lì scatto qualche immagine, cosa che continuo a fare anche a quando ritorno al livello del mare nonostante l’unica luce presente adesso è quella artificiale dell’illuminazione pubblica. Qui ho modo di vedere come passano il sabato pomeriggio/sera i ragazzi del luogo…e non li invidio per niente; per come sono fatto io non riuscirei mai a vivere in un posto come questo. Per me che sono un cittadino del mondo, l’attuale confine invalicabile (quello della Regione Lazio) è grande quanto il salotto di casa…figuriamoci cosa succederebbe se dovessi stare per sempre su di un’isoletta, per quanto bella possa essere. La SNAI inizierebbe ad accettare scommesse su quanto tempo ci metterei ad impazzire di brutto.
Già che ci sono vado a fare la spesa per la cena al market adocchiato stamattina; come immaginavo è poco più di un buco. Ci tengo a precisare che nelle mia parole non c’è nessuna forma di presa in giro o di cattiveria gratuita: si tratta solo della realtà dei fatti poichè è più che sufficiente per il fabbisogno locale; qualcosa di più grande sarebbe stato fuori luogo. Alla fine trovo un po’ tutto quello che mi occorre ed esco con la mia solita busta piena di cose che gusterò in camera tra un po’. Prima però faccio una passeggiata sul lungomare, sul porticciolo pieno di barche e per le stradine del borgo: devo ammettere che sono rimasto più ammaliato dai panorami offerti dalla natura piuttosto che da quelli costruiti dall’uomo. E’ necessario stare molto attenti a dove si mettono i piedi perchè (non so se sia sempre così, ma oggi lo è) le strade sono piene di escrementi di cane ed è facilissimo ritrovarsi uno spiacevole ricordino sotto alle scarpe; io ho rischiato diverse volte che succedesse il fattaccio, ma per fortuna mi è andata bene. Sono le 19:30 quando mi presento alla porta dell’albergo prenotato per la notte e, una volta in camera, faccio un riassunto della situazione. Ho visto tanto, ma non tutto. Ad occhio e croce mi manca il sentiero che porta al “Semaforo”, al faro di Punta della Guardia e che offre la vista sul Bagno Vecchio e sui vicini Faraglioni di Calzo; ed ancora mi mancano Punta del Fieno e Punta di Capo Bianco. Per mettere i puntini sulle “i” servirebbe pure un giro dell’isola in barca, ma questa è un’attività prettamente estiva. Come ho già scritto nella paragrafo iniziale di questo post, senza l’impegno domenicale avrei preso il traghetto delle 16:00 di domani ed avrei avuto modo di concludere ogni cosa, ma sarà un motivo per tornare. Accompagno la cena col mio solito calcio manageriale (non passavo una notte fuori almeno da ottobre 2020) e poi mi addormento.
Il mattino seguente mi sveglio nuovamente ad un orario improponibile, giusto in tempo per preparare le ultimissime cose ed andare al porto a prendere l’imbarcazione delle 6:00, seguito dal treno per Roma Termini, dalla metropolitana fino ad Anagnina e dalla macchina fino a casa. In conclusione posso dire che la scelta di visitare Ponza d’inverno si è rivelata vincente; ho scoperto una località che non mi aspettavo a pochi kilometri da casa. Oserei dire che è si tanto vicina, ma allo stesso tempo anche tanto lontana. Per coloro che volessero fare la stessa esperienza, Covid-19 e teste bacate dei potenti permettendo, credo che fino a tutto aprile sia possibile godere più o meno della stessa calma che ho vissuto io. Da maggio in poi tutto questo sarà solo un miraggio fino al prossimo autunno.