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Primo week-end di novembre dell’anno topico della pandemia. L’Italia è stata da poco divisa in fasce: i colori scelti sono giallo, arancione e rosso. Il governo ha toppato anche stavolta perchè poteva tranquillamente fare l’intera penisola marrone, visto che siamo nella cacca da quasi 9 mesi per aver ingigantito un problema in maniera inconcepibile. Coprifuoco (eh si…termine che si sente solo in tempi di guerra) dalle 22:00 alle 5:00, come se in Italia si vivesse di notte tipo Madrid o Barcellona e come se il contagio dilagasse soprattutto in certe ore. Tra regioni arancioni e rosse la differenza è ben poca perchè si tratta in ogni caso di un lockdown a tutti gli effetti con assurdi blocchi ai movimenti senza giustificato motivo. Chi si salva un pochino di più sono le persone che abitano nelle regioni gialle, le uniche che ancora prevedono la libera circolazione tra loro. Io ho la fortuna di essere momentaneamente tinto di giallo e, pur avendo solo il sabato a disposizione, faccio di tutto per studiare qualcosa al volo da portare a termine in giornata. Ricapitolando: all’estero non si può andare perchè quasi ovunque si trovano situazioni surreali, l’Italia è mezza interdetta…ci sommo anche il fatto che di tempo per organizzare qualcosa ne ho pochissimo, quindi non resta altro da fare che restare in zona. E’ così che scelgo tre località della vicina Ciociaria per un giro di difficoltà media fatto anche di tempi stretti e coincidenze di mezzi pubblici da rispettare alla lettera per non restare a piedi. Le protagoniste di questo racconto sono Sora, Arpino ed Isola del Liri che prendono così un posto quasi insperato nel mio blog. Attenzione: non sto dicendo che non meritino una visita, ma che in tempi normali avrei quasi sicuramente varcato i confini nazionali come faccio spesso. Andiamo a vedere cosa è successo…
Sabato mattina: nel giorno in cui tutti la maggior parte degli impiegati dormono, io mi sveglio alle 5:15…ovvero ben due ore e mezzo prima di quando mi alzo per andare a lavorare. Lo so da solo che sono strano, ma è così che va la mia vita. Fuori è buio pesto, ma non fa quel freddo cane che mi aspettavo. Alle 5:35 esco di casa e vado a parcheggiare la macchina al solito posto per poi cercare lo stallo numero dieci delle partenze extraurbane della stazione Anagnina. Alle 6:00 un bus a due piani nuovo di zecca della compagnia Cotral parte con destinazione Sora: spero di non dire una cavolata, ma avrà più o meno sessanta posti a disposizione questo coso…e mi viene quasi da piangere quando noto che i passeggeri totali a bordo sono cinque compreso me. Ho l’imbarazzo della scelta riguardo ai posti a sedere e mi metto al piano di sopra appiccicato al parabrezza, la posizione che preferisco perchè mi permette di vedere perfettamente la strada che ho davanti. A dire il vero fino alle 7:00 circa non c’è niente di interessante perchè il buio è duro a morire in autunno inoltrato. Succede una cosa clamorosa: questa non è una tratta diretta e prevede tante fermate intermedie ad orari prestabiliti; l’arrivo è schedulato per le 8:10, ma con mia grande sorpresa scendo alla stazione di Sora alle 7:32. Detto ciò..sorge spontanea una domanda: e se ci fosse stato qualcuno che avesse avuto intenzione di salire a Frosinone (esempio a caso) come avrebbe potuto farlo se il torpedone è passato dalla fermata con 38 minuti di anticipo sulla tabella di marcia??? Fino a cinque minuti si possono capire, ma questa cosa a mio parere è da denuncia. In primis noto un’arietta più pungente rispetto a Roma, per cui sfrutto queste decine di minuti inattese per andare in un bar, fare colazione e nel frattempo andare in bagno per indossare una maglia in più che mi sono portato per scrupolo. Torno in strada e vedo che la stagione sarà buona/ottima come previsto, per cui non perdo più tempo e mi metto in moto. Non perderò mai le mie abitudini che prevedono di affrontare prima le situazioni più difficili per poi rilassarmi dedicandomi a quelle più facili; il primo obiettivo è questo:
Se non si capisse dalla foto, quella cosa è ben più in alto rispetto al livello dell’abitato; so che ci sono almeno un paio di modi per raggiungerla, per cui mi affido al mio caro vecchio Google Maps che definisco come croce e delizia di ogni viaggiatore: nel 95% dei casi segnala la strada più veloce, ma c’è anche quel 5% di possibilità in cui fa prendere delle cantonate assurde. Ebbene, questo è un chiaro esempio della seconda opzione: mi fa arrivare fino alla “Chiesa di Sant’Antonio Abate” (che trovo con la facciata oscurata dall’ombra di un albero ubicato nelle vicinanze) e poi mi molla li perchè mi indica una via non praticabile. Devo quindi orientarmi da solo e vado a senso tra i vicoletti che fanno parte della città vecchia finchè vedo un misero cartello grande pochi centimetri che indica la direzione da seguire. La mia felicità dura due secondi netti, giusto il tempo di capire che quella non è la via più battuta e che tornando indietro perderei tropo tempo. Amen…ormai procedo da questa parte su di un sentiero super sconnesso e pieno di rocce. Quando arrivo alla “Chiesa della Madonna delle Grazie” sono soddisfatto e mi dedico alle foto di rito.
Il sentiero migliora in qualità nella sua seconda parte, quella che conduce all’ultimo punto di interesse da vedere quassù, ovvero il “Castello San Casto”. Si tratta di una fortezza costruita nel 1520 a scopo difensivo e quando la raggiungo ci trovo un guestbook (che non firmo) ed un cortile rettangolare pieno d’erba e lasciato a se stesso, poi nient’altro. Parlando dell’esterno, è suggestiva l’immagine di uno dei torrioni che spuntano dalla vegetazione, così come il panorama che si gode da questa altezza.
Nota di colore: è risaputo che si fa fatica ad affrontare certi tipi di salite e che si suda anche, soprattutto se (come adesso) il sole comincia a farsi sentire. All’interno del cortile del castello ero totalmente da solo e mi sentivo la maglietta bagnata fradicia sulla pelle. Non ci ho pensato due volte: ho preso dallo zainetto una busta vuota portata appositamente, mi sono denudato la parte di sopra (con mia grande sorpresa ho potuto vedere la mia schiena che fumava a causa del contrasto caldo-freddo…) ed ho appallottolato l’indumento riponendolo nel sacchetto destinandolo al primo ciclo di lavatrice che effettuerò prossimamente. Ho piegato e riposto il maglioncino più pesante e da quel momento in poi sono rimasto solo con una maglia adatta alla mezza stagione. Tutto ciò il 7 di novembre con mia grande sorpresa. Decido di tornare a valle usando la strada non fatta in precedenza, così per vedere qualcosa di nuovo. In realtà non c’è niente di particolare, se non altre persone che vanno nella direzione opposta alla mia con tanto di fiatone. Trova più facile questa nuova via, ma anche più lunga. L’uscita è al centro del paese che mi ospita ed esattamente dietro alla “Cattedrale di Santa Maria Assunta” (ubicata ad un piano rialzato rispetto alla striscia d’asfalto sulla quale cammino) che ha una Statua dedicata alla Madonna nello spartitraffico posto di fronte; già che ci sono faccio il mio dovere.
Opto per osservare il punto più estremo per poi esplorare il resto andando a ritroso; una passeggiata di media lunghezza mi porta fino alla “Chiesa della Madonna di Valfrancesca”. Torno un po’ indietro ed effettuo una deviazione a sinistra attraversando il Fiume Liri ed arrivando dalle parti della “Chiesa della Madonna del Divino Amore”. Dirigendomi verso il prossimo obiettivo segnato sulla mappa mi volto alla mia destra e scorgo un bel murales che sembra appena realizzato poichè non riporta alcun segno di usura; decido di conservarlo nel mio album dei ricordi.
Entro nel Parco di Santa Chiara, un’area verde con panchine utile per il relax degli abitanti, e perchè no…anche dei visitatori. Ad abbellire questa zona ci pensano la piccola Cappella dell’immacolata Concezione ed i busti per “Vincenzo Simoncelli” e per “Amedeo Carnevale”. Ci sarebbe anche una fontana ma non ha acqua al suo interno, così la uso come momentaneo punto di appoggio. Esco e mi ritrovo nuovamente nella zona della Cattedrale: scorgo in lontananza un “Omaggio a Padre Pio” e ci vado. Poi prendo Corso Volsci (una delle vie più importanti di Sora) ed una deviazione quasi immediata sulla destra mi permette di vedere la piccola “Chiesa di Santa Filomena”.
E’ la volta di un altro pezzo forte: nell’omonima piazza la padrona incontrastata è la “Chiesa di Santa Restituta”. Tornando su Corso Volsci dedico attenzione al “Palazzo del Municipio”; fa angolo con la “Chiesa di Santo Spirito” che è davvero uno strano edificio religioso al punto da sembrare quasi una civile abitazione. Una stradina pedonale conduce laddove c’è una specie di bis: La “Chiesa di San Francesci” fa angolo con la “Biblioteca Comunale”, contenuta in un grande stabile che condivide con il “Museo Civico della Media Valle del Liri”. Chiude il cerchio un nuovo murales che si trova esattamente nella piccola via Francesco Loffredo.
L’obiettivo adesso è terminare di esplorare Corso Volsci del quale manca solo l’ultima parte: una breve pausa su Piazza Palestro mi permette di vedere la “Statua di Cesare Baronio”; in un vicoletto scorgo lo stemma della squadra di calcio locale che ricordo tanti anni fa come una buona protagonista del campionato di serie C1 mentre oggi naviga nell’eccellenza regionale del Lazio dopo almeno due fallimenti societari. Il tocco finale prima di cambiare zona me lo dà la “Chiesa di San Bartolomeo Apostolo”.
Una passeggiata nella parte antica di questa cittadina ciociara lo consiglio davvero a tutti: bastano pochi passi per immergersi in un tempo che non c’è più; la cosa che apprezzo molto è che tutto è tenuto bene e questo rende la visita ancora più piacevole. Una davanti all’altra noto la “Casa Natale di Vittorio de Sica” (c’è una targa che rievoca questo avvenimento che per la località che mi ospita è un vanto) e la semplice “Chiesa di San Giovanni Battista”. Molto molto carina è la “Chiesa di San Silvestro”, sensazione resa migliore dalla piazzetta in cui è ubicata: l’insieme merita ampiamente una sosta. Lo stesso non posso dirlo per la successiva Chiesa di San Rocco che non è affatto fotogenica, per cui guardo e passo oltre.
Torno indietro costeggiando per un buon tratto il Fiume Liri e mi diletto a portare nel mio album dei ricordi alcuni scatti che lo vedono protagonista. Mi piacciono soprattutto i due che comprendono nella panoramica una piccola parte del centro storico.
Prendo via Napoli, un’altra importante arteria ma più periferica. Gli ultimi quattro punti di interesse segnati sulla mia mappa sono proprio qui o lungo sue traverse. Il primo in ordine di distanza è la “Chiesa di Costantinopoli”; una camminata un po’ più impegnativa mi conduce davanti alla “Chiesa di San Ciro e Santa Restituta”. In via Canale Mancini trovo una misera chiesetta della quale on-line non esiste traccia alcuna ed infine termino il mio giro con la “Chiesa di Santa Rosalia”.
Pienamente soddisfatto di queste prime ore della giornata inverto la marcia e mi dirigo sparato verso il capolinea dei bus Cotral dove aspetto il primo collegamento utile con la seconda tappa prevista: Arpino è un borgo molto antico, basti pensare che vi nacque un certo Marco Tullio Cicerone…quindi per trovarne le origini (comunque sconosciute) bisogna andare un bel po’ indietro nel tempo. Oggi è abitato da circa 7.000 persone ed è insignito della bandiera arancione, riconoscimento del Touring Club Italiano che evidenzia i piccoli comuni che più di altri possono vantare un’offerta di qualità ed un’accoglienza turistica eccellente. La distanza che io e gli altri due passeggeri dovremo percorrere è di poco più di dieci kilometri (composta esclusivamente da strade di campagna dove le curve abbondano) che copriamo in circa venticinque minuti. Come ho già scritto nella premessa di questo post, una delle difficoltà odierne è data dal tempo risicato a mia disposizione a causa di coincidenze ferree da rispettare per quanto riguarda i mezzi pubblici; bene, il caso in questione è arrivato poichè a differenza di Sora dovrò camminare più velocemente se vorrò completare l’intero percorso. Una caratteristica importante di Arpino è la sua Acropoli conosciuta oggi come Civita Vecchia o, ancora più comunemente, Civitavecchia (da non confondere con la ridente località portuale a nord di Roma…ma questo mi pare scontato). Tra i due luoghi c’è innanzitutto una differenza di altitudine: Arpino è a 450 metri sul livello del mare mentre l’acropoli è a 627 metri sul livello del mare. Non ci penso su due volte e comincio a muovere i piedi una dopo l’altro ponendomi Civitavecchia come primo obiettivo. Supero circa 2.5 kilometri in salita nel minor tempo che le mie gambe mi consentono; appena sono in zona (non senza un certo fiatone) posso ammirare subito una parte delle mura megalitiche qui presenti e contestualmente la piccola “Chiesa di Sant’Anna” che in questo momento è quasi totalmente inghiottita dall’ombra di un albero.
L’accesso all’area archeologica lo faccio attraverso un “Arco a sesto acuto” che osservo a dovere perchè, dalle letture fatte durante la fase della preparazione dell’itinerario, pare sia l’unico superstite della sua specie ancora oggi in piedi in tutta l’area mediterranea. E pensare che senza questa informazione sarei passato oltre senza neanche fotografarlo…purtroppo l’ignoranza è una cosa brutta, però la voglia di imparare sempre cose nuove vince in ogni occasione e questo ne è un esempio lampante. Mi pregio della vista della “Chiesa della Santissima Trinità” (anche la macchina parcheggiata in basso a sinistra nella prima immagine del blocco seguente ha un primato: come rompe i coglioni lei non lo fa nessuno) e di uno dei vari siti che compongono l’iniziativa che prende il nome di Libro di Pietra: si tratta di testi di poesie che artisti contemporanei hanno dedicato ad Arpino durante le loro visite alla città; il tutto è scritto sia in lingua originale che tradotto in italiano e riportato su lastre di pietra. In questo caso specifico noto “Dio dell’Alleanza” di Giovanni Paolo II°. Dopo qualche gradino mi trovo davanti alla “Torre di Cicerone” alla quale sommo la possibilità di guardare la panoramica della vallata sottostante da una posizione privilegiata.
Mi sposto nella parte nella quale oggi abitano circa un centinaio di persone: il colpo d’occhio offerto è veramente carino, ma nonostante ciò non ci vivrei neanche se mi regalassero una casa per ovvi motivi: piazzare uno come me (che non vede l’ora di esplorare il mondo) in un luogo così tranquillo sarebbe più un torto che un favore. Notevole è la “Chiesa di San Vito” che ammiro prima di lasciare definitivamente il borgo.
Non mi sono scordato che il tempo stringe…per cui percorro la stessa strada dell’andata che, se tanto mi dà tanto, è per il 95% in discesa. Dato che non passa anima viva sfrutto la situazione e mi metto letteralmente a correre per fare prima, fermandomi ogni volta che si avvicina una macchina per evitare che mi prendano per pazzo perchè non ho gli abiti adatti per il footing. Alla fine arrivo al mio prossimo obiettivo, ovvero la “Chiesa di Santa Maria delle Grazie” cui segue l’ingresso in paese. La prima impressione è buona ed il posto è curato a dovere; purtroppo ci vuole poco a rendermi conto che il mio tanto amato sole non mi aiuterà affatto stavolta: è in posizione pessima rispetto all’abitato e temo che mi giocherà ben più di qualche brutto tiro. La conferma ce l’ho già dopo pochi passi perchè il Monumento a San Francesco è totalmente non fotografabile proprio per il motivo appena accennato, e la cosa non finirà qui purtroppo. Il cuore di Arpino è senza alcun dubbio Piazza Municipio: qui, delimitato da transenne, c’è un tratto dell’antica strada romana presente nell’antichità al posto dell’attuale rete viaria. In pochi metri quadrati posso ammirare la “Statua di Caio Mario”, il “Convitto Nazionale Tulliano”, la “Chiesa di San Michele Arcangelo”, il “Monumento a Cicerone” ed ovviamente il “Palazzo del Municipio”.
Mamma mia in che brutto momento della giornata sono capitato! Quasi tutto ciò che mi interessa è completamente senza sole oppure tagliato a metà tra la luce ed ombra; difficilmente ho pubblicato foto di così pessima qualità in questo blog…ma non ho ancora il potere di deviare la natura a mio piacimento. La stessa situazione continua senza sosta con la “Chiesa di San Carlo e Filippo” e con la “Chiesa di Santa Maria della Pietà”.
Proseguo su via Pio Spaccamela fino al raggiungimento del bellissimo “Monastero Benedettine Sant’Andrea” seguito dalla Porta Saturno (detta anche Napoletana). Per quanto riguarda l’edificio religioso non me la sento di pubblicare un’immagine semi-orribile, per cui per una volta su 210 post scritti fino ad ora mi servo di una foto presa da @Google Street View (l’importante è essere onesti e non vantarsi se si usa farina che non viene dal nostro sacco). Prendo una discesa che in poco tempo mi permette di vedere prima la “Chiesa di Sant’Antonio” (ubicata ad un piano rialzato rispetto a quello stradale), un “Omaggio a Padre Io” e la “Porta del Ponte”.
Passo davanti al Museo della Liuteria (chiuso causa Covid-19 come lo sono tutti gli altri in Italia almeno fino al prossimo 3 dicembre come minimo…) e poi osservo da vicino il “Monumento ai Caduti di Arpino” che si trova di fronte al lato opposto del Palazzo del Municipio visto qualche tempo fa. Mi sposto all’angolo tra via del Liceo e via Civita Falconara: qui ci sono la seicentesca “Chiesa di Santa Croce” e la “Fontana dell’Aquila Romana”.
Una breve passeggiata è sufficiente per prendere una bella delusione: il Santuario di Santa Maria di Civita ha più di mezza facciata invasa dalle impalcature dei lavori di restauro, per cui devo passare oltre (mannaggia…). La successiva “Chiesa di San Rocco” è mooolto più spartana, ma non vuole essere da meno in quanto a disturbi: ci trovo davanti un furgoncino di chissà quale secolo che i proprietari proprio non sapevano dove parcheggiare. Va meglio con la “Chiesa di Santa Maria di Loreto”, soprattutto grazie al panorama sul borgo che mi regala la mia posizione attuale.
A questo punto la mia mappa ha esaurito i punti di interesse e devo dire che sono felice di aver chiuso il giro con questa bella vista. Adesso però l’orologio è il mio peggior nemico perchè devo letteralmente correre alla stessa fermata dove sono sceso in precedenza: tra pochi minuti passerà l’ultimo bus della compagnia Cotral della giornata; se dovessi perderlo non avrò altra scelta che percorrere almeno 6-7 kilometri a piedi verso la prossima ed ultima destinazione di oggi, cosa che sarebbe disastrosa perchè ci arriverei troppo tardi e probabilmente col sole già calato. Alla fine riesco a fare in tempo ed anticipo il mezzo pubblico di ben due minuti scarsi (!!!). Quando salgo a bordo penso di meritare una medaglia al coraggio dimostrato: ci siamo solo io e l’autista, per cui intendo la tratta come corsa privata o su di una sorta di maxi-taxi. E’ proprio vero che la gente è folle perchè, se le condizioni sono queste, ai fini del contagio è meno pericoloso stare su un pullman vuoto che a passeggio per strada incrociando chiunque. Servono una quindicina di minuti per arrivare alla fermata di Isola del Liri, altro piccolo comune della Ciociaria che conta poco più di 11.000 abitanti. Avrò a disposizione cento minuti che, vi assicuro, per vedere tutto ciò che c’è sono abbondantissimi. Allora perchè sono qui? Semplice: già il nome del paesino dice tutto poichè il centro storico è completamente accerchiato dalle acque del fiume Liri che lo rendono di fatto un’isola (per apprezzare meglio bisognerebbe disporre di un elicottero perchè dall’alto è tutta un’altra musica…ma attualmente non fa parte della mia dotazione); oltre a ciò posso ammirare quella che credo sia l’unica cascata del mondo con ben 27 metri di salto ubicata in un contesto urbano…ed è pure semisconosciuta. E’ questo il pezzo forte della località che mi ospita e quindi non resta altro da fare che mostrare con delle foto ciò che sto cercando di descrivere; la potrete vedere sia da sola che insieme al “Castello Boncompagni Viscogliosi” che la vigila dall’alto.
Inutile dire che resto a guardare questo spettacolo per un lungo periodo senza staccare lo sguardo un secondo; magari ad altri non fa lo stesso effetto, ma io ne resto innamorato e non vedo l’ora di essere di nuovo qui poco dopo il tramonto. Per il resto non c’è molto altro, ma questo l’ho già detto. Inizio dalla “Chiesa di San Giuseppe Artigiano” per poi proseguire con la “Chiesa di Sant’Antonio”, con una “Statua di Padre Pio” e con la “Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo Martire” che si trova nella zona antica, quella fatta da viuzze e vicoletti a volte anche angusti, ma sinceramente niente di particolare.
Se proprio vogliamo dirla tutta, di cascate ce ne sarebbero due; per questo motivo mi reco presso la seconda che prende il nome di Cascata del Valcatoio ma noto che sta scendendo pochissima acqua dalla sommità, per cui deduco che il flusso sia regolato (aperto e chiuso) secondo volontà ed esigenze umane e stavolta mi è andata male. Manca ancora qualche minuto al tramonto, tempo che uso per andare dalla parte opposta dell’abitato per vedere anche la “Chiesa Cristiana Evangelica”, ma solo dopo aver scovato una terrazza clamorosa sulla Cascata Grande posta alla fine della Galleria Eustacchio Pisani.
Ormai manca poco al momento tanto atteso e mi diverto a passeggiare lungo la via principale: noto che tutti i bar sono stracolmi di gente; il motivo è semplice: per aggirare la chiusura imposta dal Governo alle 18:00 i gestori dei locali hanno anticipato l’happy hour di due ore (dalle 16:00 alle 18:00 anzichè dalle 18:00 alle 20:00) con ottima risposta da parte della gente che evidentemente se ne sbatte del Covid-19 e fa più che bene perchè bisogna vivere la vita invece di scappare a nascondersi peggio dei topi. Ma ora basta sorridere perchè mi devo concentrare un’ultima volta sulla Cascata Grande illuminata artificialmente.
Ovviamente con me ho anche dei video che purtroppo non posso postare perchè troppo pesanti, ma assicuro che sono davvero particolari. Adesso è davvero tutto; volto le spalle a questo spettacolo e vado dritto alla fermata. Stavolta il pullman della Cotral diretto a Roma ha qualche minuto di ritardo, ma non fa niente perchè dopo un tragitto che più lineare non potrebbe essere mi ritrovo alla stazione Anagnina per le 19:30. Li ho la macchina ed in una decina di minuti scarsi sono già dentro casa dove ripongo tutto e mi preparo per una bella partita serale da vedere durante e dopo una lauta cena.
In conclusione…quasi quasi devo ringraziare il Covid-19 perchè in sua assenza difficilmente sarei passato da queste parti e sarebbe stato un peccato mancare certe zone. Purtroppo non ho il dono dell’ubiquità e devo necessariamente fare delle scelte: il mondo è troppo grande ed una vita troppo breve per poterlo vedere tutto. Sora mi ha stupito: la credevo più piccola e meno ricca di punti di interesse ed invece si è rivelata tutto il contrario; non è una metropoli, ma qualche ora alla scoperta di qualcosa di nuovo la regala considerando anche la possibilità del mini-trekking sul Monte San Casto. Arpino invece me l’aspettavo un pochino meglio: è carina e può vantare l’antica acropoli, ma da una bandiera arancione chiedo qualcosa di più. Ad Isola del Liri ci si va solo per la Cascata e questo è scontato; come sempre ci ho aggiunto un giro completo delle altre attrazioni, ma quel salto è fenomenale proprio perchè incastonato nel centro cittadino. Quindi se vi trovate da queste parti ed avete una giornata libera, questo itinerario può fare al caso vostro senza pentirsene.