Questo post non c’entra niente col tema portante del mio blog e lo si capisce già dal titolo, però lo voglio scrivere e pubblicare lo stesso. Ha a che fare direttamente col blocco temporaneo dei miei viaggi: l’incompetenza galoppante dilaga in Italia al giorno d’oggi ed è incredibile come non si prendano provvedimenti drastici per farla diminuire o magari anche sparire del tutto. Inizio con una riflessione: se il nostro paese è davvero la settima potenza economica mondiale…allora il resto del mondo deve essere proprio allo scatafascio; come si fa ad essere così in alto in questa speciale classifica ed avere un sistema sanitario in cui una nutrita schiera di lavoratori con tanto di lauree non capisce una beneamata minchia del mestiere per il quale viene lautamente pagata? Non voglio però fare di tutta l’erba un fascio perchè resto convintissimo che ci siano persone all’altezza della situazione ed anche di più; infatti, proprio nel periodo della mia tentata guarigione, è avvenuto con successo il primo trapianto facciale eseguito nello “stivale”, effettuato da un’equipe di medici altamente specializzati che si preparavano da tre anni solo per questo e durato circa ventisei ore. Cosa dire e fare davanti a tanta sapienza se non togliersi il cappello e congratularsi con tutti loro? Ma questo post purtroppo non ha l’obiettivo di lodare i pochi che sanno fare il proprio lavoro, bensì di tirare fuori la parte marcia della storia, il lato oscuro della medaglia…cioè la massa di coloro che dovrebbero lasciare il loro posto fisso a qualcuno che ne sà decisamente di più. Ci tengo a precisare che non riporterò nomi nè di persone nè di strutture ospedaliere nelle pagine che seguiranno, anche se mi piacerebbe moltissimo farlo. Di questo si occuperà probabilmente uno studio legale al quale vorrei affidare il caso; se deciderò di procedere non lo farò per soldi, ma solo per portare alla luce quello che mi hanno fatto.
Ciò che sto per riportare è il naturale proseguimento in ordine temporale del racconto sulla domenica trascorsa in Val di Mello. Riassumo brevemente per coloro che non lo avessero letto: alla fine dell’itinerario in quell’angolo di paradiso sono scivolato su una parte di sentiero evidentemente poco stabile e mi sono fatto molto male alla gamba destra. Lì per lì mi sono rialzato e, con l’adrenalina in circolo e l’infortunio ancora fresco, sono riuscito a tornare a Roma il mattino seguente non senza uno sforzo atroce. Sapevo che quella volta il danno non sarebbe stato lieve, per cui ho deciso di andare al pronto soccorso, cosa che evito come la peste quando posso farne a meno proprio perchè so a cosa si va incontro almeno 7-8 volte su 10.
Ovviamente non vengo visitato subito, ma piazzato su una sedia a rotelle per un paio d’ore come minimo prima di essere messo davanti all’attenzione di un camice bianco. Per inciso, sono arrivato alle 6:00 del mattino dopo il rientro nella capitale in bus notturno: invece di esserci personale pronto ad aiutare i pazienti a qualsiasi ora, pare che bisogna aspettare che i “signori” inizino il turno intorno alle 8:00. Resto basito già lì perchè è una cosa totalmente assurda. C’è un orario per sentirsi male, forse? Prima di una certa ora non ci si può infortunare? Per cosa sono aperti i pronto soccorso 24 ore al giorno? Per parcheggiarci la gente in attesa che qualcuno si degni di arrivare? Già con la bile a mille entro nella stanzetta e cerco di spiegare tutti i vari dolori che provo, iniziando dal piede e finendo con la parte alta del polpaccio passando per la caviglia che sembra quasi essere un corpo a sè stante. Quindi, per maggiore precisione, escludendo il ginocchio (per fortuna) da lì in giù sento male dappertutto con punte maggiori che indico in maniera chiara a chi di dovere. Mi vengono prescritte una lastra ed un’ecografia, così mi piazzano di nuovo in corsia. La sala delle radiografie è occupata, per cui viene deciso di procedere prima con l’ecografia e qui esce il primo colpo di genio: alla fine dell’esame il Mago Silvan travestito da dottore ha la soluzione senza bisogno di altri esami. Incredibile! Sul referto mi viene scritto che ho una lesione muscolare al polpaccio di circa un centimetro e nulla più; una cosa sicuramente dolorosa ma non eccessivamente grave. La cura consiste nell’applicare localmente una fascia allo zinco da portare per cinque giorni, con una prognosi complessiva di sette giorni per la completa guarigione; in tale periodo non sarei andato a lavorare perchè coperto da regolare certificato INPS. Fra me e me sono al settimo cielo perchè francamente stavo pensando qualsiasi cosa. Allo stato attuale sarei tornato in piena forma in tempo per la partenza per la settimana di ferragosto al mare già prenotata e pagata da un paio di mesi, come mio solito. E’ importante notare che vengo dimesso SENZA AVER EFFETTUATO LA RADIOGRAFIA, cosa di una gravità infinita in un caso come il mio. Facendo una fatica pazzesca, passettino dopo passettino torno a casa prendendo nell’ordine un bus e poi la metro. Ad Anagnina ho la macchina e devo fare poco più di due kilometri per arrivare a destinazione. E’ il 30 luglio, sono le 12:45 e Roma è quasi totalmente vuota e senza traffico. Mi metto al volante e raggiungo la destinazione andando non oltre i 30 kilometri orari e guidando con un piede solo. Il giorno successivo è arrivata mia madre: sarebbe rimasta a darmi una mano per tutto il tempo in cui sarei dovuto stare praticamente fermo; porta con sè poca roba, ovviamente tutta estiva, convinta come me che in 7-10 giorni al massimo si sarebbe risolto tutto. Il tempo passa ed io provo sempre più dolori e fastidi: sento il piede destro gonfiarsi come un cotechino all’interno della fascia allo zinco, al punto che la vorrei togliere prima del termine indicato. Ma non lo faccio: la fiducia nei medici del pronto soccorso che conoscevo per altri eventi mi fanno sopportare la situazione. Il 4 agosto scatta il quinto giorno di cura, quello in cui mi sarei dovuto togliere la fascia allo zinco, e procedo. Il risultato è raccapricciante: il mio piede destro è gonfio all’inverosimile mentre, secondo il parere di chi mi aveva visitato, da lì a due giorni sarei dovuto tornare a zompettare come un tempo. Guardo mia madre e, senza dire neanche una parola, mi vesto e chiamo un taxi per farmi portare di corsa in un altro ospedale che conosco di fama proprio per il reparto di ortopedia. Ci arrivo per le 12:30 circa e vengo sbattuto di nuovo in sala d’aspetto per tre lunghe ore. Finalmente tocca a me ed inizia l’odissea. La dottoressa di turno vede l’arto e mi fa subito sdraiare sul lettino. E’ spaventatissima per ciò che vede e teme che ci sia in corso una trombosi arteriosa, cosa molto grave se non presa in tempo. Arriva il medico di settore che (è sabato) è sceso solo per cortesia perchè non sarebbe stato compito suo essere lì. Solo il mio stato di preoccupazione per ciò che stava succedendo mi ha fermato dal mandarlo a quel paese per direttissima dopo la minchiata che ha detto: a casa mia i medici curano i pazienti per giuramento, non stanno a sindacare se spetta o non spetta a lui farlo in quel preciso momento ed in quel reparto. Ma che razza di animali stipendiamo con le nostre tasse? Alla fine la preoccupazione si rivela vana: non ho quel tipo di problema (però che spavento che mi hanno fatto prendere…), ma non è ancora tempo per tirare un sospiro di sollievo perchè la dottoressa sposta il tiro su una possibile trombosi venosa. Mi aspetto un nuovo esame mirato, ma non c’è il dottore preposto (è sabato…). Quindi allo schifo che alle 6:00 del mattino non si curano le persone perchè non c’è personale si aggiunge anche che il sabato (e la domenica a questo punto…) succede lo stesso. Se ti senti male in quei giorni puoi anche morire aspettando il lunedi, questo è il senso. Nel frattempo si aggiunge anche la flebite tra le possibile soluzioni al mio caso; lascio immaginare come poteva stare il mio morale sentendo tutte quelle “belle cose” che mi ronzavano intorno. Il passo successivo, dopo aver fatto tutte le analisi di base che hanno evidenziato come tutti i valori fossero nella norma, è quello della radiografia. Vengo accompagnato nell’apposita sala su di una barella ed aspetto il mio turno. Quando tocca a me vengo esaminato alla caviglia ed al piede. Mi fanno attendere di nuovo nella sala d’aspetto del reparto radiologia: il tempo passa senza che mi riportino in corsia. Sento parlare le infermiere al di là del vetro e pronunciano il mio cognome accanto alla parola “ricovero” per la nottata. Giro la testa verso di loro e le guardo con un’espressione che è un misto tra sconforto (per me) e pietà per quelle due povere coglione, perchè solo questo potevano essere. Dopo un’ora finalmente mi riportano in sala d’attesa al pronto soccorso e poi in sala gessi. Esce fuori che alla caviglia non ho nulla, ma che c’è una micro-frattura al malleolo tibiale…talmente piccola e misera che si poteva vedere solo ingrandendo la lastra alla massima potenza consentita. Per questo mi viene applicata una doccia gessata. Si tratta di un simil-gesso che per metà è rigido (parte posteriore) e per metà è morbido (parte anteriore). Inutile fargli notare che in serata avrei dovuto fare l’eco doppler già fissata per scongiurare il rischio di trombosi venosa e/o flebite: la doccia gessata viene applicata comunque subito. Alle 20:45 vengo portato nel reparto per l’ultimo esame di quella estenuante giornata e, come immaginavo, il gesso mi viene rimosso. Ma cavolo…perchè me lo avete messo per poi tagliarlo dopo un’ora??? Ma cosa vi dice il cervello??? Tutte domande che non avranno mai una risposta. Alla fine mi trovo davanti alla dottoressa che mi dimette perchè non ho nessuna delle tante catastrofi che quei luminari della scienza avevano preventivato. Succede la barzelletta: anzichè applicarmi una nuova doccia gessata viene presa quella tagliata poco prima; la piazzano di nuovo alla mia gamba e la chiudono con lo scotch. Resto a bocca aperta per minuti, ma non ho il coraggio di dire ciò che penso per due motivi: il primo è che mi sarei beccato una denuncia per ingiurie mai sentite prima da nessun orecchio umano; il secondo è che volevo assolutamente andare a casa in qualsiasi condizione possibile purchè lontano da quell’inferno di incompetenza. Ricapitolando, sembrava che fossi prossimo alla morte quando hanno inziato a visitarmi ed invece me ne vado con una doccia gessata rattoppata, un invito da parte della dottoressa a tornare dopo soli tre giorni per sostituire quel coso con un tutore, un certificato che mi esonera dal lavoro per altri 25 giorni e soprattutto le scuse per una giornata davvero mostruosa che non meriterebbe neanche il peggior delinquente. Proprio le scuse mi hanno dato la conferma massima del fatto che non ci avevano capito un tubo neanche loro e che quella frattura al malleolo (micro, micro ed ancora micro) fosse stato solo un pretesto per mandarmi via con una cura anzichè con un pugno di mosche in mano. Tutti loro dovevano in qualche modo dimostrare che avevano trovato qualcosa per giustificare nove ore di pronto soccorso. Alle 21:30 il taxi arriva ed inizia il percorso verso casa.
Passano 17 giorni sui 25 previsti e la mia situazione non accenna a migliorare di un millimetro. Anzi, non so come fosse stato possibile, ma il mio piede pare ancora più gonfio di quando sono arrivato al secondo ospedale il 4 agosto. Tramite una persona fidata mi viene indicato il nome di un primario di ortopedia in un terza struttura sanitaria pubblica, così fisso un appuntamento per il giorno dopo e mi presento per la visita. E’ il 22 agosto quando spiego la situazione per filo e per segno e mostro le cartelle cliniche dei precedenti ospedali. Mi viene detto come prima cosa che sono una persona molto sfortunata e che i suoi colleghi avevano preso abbagli e cantonate a non finire. Mi viene tolta la doccia gessata e mi viene fatta una lastra di controllo: la frattura al malleolo è sparita dopo soli 18 giorni; non ce n’è più alcuna traccia. Qualcuno penserebbe al miracolo, ma non io. Ero certo che non ci fosse mai stato quel tipo di infortunio e l’ho scritto proprio poco fa. Resta il dubbio del perchè, se ero realmente guarito, il mio piede fosse ancora gonfio al punto di esplodere. Mi viene detto che è normale e che il tempo deve fare il suo corso. Se me lo dice un primario…magari una maggiore fiducia mi viene, anche se sappiamo bene che tutte le poltrone in Italia sono date per politica e non per meritocrazia. Però stavolta ci voglio credere; la componente morale potrebbe giocare a mio favore se affrontassi la cosa con positività. Mi viene detto che da lì a due giorni avrei avuto il piede più sgonfio e che avrei potuto iniziare a camminare piano piano, prima con due stampelle, poi con una sola e così via fino alla completa guarigione. Tornare a casa senza quella doccia gessata è per me una prima vittoria. Mi viene detto che il gonfiore è causato dalla mia circolazione sanguigna che pare essere deficitaria. Questo rallenterebbe sensibilmente i tempi di recupero. Chi legge il mio blog e chi mi conosce, ammesso e non concesso che tutto può succedere a chiunque, sa che sono una persona che cammina anche 20 kilometri al giorno quando viaggia (ed ero sempre in partenza prima dell’infortunio, ogni singola volta che potevo farlo). Ho fatto trekking in Kirghizistan, oltre 100 kilometri a piedi in una settimana di vacanza in Europa e questi sono solo due esempi tra tutti quelli che potrei riportare. Che io abbia problemi di circolazione è un tantino difficile, però non sono un medico e decido di accettare il responso e la cura che mi viene data: compresse per favorire proprio la circolazione da prendere tre volte al giorno ed una crema da applicare localmente per favorire l’assorbimento del gonfiore. I due giorni indicati volano via, ma il mio piede resta ancora un cotechino pronto per il forno. Sarei dovuto tornare da lui dopo quindici giorni solo in caso di mancata sistemazione del problema. Di guarire nei tempi previsti proprio non se ne parla. Nel frattempo mi prendono mille dubbi perchè una cosa del genere non l’avevo mai vissuta prima, per cui torno a farmi vedere dallo stesso primario alla scadenza del periodo stabilito. Stavolta non mi fà neanche togliere calzino e scarpa: per lui continua ad essere normale così e mi rimanda a casa dicendo che devo solo aspettare e camminare il più possibile, addirittura sopportando il dolore che si presenta imperterrito; l’importante era non fermarsi. In quella sede gli chiedo se non fosse il caso di fare una risonanza magnetica per capire se qualcosa fosse sfuggito agli esami tradizionali. Mi viene risposto che non è il caso perchè non ama far buttare soldi alla gente inutilmente. In più, colmo dei colmi, anche il mio medico generico mi mette i bastoni tra le ruote: mi dice che non mi darà più un singolo giorno di malattia INPS se non dietro presentazione di un pezzo di carta scritto direttamente dall’ortopedico che mi segue. Inutile dire che quel personaggio me lo sono mangiato vivo perchè non è un dottore, bensì un maledetto amministratore. Praticamente, siccome lo stato italiano ha stretto molto la cinghia ed ha aumentato i controlli a tappeto a causa dei falsi malati, chi ci rimette? Io e tutti coloro che, come me, hanno usufruito forse di 7-10 giorni di esonero dal lavoro negli ultimi dieci anni di servizio. Io che vado a lavorare con la febbre a 38 vengo trattato come un ladro che sta rubando soldi allo stato. In questo caso l’ortopedico capisce la situazione e mi rilascia il foglio da portare al medico generico, così ottengo ciò che mi spetta. Ma la realtà delle cose è che non dovrebbe funzionare in questo modo; i “furbetti” del certificato andrebbero beccati e puniti, non far pagare questa ignobile consuetudine anche agli onesti inasprendo i controlli a tutti facendo ricadere la spada di Damocle sui medici di famiglia che svolgono così la funzione di controllori a tutti gli effetti. Se tu, Stato italiano, non sei capace di fare il tuo lavoro devi farti da parte e farti commissariare dall’Austria (per fare un esempio tra i tanti paesi che funzionano come si deve) ed imparare da loro come si fa. Non continuare a gestire le cose da far schifo.
Passano altri giorni e la situazione non migliora; senza stampelle non riesco a muovermi in nessun modo. E’ il 19 settembre quando chiedo un nuovo appuntamento dal solito primario; stavolta ci vado con un solo obiettivo: farmi fare l’impegnativa per la risonanza magnetica. Non intendo accettare altre stupidaggini. In più si insiste sul fatto che non sto guarendo sempre a causa della circolazione sanguigna che non funziona come dovrebbe, così accetto l’ennesima sfida prenotando anche una visita specialistica angiologica. Essendo a Roma, le prestazioni mediche non si trovano sempre il giorno successivo perchè le persone che hanno bisogno di cure sono tante, per cui riesco ad ottenere la visita per la circolazione il 25 settembre e la risonanza magnetica addirittura il 1° ottobre. Come volevasi dimostrare, l’angiologo mi ha detto che non avevo nulla di nulla e quindi anche quella teoria è decaduta mestamente. La sorpresa più grande ce l’ho però il giorno 4 ottobre, data fissata per il ritiro del referto della risonanza magnetica (perchè servono tre giorni per dare un responso…altra cosa vergognosa all’inverosimile da sopportare nel 2018). Leggo che ho una frattura composta epifisiale della tibia in osteoriparazione, cioè ancora in via di guarigione. A questo punto credo di aver diritto ad una spiegazione: come si fa a non aver visto dalle radiografie una cosa del genere dato che si tratta di ortopedia a tutti gli effetti? Sinceramente ho voluto fare questo particolare e costoso esame perchè mi aspettavo qualcosa di brutto ai legamenti, ultima cosa per me rimasta da prendere in considerazione. E invece esce fuori che mi ero fratturato una parte della tibia che nessuno aveva mai visto nei due mesi precedenti. Col primario eravamo rimasti d’accordo che gli avrei letto il referto per telefono e così ho fatto subito dopo essere uscito dalla clinica convenzionata. Le sue risposte mi hanno lasciato nuovamente di stucco e le riporto più fedelmente possibile:
- Medico: Mi ricorda la data dell’infortunio?
- Io: 29 luglio
- Medico: Bene, oggi è il 4 ottobre per cui la frattura è guarita.
- Io: Dottore…forse non ci siamo capiti: sul referto c’è scritto che la cosa è in via di guarigione. In più non cammino ancora senza stampelle ed ho il piede più gonfio rispetto a quell’altro.
- Medico: Stai continuando le cure che ti ho dato? La crema e le compresse per le circolazione?
- Io: si, certamente. Seguo la cura tutti i giorni.
- Medico: Allora a questo punto non so che dirti. Per me sei guarito e non posso fare più nulla.
Cosa avrei potuto fare se non chiudere la telefonata di netto e senza ulteriori possibilità di conversazione? Potevo solo prendere atto di una cosa: lunedi 8 ottobre sarebbbe stato l’ultimo giorno di copertura col certificato INPS attuale. Per poter avere un prolungamento (cosa che mi sarebbe spettata di diritto, data la mia condizione fisica) sarei dovuto tornare dal primario, per il quale avevo ormai fiducia zero, a prendere il solito foglio che attestava la mia non avvenuta guarigione e portarlo poi al medico di base (che avevo trattato a male parole, tutte meritate, quando se ne uscì con questa richiesta la prima volta). Sinceramente non mi andava di guardare in faccia un’altra volta quelle persone, così martedi 9 ottobre, con uno sforzo non da poco, sono tornato a lavorare nonostante tutto.
Siamo arrivati ad oggi, 23 ottobre, data di pubblicazione di questo post. Va un pochino meglio, anche se zoppico ancora vistosamente perchè il piede destro ancora non si piega in maniera regolare da permettermi un’andatura normale. E’ ancora più gonfio di quello sinistro e non accenna a tornare alle dimensioni originali. Ad oggi sono passati 86 giorni dal mio infortunio e sto ancora così. Non metto in dubbio il fatto che il problema che mi sono procurato non è di poco conto…però se fossi stato curato a dovere sarei sicuramente già guarito da un bel po’. Soprattutto mi domando una cosa da quel 4 ottobre: ho svolto la terapia per un post-frattura al malleolo e mi è stato detto, per questo, di iniziare a camminare sin dal 24 agosto se ce l’avessi fatta, fino al punto di sopportare il dolore. Ma se avessero visto sin da subito una frattura epifisiale alla tibia avrei dovuto fare lo stesso oppure restare immobile per più tempo per non rischiare guai più gravi? A causa dell’incompetenza di certe persone (pare che le abbia trovate tutte io…) ho perso una settimana di ferie ad agosto, un week-end in Germania, ho passato tutto settembre dentro casa senza poter prenotare nulla neanche per il futuro, ed ottobre si sta avviando verso la fine nella stessa condizione. Per me che viaggiavo quasi ogni fine settimana è un calvario nel calvario. A tutti coloro che sono invischiati in questa storia dico di vergognarsi, anche se non sarebbe lo stesso sufficiente per ridarmi ciò che mi è stato tolto. Col senno di poi, se non avessi mai messo piede in un ospedale, probabilmente oggi starei scrivendo di viaggi invece che di malasanità…ed il bello è che posso farci ben poco se non avvilirmi per tutto il tempo e tutte le occasioni che qualcuno mi ha fatto perdere. Italia, sarai anche la settima potenza economica mondiale, ma non sei in grado di trovare e curare nei tempi corretti una frattura alla tibia. Ho fatto solo un grande errore nella mia vita: non essere scappato quando ero in tempo per poterlo fare. Adesso è tardi e mi devo beccare questo schifo tutti i santi giorni. Chi ha ancora un’età per andarsene non ci pensi sù due volte: il futuro non è qui.