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Ho 39 anni nel momento in cui scrivo questo post sull’ultimo week-end appena concluso. Fino ad ora ho visto tante zone in Italia, tante nazioni in Europa e ciò che ho potuto nel resto del mondo. Nel mio futuro, a meno di scossoni/sconvolgimenti vari, molto ancora c’è in programma perchè ormai viaggiare è chiaramente la mia più grande passione; ad aprile andrò in Iran, sto sognando l’Uzbekistan, l’Islanda, l’Africa, il Sudamerica e chi più ne ha più ne metta. Per tutti questi posti servono un po’ di soldini (anche con la mia brevettata organizzazione super-low-cost) ma soprattutto tanti giorni di ferie, questi numeri benedetti e maledetti allo stesso tempo situati in una casellina in fondo alla busta paga che determinano quasi tutte le mie scelte. Purtroppo il mio lavoro non è “da remoto” (come alcuni bravi e fortunati amici riescono ad ottenere)…ma “da seduto” in tutti i sensi del termine. Proprio un’ora fa ho risposto ad un utente del blog che mi chiedeva maggiori info sul Kirghizistan, terra dove ho lasciato il cuore sette mesi fa; le risposte che voleva gliele ho date, ma mi è venuta una gran voglia di concludere l’e-mail chiedendogli se prima di pensare ad un viaggio simile, lontano ed impegnativo…avesse mai visto Matera. Proprio questa è stata la destinazione che mi ha ospitato sabato e domenica scorsi: un posto incredibile, un luogo che non si può raccontare in tutta la sua essenza neanche provandoci, una località che ha una storia pazzesca alle spalle che mi ha lasciato a bocca aperta. Una piccola fetta d’Italia che l’anno prossimo sarà una delle due Regine d’Europa in quanto Capitale Europea della Cultura, ma che lo stesso non ha l’attenzione che meriterebbe. Qui si può andare anche solo una giornata senza spendere un patrimonio e senza utilizzare giorni di ferie. Basta un sabato, una domenica o un giorno della settimana per chi lavora quando la maggior parte degli altri riposano. Matera non chiede grandi ricchezze per poterla visitare, ma nello stesso tempo ha tanto, tantissimo da offrire. Andiamo a vedere i motivi di questa premessa perchè parlare è bello, ma viaggiare e scoprire lo è ancora di più.
Matera è un capoluogo di provincia della regione Basilicata, territorio che divide con la città di Potenza. L’area urbana “moderna” non ha quasi nulla di speciale ed infatti non è per questo che viene ricordata. Il suo nome va di pari passo con la sua zona più famosa: quella dei “Sassi”. Da buon responsabile amministrativo e viaggiatore non sono neanche l’ombra di uno storico attendibile. Ciò che sto per scrivere si basa soprattutto su ciò che ho letto e che ho capito. Sperando di non riportare castronerie, qualche accenno ai fatti lo devo pur dare. Per “Sassi di Matera” si intende il nucleo originario di questa città, quello abitato realmente da sempre. Fu un modello di organizzazione eco-sostenibile fino alla fine del settecento grazie alla straordinaria inventiva dei suoi abitanti che, tra le tante cose, riuscirono ad avere acqua sempre a disposizione pur vivendo in una zona che di certo non ne favoriva l’approvvigionamento. La costruzione di cunicoli e cisterne a regola d’arte ha fatto sì che questo elemento necessario per la vita delle persone fosse sempre presente in ogni stagione dell’anno, comprese le estati più calde. Questo ed altri aspetti furono possibili grazie al fatto che alcune zone del territorio erano (e lo sono anche ai giorni nostri) composte da calcarenite, un tipo di roccia abbastanza friabile che può essere scavata con una maggiore facilità rispetto ad altre. Fu proprio dove tale fenomeno si manifestò maggiormente che nacquero due rioni che presero il nome di “Sasso Barisano” e di “Sasso Caveoso”; insieme alla Civita formavano l’antico agglomerato urbano di Matera. Il Sasso Barisano presentava più costruzioni rispetto al Sasso Caveoso che, come recita il nome stesso, era quello composto quasi esclusivamente da case-grotta scavate nella roccia e modellate secondo le esigenze delle famiglie che le abitavano. Qualcosa di questo meccanismo ben oliato però si inceppò col passare degli anni e dei decenni: la popolazione iniziò a crescere a dismisura e, nello stesso tempo, la crisi colpì le attività sulle quali si basava la semplice economia materana (prima fra tutte le pastorizia, ma non solo). Questo portò ad un rapido ed incredibile impoverimento della gente che, totalmente coesa, si chiuse in se stessa e quasi si isolò dal resto della penisola. Quando Carlo Levi arrivò in città e vide la situazione ne restò negativamente colpito. Da lì arrivò “l’interesse” della politica nazionale con Palmiro Togliatti che definì questa zona addirittura con il poco lusinghiero titolo di “vergogna nazionale”. Purtroppo la situazione ed i numeri (impietosi) parlavano chiaro: nelle abitazioni rimediate vivevano famiglie numerosissime e dividevano un piccolissimo spazio con i propri animali, senza un sistema fognario e senza acqua corrente. Le condizioni igieniche erano ben al di sotto del limite umano e le malattie presenti nell’area erano una vera e propria piaga. Fu in quel momento che lo stato si fece carico della costruzione della Matera nuova e, nel giro di quindici anni, tutte le famiglie che abitavano i sassi vennero trasferite nelle nuove abitazioni; non erano sicuramente delle ville, ma almeno erano rispettose della dignità. Gli ultimi nuclei che abbandonarono i Sassi lo fecero nel 1968, neanche troppi anni fa. Da quel momento quella zona così particolare è divenuta una vera e propria città fantasma. Tutto ciò fino al 1986, anno in cui, sempre la politica, si rese conto della reale potenzialità dell’area e sovvertì la legge che ne ordinava l’abbandono dando la possibilità, a chi lo avesse voluto, di tornare ad utilizzare quegli spazi. Pian piano “la vergogna” (parola terribile che nonostante tutto non mi sento di condividere) lasciò il posto alla consapevolezza che quello era a tutti gli effetti un vero e proprio esempio dell’adattamento dell’uomo all’habitat a sua disposizione. Situazione questa che venne capita anche dall’UNESCO che, nel 1993, iscrisse i Sassi nel registro dei Patrimoni dell’umanità, primissimo sito del meridione italiano. La nascita di un buon numero di attività economiche come ristoranti, alberghi, Bed&Breakfast e tantissime botteghe di artigiani locali fu la prosecuzione della rapida ripresa ed addirittura questo luogo è passato dal dover essere evitato come la peste al voler essere visitato da persone di tutto il mondo. La nomina, insieme alla bulgara Plovdiv, di Matera a Capitale Europea della Cultura per tutto il 2019 è il coronamento di un sogno nato dalla tanta sofferenza di chi certe situazioni le ha vissute sulla propria pelle senza però mai perdersi d’animo.
Per me tutto questo è qualcosa di pazzesco, positivamente parlando. Un po’ meno bello (e sarò anche ripetitivo, ma credo sia doveroso) è l’epiteto che è stato dato alla Matera degli anni ’50. Mi viene solo in mente una domanda in questo momento: da chi fu pronunciato? La risposta è semplice: da un politico, da un uomo che, bene o male, aveva un certo potere. Questo lo poneva al 99% (lascio l’ 1% come beneficio del dubbio perchè non ho alcuna prova che lo dimostri, anche se francamente ci credo poco in questa misera percentuale) nella condizione di potersi arricchire alla spalle della povera gente esattamente come avviene da decenni. La corruzione è uno dei mali peggiori che affligge la nostra nazione ed è l’elemento che più mi fa vergognare quando all’estero scoprono da dove vengo; quasi non passa giorno senza che qualcuno venga indagato perchè preso con le mani nel sacco. Tutto questo sicuramente non nasce negli anni ’80 (per esempio)…ma ha radici ben più indietro nel tempo. E’ solo che, magari, all’epoca c’erano meno mezzi e possibilità di dimostrarlo rispetto ad oggi. Quindi, con tutta onestà e sincerità, farmi dire che sono una vergogna da uno di quelli che hanno dato il proprio contributo affinchè si arrivasse alla rovina attuale mi offenderebbe a morte, perchè è rubare la vera vergogna, non cercare con forza di volontà di vivere con i pochissimi mezzi che si hanno a disposizione.
Termino qui questa introduzione ben più lunga del solito, ma che ho ritenuto essere doverosa per meglio comprendere il luogo che mi accingo a visitare. Senza questa spiegazione se ne perderebbe totalmente l’essenza. Come detto all’inizio, Matera non è degnamente collegata dalla capitale, mio punto di partenza. Ci sarebbero dei pullman diretti, ma arrivano e ripartono dal capoluogo lucano in orari totalmente fuori dal normale, per cui devo attrezzarmi in altro modo per non buttare via tempo prezioso. E’ la tardissima serata di venerdi quando, alle 23:58, parte il treno che da Roma Termini mi porterà a Bari. Nello scompartimento a sei posti siamo solo io (zona finestrino) ed un’altro signore (zona corridoio); questo ci permette di fare una bella dormita senza disturbarci a vicenda. La sveglia che avevo preimpostato suona alle 6:20 perchè alle 6:27 è prevista la fermata nel capoluogo pugliese; il convoglio proseguirà poi la sua corsa fino a Lecce. Conosco già Bari, già visitata e già recensita sul blog. Per questo motivo esco dalla stazione e mi dirigo verso un bar non troppo lontano dove faccio colazione; un ottimo modo per passare il tempo in attesa che un pullman che parte alle 7:25 mi accompagni alla destinazione finale. Ci arrivo alle 8:22, ora in cui mi ritrovo alla fine di Via Nazionale. Alzo la testa ed il cielo non promette nulla di buono per la giornata a venire; anzi, una piccola goccia di pioggia mi centra in pieno la lente sinistra degli occhiali. L’appuntamento è a Via Roma, a circa due kilometri da qui, intorno alle 8:45 previa conferma telefonica. Conoscendo il mio passo so già che sarò puntuale ed infatti è così. Incontro Francesco, gestore dell’appartamento che ho prenotato per la notte. E’ prestissimo e c’è un ospite all’interno che andrà via da li a poche ore, per cui non mi possono essere consegnate le chiavi se non intorno a mezzogiorno. Io la trovo una cosa normale perchè il check-in solitamente è previsto come minimo per le 13:00, ma lui si dimostra gentilissimo facendomi la più grande delle cortesie: tenere il mio borsone in custodia. Obiettivamente girare per i Sassi con quel coso sulle spalle sarebbe stato proibitivo. Lo ringrazio, mi armo della mappa preparata da casa ed inizio il giro. Non avrei potuto fare scelta migliore in quanto ad alloggio: solo cinquanta metri mi separano dall’ingresso in Piazza Vittorio Veneto, uno dei cuori della città. Sarà il primo mattino o la giornata uggiosa dal punto di vista meteo, ma in giro c’è pochissima gente. Per me è decisamente meglio così, se non fosse per i soliti africani (qui addirittura “armati” di passeggini per neonati che fungono da deposito merci) che godono per la pioggia cercando in tutti i modi di vendermi un ombrello. Ma io tiro fuori il mio k-way e lo indosso proprio lì, così spero di aver fatto capire l’antifona dal principio. Noto subito che ho un problema col quale dovrò convivere per le prossime ore: le mie scarpe da trekking non sono assolutamente adatte alla liscissima superficie della pavimentazione locale; infatti scivolo ad ogni passo e da ora in avanti dovrò porre moltissima attenzione (a costo di rallentare decisamente la mia andatura) se non voglio trovarmi col sedere per terra ed una gamba rotta. Ci sarebbero un po di cose da vedere e fotografare…però il mio istinto mi porta a tirare dritto fino alla terrazza del Belvedere “Luigi Guerricchio”, il mio primissimo affaccio sui Sassi, in particolare quello denominato “Barisano”. Anche se la giornata si presenta abbastanza tetra, ciò che ho davati è uno spettacolo bellissimo e mi sembra di trovarmi di fronte ad un quadro; non posso definirlo unico al mondo perchè di paesi scavati nella roccia ce ne sono altri, però questo è vivo, non un rudere mèta di turisti e niente più. Ci sono alcune impalcature ed una gru, lavori in corso in vista dell’evento dell’anno successivo, ma francamente mi aspettavo molto di peggio e quindi mi ritengo fortunato.
Il colore del panorama è uniforme e ciò fà sembrare tutto un enorme dedalo intricato, ma non è affatto così. Certo…non c’è alcun piano regolatore e tutto è stato costruito un po’ alla “come viene”…ma, come una sorta di gioco, guardando con attenzione riesco a mettere a fuoco i dettagli che compongono l’abitato. Non vorrei proprio venire via, ma alla fine sono costretto a farlo per proseguire la visita. Piazza Vittorio Veneto racchiude tanti punti di interesse all’interno del suo perimetro. Sul lato più vicino alla città moderna, di fronte a Via Roma, c’è un edificio seminascosto da alcun alberi che riporta la scritta “Palazzo del Governo”: oggi è la sede della Prefettura. Attaccato ad esso, sul lato destro, c’è la Chiesa di San Domenico. Sempre lì, a metà strada tra le due costruzioni, è presente il Monumento dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale.
Siamo a febbraio, quindi in bassa stagione: per questo motivo la fontana qui situata è “ovviamente” spenta. Le virgolette sono sarcastiche, nel senso che la gente a Matera ci vive e ci viene anche nei mesi invernali e non soltanto quando lo decide l’autorità comunale. La fontana dovrebbe essere SEMPRE funzionante, ma ormai nel mondo gira così e possiamo farci ben poco. Già l’inverno è di suo il periodo dell’anno con meno colori e vivacità; se ci si mettono anche i nostri amministratori ad imbruttire l’ambiente…ci dessero pure un cazzotto in un occhio, così da completare l’opera. Accanto al Belvedere “Luigi Guerricchio”, sulla sinistra, c’è la piccola Chiesa “Mater Domini”.
Più a destra c’è una scultura bronzea; la targa indica che è dedicata all’onore ed alla memoria dei padri materani ed alla civiltà contadina, il tutto firmato “Lions Club Matera”. Sull’altro lato della piazza non passa certo inosservata l’imponente figura del Palazzo dell’Annunziata che, dopo quasi tre secoli di vita e di storia, oggi ospita la Biblioteca Provinciale ed il Cinema Comunale.
Dalla parte opposta rispetto a quella finora descritta troviamo invece la storica Fontana Fernandinea e la Chiesa di Santa Lucia. Nel frattempo lo stesso africano mi sta domandando per la quarantecinquesima volta in neanche venti minuti se mi serve un’ombrello; la mia pazienza che ancora non vuole saperne di terminare mi sta stupendo…anche perchè lui è ignaro del fatto che prima di dargli un centesimo preferirei buttarmi da un grattacielo.
Da Piazza Vittorio Veneto si può scendere verso il Sasso Barisano in diversi punti; tra essi, quello più centrale ospita il “Palombaro Lungo”, un’enorme cisterna della quale però parlerò successivamente perchè si tratta di una delle visite che ho deciso di fare. Per adesso dò priorità agli “esterni”, anche se inizia e smette di piovere mille volte ad intervalli quasi regolari. Mi riporto verso la Prefettura perchè, poco più avanti e sull’altro lato della strada, c’è la Chiesa di San Francesco da Paola la cui vista è parzialmente rovinata dalle auto in sosta.
Prendo ora Via San Biagio ed arrivo dopo pochissimo nella piccola Piazza San Giovanni: bellissima la visione che ho dell’omonima Chiesa. Sulla mia destra trovo anche l’ex complesso monastico di San Rocco.
Proseguo avanti per la stessa stradina e mi imbatto nella graziosa Chiesa di San Biagio. Da qui vedo l’indicazione che punta verso la “Casa Cava” (una delle attrazioni a pagamento del luogo) raggiungibile svoltando verso destra.
Ammetto che la curiosità è tanta, ma voglio restare ligio al mio programma: prima la città e poi le visite. La passeggiata continua fino a quando arrivo su uno slargo della strada che funge anche da terrazza sul panorama. Posso vedere sulla destra il Sasso Barisano da una nuova angolazione e, sulla sinistra, un altro dei punti di interesse da me segnati sulla cartina ed è lì che mi sto dirigendo.
Per arrivare al Convento di Sant’Agostino ci metto più tempo del solito: una ripida discesa rischia di farmi scivolare più volte per colpa delle mie scarpe, così devo scendere come un infortunato che riprende a camminare al primo giorno di convalescenza. Però…una volta lì…la vista ripaga la fatica.
Seguo via D’Addozio in direzione del centro del sasso: su questa strada, oltre ai pedoni passano pure le macchine che fanno però fatica ad affiancarsi, dato lo spazio risicato a loro disposizione. Così, volente o nolente, uno dei due conducenti deve fare il magnanimo fermandosi e facendo passare l’altro per evitare stupide collisioni. Una deviazione a destra mi porta di fronte alla prima Chiesa Rupestre del mio tour di Matera, quella di San Pietro Barisano. Con la denominazione di Chiesa Rupestre si intende un luogo sacro scavato nella roccia, quindi ricavato in questo particolare modo.
La macchina lì gentilmente parcheggiata deve essere molto probabilmente dell’addetto alla biglietteria. Si perchè per entrare in questo tipo particolare di chiese si paga un ticket che può essere singolo o cumulativo per più siti simili. Pochi passi ancora e mi trovo di fronte alla Casa Cava, ma tiro avanti. Eccomi su Via Fiorentini, deciso come non mai a salire fino ad arrivare alla Civita perchè la prossima tappa è il Duomo. Inutile dire che ogni passo è buono per voltarmi e guardarmi intorno per vedere se riesco a beccare scorci sempre più interessanti. Una volta in cima, con il respiro leggermente affannato, c’è ad accogliermi un elemento che non avrebbe fatto un soldo di danno se fosse rimasto per i fatti suoi: un vento forte e gelido che riesce ad entrare in tutte le aperture del mio giaccone da montagna. Da qui però si ha un altro stupendo affaccio sul Sasso Barisano e basta questo per cancellare tutti i mali.
Confermo totalmente la mia teoria: queste non sono foto, ma dipinti. E non è certo per merito mio. Io ci metto ben poco: il merito è tutto di questa splendida città d’altri tempi. Il vero nome della Chiesa che si trova quassù in alto è Cattedrale di Maria Santissima della Bruna; ovvio che venga poi accorciato semplicemente in “Duomo”. Anche in questo caso le macchine parcheggiate danneggiano un tantino la visuale, ma fortunatamente non in modo eccessivo.
Decido di entrare all’interno per ampliare la conoscenza di questo storico edificio religioso; non faccio in tempo a varcare la soglia che mi viene proposto di acquistare un’audioguida al costo di due euro. Sinceramente parlando la mia curiosità non arriva a tanto, ma rispondo con un “no grazie” che va di pari passo con l’estrema gentilezza ed educazione dimostrata dalla mia interlocutrice. Cinque minuti e sono di nuovo fuori, il tempo necessario per percorrere l’intero perimetro osservando ciò che ritengo importante. Impressione positiva, anche se il mio giudizio finale è senza infamia e senza lode. Qui spicca una particolarità e necessita la narrazione di un altro pezzetto di storia: tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 tale Giancarlo Tramontano venne insignito della carica di “Conte di Matera”. La verità però dice che era una completa frana in quanto a capacità di gestione ed amministrazione del territorio; pensava solamente a se stesso comprando feudi e commissionando la costruzione di un castello proprio a Matera pagando il tutto con i soldi delle tasse e delle gabelle imposte ai poveri cittadini locali (mi ricorda più di qualcosa che si ripete anche ai giorni nostri…). Tutto questo durò fino al 29 dicembre 1514, data in cui i materani si vendicarono ben bene uccidendolo in un agguato appena fuori dal duomo, in una via a sinistra che non a caso venne ribattezzata “Via Riscatto” a testimoniare il reale motivo di tale omicidio. In questo momento mi trovo proprio dove tutto accadde poco più di 500 anni fa:
Imbocco ora la stretta Via S. Potito perchè c’è una cosa che vorrei tanto vedere prendendo la prima discesa sulla destra. Si tratta di “Casa Noha”, un sito curato dal FAI (Fondo Ambientale Italiano) che prevede la visione di un filmato chiamato “I Sassi Invisibili – Viaggio straordinario nella storia di Matera”. Da ciò che ho letto su internet in preparazione della partenza si tratta di un’attività interessantissima, per cui ci arrivo bello carico. Ma una volta lì…riecco la delusione della fontana di Piazza Vittorio Veneto: un cartello recita testualmente che Casa Noha effettua il riposo invernale dal 8 gennaio fino al 2 marzo. Alla faccia! Io mica li ho quasi due mesi di ferie l’anno. Considerando che non posso attendere qui fino al prossimo mese direi che me lo sono preso in saccoccia ben bene. Arrivo fino al palazzo che ospita il MUSMA, il museo della scultura contemporanea e poi proseguo oltre.
In questo momento mi trovo ai piedi della Civita, esattamente dove inizia la terza ed ultima parte dei vecchi rioni: il Sasso Caveoso. Non ci vuole uno storico o uno scienziato per capire il significato di questo nome anche un tantino buffo: fu scelto perchè tutte le abitazioni che si vedono sono in realtà caverne scavate nella roccia. Se la vista del Sasso Barisano è stata particolare, quella del Sasso Caveoso non ha eguali: una grotta accanto all’altra in un susseguirsi apparentemente senza fine. So di non esagerare quando, ripetendo il titolo di questo post, dico che mi trovo di fronte al vero riflesso della Luna sulla Terra. Da qui posso vedere solo gli ingressi di queste incredibili abitazioni, ma la particolarità più grande è che si sviluppano per chissà quanti metri all’interno di ciò che sembra essere quasi solo la parete di una collina.
Ma prima di scoprire ciò che mi aspetta su questo lato, un’amara sorpresa è dietro l’angolo. Mi trovo su Via Madonna delle Virtù e, all’altezza dell’inizio della discesa verso il Ponte Tibetano di Matera, trovo un classico di questa Italia che fa schifo: uno sbarramento composto da due lastre di legno chiude l’accesso e non si può passare oltre. Pare che nel recente passato si sia verificato un distaccamento di rocce tale da mettere a rischio la vita delle persone. Così, come sempre sempre ed ancora sempre accade, invece di usare i soldi delle tasse dei cittadini per sistemare le cose…che si fa? Si mette un bel divieto e la cosa finisce li. I miei complimenti non finiranno mai di dirigersi verso i nostri amministratori sempre più incapaci. Ma attenzione: non mi sto lamentando di tale situazione perchè mi è stata negata la possibilità di farmi un “selfie” sul Ponte come troppi ne ho dovuti sopportare on-line; per me quello sarebbe stato l’unico passaggio praticabile tra la città ed il Parco della Murgia Materana che ospita alcune chiese rupestri di mio interesse. Adesso mi tocca rinunciare perchè senza ponte e senza macchina ci si arriva solo con una camminata lunghissima (parlo di parecchi kilometri in andata ed altrettanti al ritorno). Col tempo a mia disposizione non ce l’avrei mai fatta. Qui mi soffermo su un’altro punto a sfavore del Sud dell’Italia: troppe volte, se non si ha un’automobile, non si possono raggiungere luoghi anche meravigliosi. Ma come si fà, dico io? Prima si incentiva la gente ad andare con i mezzi pubblici e poi, una volta che si sceglie questa opzione, mancano le modalità per arrivare dove si vorrebbe? In una marea di occasioni, costruendo un itinerario diretto nel nostro meridione, ho dovuto mandare tutto a monte per mancanza assoluta di collegamenti utili…cosa che non succede neanche nei paesi dell’Europa dell’est, senza offendere nessuno ma solo per citare nazioni che non se la passano proprio ottimamente. E noi saremmo la settima potenza economica mondiale? Ma almeno abbiate le decenza di non prenderci in giro, perchè se così fosse ci sarebbe da piangere per la pochezza che c’è nel resto del globo dall’ottavo posto in poi di questa FALSA classifica. Abbiamo un patrimonio inestimabile dal punto di vista ambientale, architettonico e molto altro ed invece di valorizzarlo investendo i nostri soldi vinciamo medaglie d’oro nello sport in cui siamo più bravi: la sparizione del denaro altrui. Stop alla polemica perchè altimenti mi sale di nuovo la bile come è successo davanti allo sbarramento della discesa verso il ponte. Purtroppo devo prendere atto che il programma di domani mattina è saltato in toto ed andare avanti. Per fortuna a “consolarmi” ci pensa il Sasso Caveoso che si mostra in tutta la sua bellezza e particolarità con la splendida Chiesa di San Pietro Caveoso situata nell’omonima piazza.
Sulla destra dell’edificio prendo Via Vico Solitario e dopo pochi metri mi trovo di fronte l’omonima Casa-Grotta. Continuo a passeggiare finchè raggiungo la Chiesa Rupestre di Santa Lucia alle Malve. Purtroppo l’immagine che posso portare via con la mia reflex non è delle migliori perchè lo spazio a disposizione per scattare una buona foto proprio non c’è.
Più cammino e più vedo sulla mia destra la presenza di un numero clamoroso di grotte; la maggior parte di esse ha delle porte che ne chiudono l’accesso (alcune di queste porte sono abbastanza moderne risultando “belle ed adeguate all’ambiente” alla pari di un cazzotto dritto in un occhio); altre hanno delle sbarre tipo prigioni che permettono di guardare al loro interno, mentre le ultime (soprattutto quelle che si trovano allontanandosi dal centro) sono totalmente aperte. La cosa che mi colpisce di più, a parte la particolarità “positiva” di un luogo come questo, è la totale incuria che viene dedicata a questa parte della città. Il motivo? Beh…diciamo che molte di queste caverne non sono solo inutilizzate (e ci sta pure), ma sono usate come discariche improvvisate (e questo proprio non mi va giù). Ebbene si: si trovano con una facilità estrema sia sporcizia varia che rifiuti di ogni genere. Altre grotte sono invece dei depositi di materiale edile e non solo; il migliore dei casi si ha quando si trovano quelle del tutto vuote…o quasi…perchè le bottiglie di birra o i resti di un vecchio falò ci sono sempre ed immancabilmente. Ma in assoluto la situazione che mi spaventa di più è quando vedo questo:
Sul cartello c’è scritto “Proprietà del Demanio”, ma letteralmente significa “spazio/bene perennemente inutilizzato, lasciato a morire senza soluzione alcuna e buttato letteralmente al vento finchè qualcuno delle altre sfere non si sveglierà e si ricorderà che esiste, cioè mai”. Arrivo fino al Convicino Sant’Antonio che è stranamente chiuso e devo limitarmi ad effettuare la foto del solo ingresso.
Più avanti, ultimissimo tratto del Sasso Caveoso in questa direzione, ho la possibilità di entrare liberamente in una caverna che anni prima era sicuramente usata come casa da chissà quale famiglia locale. Mi guardo intorno e vedo contorni ben delimitati dove la mano dell’uomo si nota benissimo: troppo lineari quelle “stanze” per essere state create unicamente dalla natura. Magari lei ha avviato il lavoro, ma il resto lo hanno fatto gli avi dei materani di oggi.
Oltre non c’è più nulla, per cui torno indietro perchè altre cose mi aspettano, volutamente lasciate alla fase successiva. Dando le spalle al Convicino Sant’Antonio comincio a vedere panorami indescrivibili della Civita. Una salita non difficile del Monterrone (uno sperone di roccia calcarea che non può passare inosservato) inizia più o meno dalla zona della Chiesa di Santa Lucia alle Malve e mi porta fino al piazzale dove si affaccia la Chiesa Rupestre di Santa Maria di Idris. Da questo preciso punto, essendo in alto rispetto a poco fa, si aprono panorami ancora più clamorosi.
Lascio il Sasso Caveoso e torno a salire nei pressi del punto dal quale ero arrivato, ma guai a prendere la stessa strada. Vedute suggestive ed incontri ravvicinati del “terzo micio” (anche se in realtà di gatti ne ho trovati solo due…però mi è piaciuta l’espressione) smorzano la fatica.
Per fotografare questo impaurito tigratino ho rischiato una delle più clamorose cadute che si possano immaginare: quasi invisibile, una patina di melma verdastra scivolosissima è presente sulla pavimentazione per un metro abbondante; non so davvero come ho fatto a mantenere l’equilibrio. Se fossi caduto lì sarei dovuto correre a cambiarmi per evitare figure clamorose con chiunque avessi incontrato…ma fortunatamente anche stavolta me la cavo. Conoscendo i gatti, da buon felino si sarà sicuramente messo lì di proposito per gustarsi la ridicola scena e ridere di me sotto ai suoi baffoni, ma stavolta gli è andata male. Al termine della salita vado verso sinistra e mi trovo in pieno centro, esattamente in Piazza del Sedile, subito dopo aver superato l’omonimo arco. La particolarità di questo spazio aperto è la presenza dell’edificio che ospita il “Conservatorio Statale di Musica Egidio Romualdo Duni” che non poteva non chiamarsi Palazzo del Sedile, costruito nel 1540.
Da qui, entrare in Piazza San Francesco e portarsi alla giusta distanza per ammirare la splendida Chiesa di San Francesco d’Assisi è questione di un attimo; ma la vista è inversamente proporzionale al tempo impiegato, quindi magnifica!
Tenendo poi le spalle verso l’edificio religioso trovo sulla destra la piccola Chiesa di Sant’Eligio (anch’essa situata nell’omonima piazzetta). Sulla sinistra si apre una delle strade più importanti di Matera, via Domenico Ridola, colma di punti di interesse. In primis c’è la Chiesa del Purgatorio, seguita da Santa Chiara e dal Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”.
La conclusione della via si ha in Piazza Giovanni Pascoli dove si trova Palazzo Lanfranchi, sede del Museo Nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata. Si può notare nella foto che segue anche la scultura dell’artista Kengiro Azuma chiamata “la goccia” (a sinistra della macchina). Il motivo è palese a chiunque la guardi. Dal “Belvedere Piazzetta Pascoli” si gode di un altro superbo affaccio sui Sassi di Matera.
Esco per un po’ dalla parte storica per fare un giro anche nella zona più nuova della città. Superato il Palazzo delll’Amministrazione Provinciale arrivo fino alla Chiesa di San Rocco per poi tornare indietro e dirigermi sul lato opposto fino a raggiungere il Castello Tramontano, quello che il vecchio conte/despota/ladro fece edificare e che rimase incompiuto perchè venne ucciso dai cittadini prima che venisse portato a termine.
Da qui mi spingo fino alla zona dello Stadio Comunale “Franco Salerno” dove gioca la squadra locale (una formazione di buon livello in Serie C), ovviamente chiuso da ogni parte senza alcuna possibilità di accesso. Riesco comunque a trovare una fessura in una delle porte metalliche che servono da ingresso per i tifosi e ci infilo gli occhi. Devo dire che non è niente male come impianto per la categoria; in giro c’è molto di peggio. Non posso però non notare una particolarità: proprio dietro alle mie spalle ci sono dei condomini, pure apparentemente nuovi a vedere dalle finiture…e fin qui tutto normale. Credo che in agenzia immobiliare, tra le varie caratteristiche degli appartamenti in vendita, quelli dei piani più alti costino di più perchè hanno compresa nel prezzo la vista gratuita della partita 🙂 . Niente blocca la loro visuale dalle terrazze, beati loro! Parlando di cose “spicciole” ma comunque importanti, sempre lì ci sono sia un supermercato classico che un discount: mi torneranno utili più tardi quando dovrò comprare qualcosa da bere e sgranocchiare per la stanza. Pian piano si sta facendo sera. La chiusura della discesa al ponte tibetano mi ha davvero distrutto i programmi per domani mattina, così mi prendo i dovuti tempi anzichè sbrigarmi e correre come spesso succede. Le visite più interessanti agli “interni” le rinvio al giorno successivo e continuo a vagare raggiungendo anche l’obiettivo di vedere la parte storica di Matera sia al tramonto che in tarda serata. Ecco una carrellata di immagini che spiegano meglio di mille parole cosa intendo.
Tutto molto bello , ma il meglio arriva adesso…
Direi che è il momento di acquistare il dovuto al market e portarlo in stanza per poi pensare alla cena. Un collega che ha visitato la città l’anno scorso mi ha consigliato una pizzeria che trovo agevolmente (non sta troppo lontano dal mio alloggio di stanotte); antipasto, pizza e birra (purtroppo in bottiglia e non alla spina) sono di ottima qualità ed il prezzo è modico. Soddisfatto rientro definitivamente e mi dedico un po’ al sano relax col mio gioco abituale sul computer portatile.
Domenica mattina: la sveglia suona intorno alle 8:30; faccio colazione, preparo tutte le mie cose e mi appresto ad uscire. La cortesia di Francesco non ha confini: oggi non ha nuovi ospiti, per cui mi permette di tenere il borsone all’interno dell’appartamento fino all’ora della mia partenza fissata per le 13:15. La giornata è soleggiata, ma il vento tagliente di ieri è rimasto. E’ sicuramente sempre meglio della pioggia; sono curioso di vedere che cosa venderanno gli africani in Piazza Vittorio Veneto e quando ci arrivo li trovo senza passeggini, ma con le solite e monotone aste per i selfie in mano. In più pare che oggi sia l’ultima domenica di carnevale (lo capisco dai bambini che già sono in giro mascherati insieme ai genitori), per cui i grandi affari sono estesi anche alle buste con i coriandoli: roba grossa, non c’è che dire 🙁 . Come se non bastasse inizio a vedere gruppi di turisti intorno alle guide e due gazebo di propaganda elettorale, immancabili perchè il “fatidico” 4 marzo 2018 si sta avvicinando a grandi falcate. Due sono gli ingressi a pagamento che ho intenzione di effettuare, così mi dirigo verso il Sasso Caveoso dove si trova la Casa-Grotta di Vico Solitario: ho scelto questa per accrescere un altro po’ la mia cultura. Quando ci arrivo trovo un simpatico fantoccio sopra alla porta di ingresso.
Il tour ha il costo di tre euro ed è diviso in quattro tappe. La prima si ha immediatamente alle spalle della biglietteria ed alla fine è tutto ciò che mi interessa. Il resto è puro contorno per dare un senso al ticket pagato. Ma andiamo con con ordine. Come dice il nome stesso, una Casa-Grotta è una tipica abitazione delle famiglie materane fino al 1968 (anno in cui l’ultima fu fatta abbandonare dall’apposita legge sui Sassi) interamente scavata nella roccia. Sono davvero curioso di vederla, così supero la tenda che copre l’ingresso. Ci trovo una coppia di persone in attesa ed un’addetta adagiata su una sedia. Di lì a pochi secondi parte un’audioguida che ci illustra le varie parti di ciò che sto vedendo; nel frattempo mi guardo intorno. L’unico ambiente presente è davvero piccolo ed angusto e sembra più una caverna che una casa. Tante sono le cose che mi chiedo e che mi colpiscono, così ascolto con attenzione ciò che la voce registrata ha da dire. Una conferma arriva quasi subito: anche se il posto disponibile è risicato, le famiglie che vivono in queste condizioni sono comunque numerose, quindi con molti figli. Cio che proprio non mi aspettavo è che la Casa-Grotta venisse divisa con gli animali di proprietà (ovviamente poteva farlo chi ne aveva e quindi chi poteva permetterseli). Per mostrare tutto ciò nella realtà, a pochissima distanza dal letto c’è una sagoma di un cavallo a grandezza quasi naturale. Inoltre noto che il letto è molto rialzato ed anche questo dubbio viene risolto: in primis veniva fatto per dormire più lontano possibile dall’umidità della roccia del pavimento; in secondo luogo c’era anche chi ci accomodava le galline. Tutto era calcolato sul filo dei centimetri perchè, a pensarci bene, c’erano tantissime cose se rapportate allo spazio vivibile. Così si vede il telaio con dietro alcuni attrezzi utili alla quotidianità appesi al muro, un mobile a cassettoni per i vestiti, il cassone del grano, un piccolo tavolino su cui si mangiava tutti insieme dentro ad un unico piatto e…mancando totalmente l’acqua corrente e la fognatura, un unico vaso di terracotta che tutti i membri della famiglia usavano come WC. Questi sono i principali motivi del rapido diffondersi delle malattie e dell’alta mortalità, sia infantile che non, che caratterizzava questa parte d’Italia. Infine, vicino alla porta di ingresso c’è la cucina. Ci tengo però a precisare una cosa: ascolto e guardo con attenzione e con stupore, ma assolutamente non per giudicare. Certe situazioni vanno solo vissute per poterle capire e se questa era la condizione dell’epoca, essa era dettata soprattutto da un’altissima povertà e dall’impossibilità concreta di cambiare rotta. Da parte mia, e sarò anche ripetitivo ma non me ne frega un fico secco, sono ben altri i comportamenti di cui l’uomo in generale si dovrebbe vergognare nascondendo la testa nella terra come gli struzzi.
Esco da qui e proseguo con gli altri ambienti: il primo è la “neviera”. In un contesto simile tutto diventa utile, persino la neve che era considerata una benedizione quando arrivava. Veniva usata in qualsiasi maniera possibile ed immaginabile (due esempi sono quello medico, come antipiretico ed antiemorragico e, più semplicemente, per dare refrigerio durante le torride estati). Sembra incredibile al giorno d’oggi ma in passato il commercio della neve era regolato da leggi dello stato e spesso poteva essere fatto solo dopo averne ottenuto specifiche concessioni. Per cui avere un ambiente in cui poter conservare la neve era molto importante. Però la verità è che occorre lavorare molto con l’immaginazione perchè ho davanti a me una grotta come ce ne sono tante, solo scavata maggiormente in profondità proprio per questo uso. Il terzo ambiente è chiamato “grotta naturale”…dove la proprietà ha pensato bene di allestire un filmato di Matera trasmesso su un televisiore a parete Cosa c’entra? Boh…; L’ultimo ambiente è un po’ più interessante: si tratta della Chiesa Rupestre di San Pietro in Monterrone che si sviluppa in un unico piccolo ambiente. La visita termina qui, così torno all’esterno e mi dirigo in una nuova parte della città seguendo Via Madonna delle Virtù, quella che affaccia da un lato sul torrente Gravina: attualmente mi sembra che il fiumiciattolo stia portando pochissima acqua. Al di là del torrente stesso c’è la parte che mi è interdetta, cioè il Parco della Murgia Materana che mostra anch’esso un numero imprecisato di cavità nella roccia.
La strada che sto percorrendo si chiama così perchè lungo il suo percorso si incontra la Chiesa Rupestre “Madonna delle Virtù” che ospita anche la cripta “San Nicola dei Greci”. Alla fine mi ricollego con Via Fiorentini che già conosco. Mi dedico quindi ad una più attenta esplorazione del Sasso Barisano, visto che ho tempo per poterlo fare. Tra le varie sfumature trovo il “Teatro Talia” che ovviamente riporta la scritta “Teatro nel Sasso”.
Guardo l’orologio e vedo che è il momento della seconda ed ultima visita della mattinata: quella al Palombaro Lungo. Con questo strano nome viene indicata una enorme cisterna che veniva usata dai materani per ovviare alla carenza di acqua nella loro zona. Grazie a questa, ad altre cisterne più piccole dislocate sul territorio e ad un sistema di canali/condutture, la situazione risultava normale. Come dicevo all’inizio, questo sito si trova esattamente in Piazza Vittorio Veneto e vi si può accedere tutti i giorni ad orari prefissati: ogni ora dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00. Anche qui il costo del biglietto è di tre euro e l’intero giro dura intorno ai venti minuti. Tramite un sistema di scale e passatoie metalliche si entra nel cuore della cisterna che oggi contiene una quantità minima d’acqua totalmente scenica. La guida illustra le varie caratteristiche, come avveniva l’approvvigionamento del prezioso liquido (sia con conferimento di acqua piovana che sorgiva) e dà un po’ di info pratiche miste a numeri: il più impressionante è la capacità totale che può arrivare a 5 milioni di litri; la cosa più particolare è che la linea che demarca il livello dell’acqua è praticamente all’altezza del soffitto: vale a dire che questo invaso ha quasi sempre lavorato a pienissimo regime. Tale cavità non è nata da sola, ma è stata scavata dai materani sia in principio che con altri lavori di ampliamento successivi; seguì poi la fase dell’impermeabilizzazione (altrimenti l’acqua sarebbe andata perduta tra le rocce) avvenuto rivestendo tutte le pareti con uno speciale composto che ha sempre fatto egregiamente il suo dovere. Insomma…non c’è che dire: riguardo ad inventiva ed a capacità di realizzazione, questa gente non era seconda a nessuno. Alla fine del percorso…la verità è che ( a mio modesto parere) non vale la pena pagare per scendere fin quaggiù. L’immagine “di copertina” del sito mostra qualcosa di straordinario che in realtà non c’è e si rimane un tantino delusi; oggi come oggi…pare brutto a dirsi…ma tra pagare per sentire qualcuno che mi spiega delle nozioni e trovarle gratis su Google…preferisco la seconda opzione. Quando mi ritrovo fuori dal Palombaro Lungo ho ancora un’oretta a disposizione e la passo girando senza mèta cercando qualcosa che ancora non ho visto. Trovo così una statua bronzea dedicata al Calderaio e situata nella “Piazzetta della Cittadinanza Attiva”, la Parrocchia Maria Santissima Annunziata e la Parrocchia di Santissima Maria Immacolata.
Sono le 12:15, per cui inizio la fase di avvicinamento prima a Piazza Vittorio Veneto e poi a Via Roma, dove devo andare per prendere il borsone e dirigermi poi all’autostazione per l’inizio del rientro a casa. Alle 12:30 in punto mi chiama Francesco che non finisce di stupirmi: mi dice che ci saremmo visti alle 12:50, così avrei potuto riconsegnargli le chiavi di persona e che mi avrebbe accompagnato in macchina alla fermata del pullman evitandomi i circa 2 kilometri a piedi. Chiedo conferma se davvero non disturbo e poi accetto. Ho quindi un’altra ventina di minuti e torno dove il giro è iniziato, cioè al “Belvedere Luigi Guerricchio” per un ultimo sguardo sui Sassi. Poi mi metto in piazza appoggiato ad un muretto e così passo il tempo rimanente: la bella giornata ha attirato un sacco di gente al punto da non riconoscere quasi più quel luogo, eppure è lo stesso del mattino precedente in cui c’eravamo solo io ed i venditori africani. Mi reco all’appuntamento dove entrambi siamo puntualissimi; in pochi minuti arrivo a Via Don Luigi Sturzo e lì chiedo a Francesco come potermi sdebitare di tanta cortesia. La sua risposta è lapidara: “Basta un grazie”. Ovviamente non mi tiro indietro, però stavolta aggiungo una cosa mai fatta fino ad ora indicando il nome della sua struttura in questo post. Giuro solennemente che si tratta solo di gratitudine e che non ho ricevuto un solo centesimo di euro in cambio. Per chi volesse avere un appartamento confortevolissimo, pulito e gestito da persone davvero corrette consiglio di rivolgervi al “B&B Le Casette – Recinto Roma n. 11 – Matera”. Fortunatamente il pullman è già lì, così mostro il biglietto al conducente e salgo a bordo al calduccio: quel vento freddo sta diventando davvero poco sopportabile. Stranamente il bus con destinazione Napoli arriva prima a Bari (dove carica altra gente) e poi va nel capoluogo campano senza altre tappe intermedie. Passo lì un paio d’ore dove ceno e completo il tutto con una buonissima e pesante frolla come dolce per poi prendere il pullman per Roma Tiburtina che, seguito dalle due linee della metro della capitale, mi riporta dritto a casa ad un orario decente.
La conclusione non può essere che scontata e l’ho detta anche a Francesco durante una delle nostre brevi chiacchierate: ci ho messo davvero troppo tempo a venire a visitare Matera perchè a mio parere merita davvero tanto. Che fosse particolare ed anche speciale lo sapevo, ma le sensazioni vere si provano solo quando si è sul posto, non leggendo le guide o vedendo foto on-line. Dopo il titolo e la citazione sul post ripeto lo stesso concetto per la terza volta: vedere i Sassi da uno dei tanti affacci possibili è come osservare il vero riflesso di un paesaggio lunare sulla terra, una cosa rara ed incredibile. Mi viene detto che fino a 3-4 anni fa non c’era quasi assolutamente turismo italiano qui, ma solo stranieri. Guarda caso…la nomina della città a Capitale Europea della cultura 2019 insieme a Plovdiv ha fatto smuovere la curiosità (e le chiappe…) a tanta gente. Adesso il dubbio è uno solo: cosa succederà dal 1° gennaio 2020, quando tutto sarà finito e si tornerà alla normalità? Tornerà la situazione com’era prima di 3-4 anni fa oppure qualcuno si ricorderà di questo magico luogo? Non resta altro che aspettare e vedere perchè solo il tempo potrà darci una risposta certa. Una cosa è sicura: prima della fine dell’anno il problema delle grotte-discariche dovrà essere risolto. Mostrarsi agli occhi del mondo in questo stato non è certamente il massimo della vita. Già immagino la faccia di un visitatore austriaco “generico” abituato alla sua nazione linda e pinta trovarsi di fronte a cotanta incuria. Già ci prendono tanto in giro…perchè dargliene atto quando basterebbe molto poco? Mi auguro che tanta gente visiti Matera e che lo faccia responsabilmente. Come ha giustamente detto un pensionato del luogo con cui ho avuto modo ed il piacere di parlare, qui serve un turismo non di massa, bensì intelligente. Non dimentichiamolo…