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Eccomi dunque al primo post del 2021: la situazione della pandemia in corso continua ad essere distruttiva per il mio morale che ormai peggiora sempre di più; credevo di aver toccato il fondo ma non è così. Fin dal primo giorno ho pensato che le limitazioni alla libertà personale (e quindi ai viaggi) fossero sbagliate e l’idea dopo quasi undici mesi non è cambiata di una virgola. Più di qualcuno dice che così si vive ugualmente, ma la risposta che do io è negativa; forse è tutto ok per i sedentari, per i pantofolari e per gli ipocondriaci, ma chi ha veramente voglia di scoprire il mondo sa bene che questa è prigionia. Basti pensare che dal 21 dicembre 2020 fino a tutto il 31 gennaio 2021 nel Lazio (mia regione di residenza) c’è stato solo mezzo week-end colorato di giallo: un misero giorno per poter uscire dal proprio comune senza comunque poter superare i confini regionali. Tutto il resto del periodo è stato suddiviso tra fascia rossa ed arancione. Oltre al danno è arrivata pure la beffa: il passaggio dal giallo all’arancione è avvenuto di domenica, mentre viceversa il downgrade del rischio è successo di lunedi; ciò è la prova lampante che ogni dettaglio viene studiato minuziosamente a tavolino per togliere la possibilità alle persone di organizzare qualsiasi cosa. Non ci si vuole proprio rendere conto che sono questi piccoli particolari che sanno di totale presa in giro ed allo stesso tempo si dimostra cattiveria allo stato puro. Il problema maggiore riguarda il futuro: questa follia andrà avanti ancora per molti mesi e già si parla di passaporto sanitario, di tamponi da presentare sia in partenza che in arrivo, di permettere tantissime attività solo ai vaccinati (rendendo dunque questa cosa come obbligatoria di fatto, alla faccia della tanto decantata possibilità di scelta) e chi più ne ha più ne metta. Tornando all’argomento di questo racconto, quell’unico giorno di libertà vigilata di cui ho parlato poco fa è sabato 16 gennaio; anche se si tratta solo di poche ore non lavorative senza le restrizioni più ferree non ce la faccio a lasciarle volare via, così organizzo un giro che è si forzato (inutile negarlo…) ma che allo stesso tempo si presenta come una misera boccata d’ossigeno contornata da quaranta giorni di apnea imposta. Incrociando i mezzi pubblici a disposizione al momento (gli orari ormai cambiano ogni tre settimane perchè vengono modellati secondo la richiesta che dipende proprio dalle famosissime misure contenitive/punitive) trovo una combinazione utile per visitare Bolsena e Tuscania, due piccole località della provincia di Viterbo che ancora mi mancano e che mi ispirano. Ultima cosa degna di nota: il pessimo meteo che sta caratterizzando questo inverno (come se tutto il resto già non fosse sufficiente) decide di regalarmi una giornata molto fredda, ma allietata da un bellissimo sole; è un po’ come se la natura sapesse che scaraventare a terra altra pioggia anche oggi sarebbe davvero troppo. Già…la natura se ne rende conto, mentre gli uomini che dovrebbero aiutarci ci affossano senza pietà. E’ ora di vedere cos’è successo…
Sabato mattina: la sveglia suona alle 04:50 ed ovviamente è ancora buio pesto fuori dalla finestra di camera mia; la temperatura esterna che indica il cellulare è di zero gradi ed il sonno non vuole smetterla di farmi compagnia. Nonostante questi fattori mi alzo, mi preparo, esco e parcheggio la macchina alla stazione Anagnina. Innanzi tutto devo raggiungere Viterbo, ma il primo treno a disposizione mi farebbe arrivare troppo tardi e mi negherebbe la possibilità di prendere un’importante coincidenza, così l’alternativa spendibile è il bus della compagnia Cotral. Prendo la metro e scendo a Flaminio dove, per la prima volta in vita mia, ho la possibilità di utilizzare la ferrovia Roma-Civita Castellana-Viterbo: di viaggi fino ad oggi ne ho fatti molti ed anche in paesi meno abbienti del nostro, ma posso affermare senza ombra di dubbio che questo mezzo di trasporto è la più grande vergogna che io abbia mai visto in una nazione che si vanta di essere la settima potenza economica mondiale; non trovo neanche le parole per descrivere questo servizio tanto indecente quanto incredibile. L’unica fortuna che ho è che l’agonia è breve perchè scendo a Saxa Rubra, capolinea di partenza dei pullman blu sopra citati. Salgo a bordo e la musica cambia: qualità, pulizia discreta e soprattutto un calduccio niente male allietano i miei successivi ottanta minuti. All’arrivo nel capoluogo della Tuscia ho circa quaranta minuti a disposizione e faccio una breve passeggiata in centro andando a colpo sicuro, dato che lo conosco già (vedi post dedicato). Alle 9:00 in punto prendo un nuovo Cotral che, dopo aver attraversato Montefiascone, mi lascia a Bolsena. Sono circa 4.000 le persone che vivono qui e già questo basta per dare le giuste dimensioni a quello che è poco più di un borgo; la musica cambia (e tanto) in estate, periodo in cui l’omonimo lago si riempie di turisti attratti dalla bellezza di questi luoghi, dall’offerta culturale e dalla possibilità di un bel bagno rinfrescante nelle limpide acque qui presenti. E oggi? Facile: neanche la morte cammina nelle vie lastricate perchè ha dimenticato la mascherina a casa. Per la prima volta gli alberi completamente spogli del lungolago sono il male minore ed è una tristezza clamorosa, ma questo passa il convento di San DPCM e bisogna farselo bastare. Bolsena è anche conosciuta per il miracolo eucaristico del 1263: per farla breve (io non sono religioso) si dice che un’ostia abbia iniziato a sanguinare tra le mani di un parroco (che casualmente aveva perso la fede…) durante la celebrazione della messa. Peccato che in quei tempi non ci fossero le conoscenze scientifiche di oggi e che la gente era credulona all’ennesima potenza, dato che è stato dimostrato (e riprodotto più volte) che la presenza di un batterio nel pane genera questo tipo di effetto senza alcuna difficoltà. Lasciando il sacro per dar spazio al profano, la fermata dove mi ritrovo è su via Antonio Gramsci; proprio dietro di me c’è un ampio spazio adibito a parcheggio dal quale posso ammirare un bello scorcio della parte storica.
Non vedo l’ora di esplorare le stradine antiche, ma decido di seguire il mio programma e, superando il palazzo che ospita il municipio, prendo via Bruno Buozzi e mi trovo di fronte alla “Basilica di Santa Cristina” che merita assolutamente una sosta. L’inizio è davvero col botto.
Una passeggiata per buona parte in salita mi conduce fin davanti al “Convento di Santa Maria del Giglio”; una volta immortalato come si deve inverto la marcia e ripercorro lo stesso tratto fermandomi poco dopo l’edificio del Comune. Qui su Piazza Matteotti affacciano il “Teatro San Francesco” e l’omonima porta che mi permette di entrare a pieno titolo nel centro storico.
Non me lo faccio ripetere due volte e procedo: lo spazio che separa le facciate dei palazzi dirimpettai è abbastanza risicato e, come spesso accade in realtà come questa, il sole non riesce quasi neanche ad entrare e l’ombra regna ovunque incontrastata. Anche se ciò che vedo non è niente di estremamente eccezionale, è piacevole camminare qui, guardarmi intorno e cercare i particolari nelle arterie perpendicolari ancora più minute. Nello slargo dove l’attuale Corso Cavour cambia nome e diventa Via Porta Fiorentina c’è la “Fontana di San Rocco”, il cui colpo d’occhio è rovinato sia dal groviglio di impalcature e coperture montate sulla parete del palazzo ubicato subito dietro che dall’unico raggio di luce presente.
Arrivo all’estremità opposta rispetto a quella dalla quale sono entrato e trovo la “Fontana di Piazza San Giovanni” e “Porta Fiorentina”.
Un discreto strappo in salita aspetta me esattamente come io aspetto lui; le restrizioni alla libertà personale mi hanno fatto perdere quasi completamente l’allenamento che mi permetteva di affrontare i ritmi pesanti che caratterizzavano i miei viaggi e già so che tornare a quei livelli sarà durissima; per il momento c’è questo, così muovo le gambe e vado. La breve fatica è abbondantemente ripagata da una vista sui tetti di Bolsena, il cui colore rossastro è in netto contrasto col magnifico blu del lago all’orizzonte. Nessuna parola può descrivere tutto ciò come l’immagine seguente:
E’ difficile staccarsi da un panorama del genere, soprattutto pensando che è preso in una giornata di metà gennaio. Pochi passi ancora ed eccomi in Piazza Monaldeschi: qui ammiro la “Chiesa di San Salvatore”, una graziosa fontana e la “Rocca Monaldeschi della Cervara”. Questa costruzione è conosciuta più comunemente come Castello di Bolsena ed ospita al suo interno il Museo Territoriale del Lago ed un acquario, tutto rigorosamente chiuso a tempo indeterminato causa DPCM selvaggio. Conclude l’area l’antica “Chiesa della Madonna del Cacciatore” che mi appare leggermente in disuso.
Torno in piazza e da qui mi diletto a passeggiare nella parte alta del borgo dove, tra abitazioni e piccoli negozietti, trovo l’Antica Chiesa del Santissimo Salvatore, ovviamente non fotografabile a causa della totale mancanza di spazio utile. E’ il momento di tornare giù e lo faccio tramite una viuzza dove sicuramente c’è passata la storia…forse un po’ troppo…perchè è molto ma molto dissestata. Da una parte la sensazione che regalano queste poche decine di metri è particolare, ma dall’altra forse sarebbe il caso di dargli un’aggiustata. Rimetto piede su Corso Cavour e da qui punto dritto verso l’ultima attrazione che manca al completamento del mio giro mattutino, ovvero il lago. Me la prendo comoda perchè ho ancora tempo; vado talmente piano da impiegare addirittura quattro minuti per raggiungerlo, altro segnale delle minuscole distanze che caratterizzano la località che mi ospita. Al centro della rotondissima Piazza Dante Alighieri c’è una fontana non funzionante che fa da preludio ai localini presenti subito dopo, tutti mestamente sprangati. Oltre al piccolo porticciolo non c’è molto altro da descrivere, così segue una carrellata delle migliori foto che riesco a portare nel mio album dei ricordi.
Prima di voltargli le spalle e salutarlo fisso a lungo il lago ed ancora mi chiedo come sia possibile che QUALCHE ESTRANEO mi abbia costretto a gettare al vento così tanto tempo della MIA vita; io che ero abituato a pianificare anche i secondi perchè i minuti erano ormai troppo occupati…io che ero perennemente indietro per le tante cose da fare e che oggi invece mi giro talmente tanto i pollici per la noia da non ricordarmi neanche da quando succede. Il lago non mi risponde (è senza parole anche lui…), così mi incammino verso la fermata di Via Antonio Gramsci perchè il prossimo Cotral sta per passare. Lo fa con puntualità ed è così che lascio Bolsena; sono diretto nuovamente a Viterbo, efficientissimo nodo di scambio per tutti i paesini della sua provincia. Al capolinea aspetto una ventina di minuti la nuova coincidenza che mi conduce alla prossima località in circa mezz’ora. Mi trovo a Tuscania e sono ansioso di visitarla perchè ne ho sempre sentito parlare bene. Ciò che mi colpisce subito è l’imponente cinta muraria che circonda la parte storica: è davvero bella e ben conservata. Da programma mi porto su Piazzale Trieste dove vedo “Porta di Poggio”: la guardo soltanto per poi proseguire oltre. La mia attenzione va poi sulla “Fontana Itinerante di Sant’Antonio”; il motivo di questo nome è facilmente intuibile: nel corso della sua storia è stata spostata almeno in tre differenti punti della città ed ora è parcheggiata in Piazza Italia. E’ poi la volta della vicina “Porta San Marco” seguita dalla “Chiesa di Santa Maria del Riposo”. L’adiacente Museo Archeologico Nazionale di Tuscania è chiuso per ordini “superiori”.
Torno sui miei passi ed entro nel centro storico tramite Porta San Marco; la primissima impressione che ho è super positiva perchè noto un giusto mix tra autenticità del luogo ed adattamento alla vita di tutti i giorni: ciò che mi circonda non è stato snaturato, ma neanche lasciato cadere a pezzi. L’unico punto negativo è rappresentato dalle troppe macchine parcheggiate ovunque, ma d’altra parte gli abitanti (circa 8.200) devono pur viverci senza essere eccessivamente penalizzati. Non mi resta altro da fare che prepararmi a subire le conseguenze della mancanza di luce negli spazi troppo stretti che questa antica area sta per presentarmi. Il prossimo punto di interesse segnato sulla mia mappa è la “Chiesa di San Marco”; subito dopo entro in Piazza Mazzini che ospita la “Fontana di Montascide” clamorosamente coperta da autovetture in quanto davanti ad essa pare che si possa posteggiare senza problemi. Senza parole provo ad immortalare l’opera nel miglior modo possibile nonostante l’ovvia difficoltà. Concludo l’area poche decine di metri più avanti osservando la “Chiesa di San Giuseppe”.
Risalgo per Via V. Campanari e provo ad ammirare (ombra permettendo) la “Chiesa di Santa Maria della Rosa; proseguo il cammino raggiungendo la “Chiesa di San Silvestro”. Con la successiva marcia lungo via della Annessione trovo la “Fontana di Largo Belvedere”. Non è sola perchè ci sono diverse autovetture a farle compagnia e serve un mezzo gioco di prestigio per non inquadrarle 🙁 . La “Chiesa di San Giovanni Decollato” è un gradevole edificio religioso senza fronzoli e perfettamente amalgamato tra le civili abitazioni del quartiere, mentre una delusione me la dà la “Chiesa di San Paolo” che è senza infamia e senza lode.
Prendo Via della Pace con l’intenzione di vedere la piccola “Chiesa di Santa Maria della Pace”; so già che dovrò farlo dall’esterno di un cancello chiuso e che tra me e lei ci sarà un cortile, ma ci provo lo stesso. Sempre in zona c’è il complesso dell’antico Convento di San Francesco con annesso parco, ma purtroppo è completamente inaccessibile. Da qui ho una visuale abbastanza scenografica del retro della Chiesa di San Pietro che non vedo l’ora di visitare, ma prima ho altro in programma e vado per gradi.
Pochi passi ed entro in Piazza F. Basile, slargo abbastanza ricco di attrazioni: lo stesso palazzo ospita sia il “Municipio” che il “Teatro il Rivellino”; accanto si erge l’imponente “Chiesa di San Lorenzo” mentre l’accesso alla ex Chiesa di Santa Croce (oggi adibita a biblioteca comunale) è interdetto. Sempre qui noto la presenza di diverse sculture come quella mostrata nell’ultima foto del blocco seguente:
Ecco che arriva il momento della burla: mi affaccio dal parapetto della piazza in cui mi trovo e vedo sotto di me la “Fontana delle Sette Cannelle”, ovvero il prossimo punto di interesse previsto dalla mia mappa. Per cercare di capire come raggiungerla guardo come sempre Google Maps che, senza colpo ferire, mi dice che mi occorreranno ben dodici minuti. Dopo due secondi netti che mi prendo come tara per lo stupore spengo il navigatore ed intravedo delle scale a brevissima distanza che mi portano all’obiettivo in meno di trenta secondi. La tecnologia va bene, ma bisogna sempre capire quando bypassarla. Purtroppo la presenza di sole ed ombra che si dividono equamente la parete sulla quale è appoggiata la fontana rendono uno schifo l’immagine che segue.
Finalmente è il momento di dirigermi verso la Chiesa di San Pietro; durante il tragitto che mi separa da una delle cose più belle di Tuscania (se non la più bella in assoluto) incontro un tratto dell’Antica Via Clodia che non lascio passare inosservata. Una cosa è certa: le ciambelle non riescono tutte col buco, soprattutto in questo dannato periodo…perchè dopo aver affrontato un lieve strappo in salita trovo tutto chiuso. Una rapida ricerca tramite smartphone mi dice che il sito è aperto da dei volontari (quindi il solito scempio tutto italiano in cui le amministrazioni preposte non si occupano di luoghi unici e meravigliosi) in determinati orari dal martedi alla domenica; ci vuole un attimo a fare due più due: oggi è sabato e rientro pienamente nelle ore indicate, ma nonostante ciò è tutto vano. Temo c’entri più di qualcosa la collezione di DPCM che sono stati lanciati a casaccio da marzo 2020 ad oggi. Giro le spalle e torno via incavolato nero e solo la recita dei miei rosari mentali (?!?) riesce a placarmi, ma la tregua dura poco perchè lo stesso destino lo ritrovo alla vicina “Chiesa di Santa Maria Maggiore”. Di quest’ultima è possibile vedere la facciata, ovvero un misero contentino che è almeno qualcosa rispetto al niente di poco fa.
Cerco di andare oltre e imposto una nuova direzione di marcia che mi porta in pochissimi minuti davanti alla “Torre di Lavello” che funge da guardiano per l’omonimo parco; si tratta di un’area verde molto frequentata dai locali che la usano per trascorrere i loro momenti di relax. Degni di nota ci sono una fontana, una meridiana e soprattutto un affaccio meraviglioso sui “Ruderi del Castello del Rivellino” e sull’ormai famosissima Chiesa di San Pietro per la quale ancora mi rode il chiccherone.
All’uscita del parco (e dietro ad altre macchine parcheggiate ovunque senza soluzione di continuità) c’è la “Ex Chiesa di San Biagio”; cammino poi in una zona dove trovo un po’ di gente, ovviamente seduta ai tavolini dei vari bar qui presenti a consumare l’aperitivo anticipato come è ormai consuetudine da quando i locali della ristorazione chiudono alle 18:00. In Piazza Domenico Bastianini posso osservare la “Fontana Grande” ed il “Duomo di San Giacomo Maggiore”. Concludo poi il tour con la “Chiesa di Sant’Agostino”.
Esco dal centro storico da Porta di Poggio e mi ritrovo nuovamente su Piazzale Trieste: la prima cosa che ho visto al mio arrivo qui è anche l’ultima che saluto. Ho circa venticinque minuti di tempo a disposizione e vado ad un Lidl a prendere qualche sfizio da sgranocchiare durante il viaggio di ritorno che non sarà affatto breve. Ripassare da Viterbo non mi conviene, per cui prendo un puntualissimo Cotral che mi porta a Civitavecchia. Spostandomi a piedi verso la stazione noto una marea di ragazzi in età da scuole superiori che bazzicano allegramente il lungomare a gruppi senza che nessuno dica niente; sono mascherati, ma sicuramente non distanziati. Acquisto l’ultimo biglietto della giornata e salgo sul treno che mi porta a Roma Termini; da lì la metropolitana e l’auto verso casa chiudono anche questa uscita.
In conclusione, nonostante tutto ciò che siamo costretti a passare e nonostante la scelta delle destinazioni sia abbastanza obbligata, posso dire che le ore che ho dedicato a Bolsena ed a Tuscania non sono state gettate al vento. Le due località sono piccole, ma in proporzione hanno belle cose da offrire. Se poi qualcuno la smettesse di chiudere i luoghi della cultura sarebbe il top. Ringrazio la compagnia dei bus Cotral perchè ha fatto il suo dovere dall’inizio alla fine mantenendo fede a tutte le coincidenze studiate ed ha letteralmente cancellato la mia paura di rimanere a piedi chissà dove dovendomi cercare un albergo per la notte in fretta e furia. Per chi, come me, vive nel Lazio ed a casa si sente soffocare consiglio di evadere un po’ visitando la Tuscia e le sue bellezze; le cittadine oggetto di questo post sono due esempi che sarebbe meglio non perdere.