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*** ATTENZIONE: LE FOTO DEI MURALES DI ORGOSOLO SONO ALLA FINE DI QUESTO POST ***
Secondo week-end di ottobre dell’anno topico della pandemia; la situazione si fa sempre più paradossale perchè il governo ha imposto da pochissimo l’obbligo di portare le mascherine anche all’aperto. Ovvero nuova dittatura si somma alla dittatura precedente. Già quei maledetti arnesi sono inutili al chiuso, figuriamoci in ambienti esterni. La cosa grave è che si tratta di obblighi (sanzionati con multe salatissime in caso di infrazione) messi da coloro che su questa storia ci hanno capito meno di tutti e che si fanno forti grazie all’esercito dei lobotomizzati che sono riusciti a sottomettere in questi mesi incutendo il terrore più totale. In pratica si tenta di tutto per far passare alle persone la voglia di fare, per costringerle a perdere anche il più piccolo barlume di intenzione di inventarsi qualcosa per passare il tempo che non sia lo stare chiusi dentro casa. Con me ci saranno riusciti? Ovviamente no. La Ryanair mi offre una possibilità che non si può rifiutare, ovvero voli di andata e ritorno per un week-end lungo in Sardegna al costo totale di 30 euro; quando ci sono queste cifre partirei anche con i piombi ai piedi, figuriamoci se mi lascio fermare da una pezza di stoffa sulla faccia. Per quanto indossare l’odiosa mascherina sia noioso e straziante, la mia voglia di scoprire posti nuovi è e sarà sempre più forte. E’ scontato che non vado in Sardegna per il mare stavolta; tutto il mondo sa che è il suo fiore all’occhiello, però immagino che ci sia anche qualcosa di più da vedere e nelle precedenti occasioni le località di Cagliari, Olbia e Tempio Pausania non mi sono dispiaciute affatto. C’è un problema col quale mi sono dovuto scontrare in maniera pesante: i mezzi pubblici in questa splendida regione non sono capillari, anzi…è davvero difficile spostarsi da una località all’altra in poco tempo; ogni trasferimento porta via ore ed ore e per chi come me non ha a disposizione settimane o mesi diventa tutto abbastanza complicato. La fase di preparazione dell’itinerario è stata molto più complessa del solito, ma alla fine sono riuscito a tirare fuori il coniglio dal cilindro come sempre. E’ così’ che in tre giorni riesco ad esplorare (in questo ordine) Oristano, Bosa, Orgosolo, Nuoro ed Iglesias. Dopo questa lunga ma doverosa premessa direi che è il caso di andare a vedere cosa è successo…
Sabato mattina: Mi sveglio presto e, con i soliti mezzi pubblici, raggiungo l’aeroporto di Ciampino che si trova a pochi kilometri da casa mia. Supero agevolmente i controlli di sicurezza perchè in fila non c’è quasi nessuno, poi mi accomodo su una delle tante sedie libere ed aspetto l’imbarco che è puntualissimo. Addirittura l’areo si stacca da terra con cinque minuti di anticipo rispetto all’orario prefissato, cosa mai successa in tanti anni di voli. Man mano che mi avvicino alla Sardegna non posso non notare il meraviglioso mare cristallino che si trova sotto di me e lo spettacolo è indescrivibile, soprattutto perchè la mattinata è soleggiata e ciò enfatizza i colori. Arriviamo alle 9:05, un orario così perfetto per i miei piani al punto che non avrei potuto neanche sognarlo. Vengono aperti entrambi i portelloni (anteriore e posteriore) nello stesso momento ed io che ho il posto nella penultima fila esco praticamente subito. Mi aspetto che qualcuno mi blocchi per controllare l’avvenuta registrazione sul sito della regione, prassi obbligatoria per i non residenti in arrivo con tanto di QR Code stampato, ma sembra non importare proprio a nessuno. Questa folle coincidenza di fattori mi permette di correre alla stazione ferroviaria di Elmas Aeroporto in tempo utile per prendere il primo treno in partenza per Oristano. Avevo già messo in conto di dover aspettare il prossimo convoglio previsto tra un’ora esatta ed invece, una volta tanto, succede l’incredibile. Il regionale è piccolissimo (lo compongono solo due vagoni) ma di posto ce n’è in abbondanza per tutti i viaggiatori presenti. Con una puntualità esemplare, alle 10:47 sono a destinazione, pronto per iniziare il mio giro. Mappa alla mano muovo i primi passi in direzione della “Parrocchia di Sant’Efisio Martire”, poi una deviazione mi porta davanti alla “Chiesa del Sacro Cuore”.
Procedo oltre e trovo la “Parrocchia San Giovanni Evangelista”, poi compio un errore di superficialità: fidandomi eccessivamente di alcune informazioni on-line e senza approfondire troppo vado a cercare la Chiesa di San Giovanni dei Fiori; non è vicinissima e per raggiungerla devo costeggiare il cimitero locale tramite una strada sterrata sulla quale sfrecciano macchine che alzano quintali di polvere ad ogni loro passaggio. Morale della favola: appena arrivo nel punto segnato da Google Maps trovo solo un’area recintata invalicabile. Documentandomi meglio scopro che questo edificio religioso viene aperto solo due volte l’anno (a febbraio ed a giugno) in occasione di ricorrenze particolari. Con la coda fra le gambe me ne torno indietro e respiro altra aria viziata, tanto per gradire.
Ricomincio da Piazza San Martino dove trovo l’omonima piccola chiesa, poi il viale che si chiama allo stesso modo (per la serie “viva la fantasia”…) mi porta fino alla “Chiesa della Beata Vergine Immacolata”. Da qui entro a tutti gli effetti nel centro storico perchè cominciano a mostrarsi stradine strette e vicoletti. La “Chiesa di San Saturnino” non risente molto di questa situazione poichè ben visibile, discorso ben diverso per la “Chiesa del Carmine” che è appiccicata agli edifici di fronte e mi mette in seria difficoltà in fase di scatto delle foto di rito.
E’ la volta del “Teatro San Martino” ospitato da un palazzo senza infamia e senza lode, poi tocca a quello che reputo il cuore della città, ovvero Piazza Eleonora d’Arborea. Il padrone incontrastato è il bel “Palazzo degli Scolopi” che oggi è la sede del Municipio locale; la sua degna figura la fa anche il “Monumento ad Eleonora d’Arborea”, uno dei personaggi storici più amati dai sardi. Noto anche il Palazzo Corrias Carta e la prima di una serie di installazioni di manufatti che fanno parte del progetto chiamato “Oristano Città della Ceramica”.
Altro pezzo di valore è la successiva “Chiesa di San Francesco” che gli abitanti sembrano adorare anche perchè è dispensatrice di parcheggi per auto a volontà. Una delusione enorme mi prende quando vedo per l’ennesima volta che tutta la fatica e l’organizzazione fatte per raggiungere una località vengono vanificate dalle impalcature che deturpano la facciata della “Cattedrale di Santa Maria Assunta”, ovvero del Duomo; per tale motivo mi devo accontentare di una foto generale della struttura che sicuramente non vale come l’immagine che avrei voluto portare nel mio album dei ricordi. Va meglio col vicino “Seminario Arcivescovile”, bell’edificio che (almeno lui…) è libero da ostacoli.
L’esterno dell’edificio che ospita la “Pinacoteca Carlo Contini”è ben poca cosa, ma ciò che c’è dentro è di ben altra fattura, quindi mai farsi ingannare dalle apparenze. La piccola “Chiesa di Sant’Antonio Abate” sembra abbandonata a se stessa, mentre le vicine “Mura di Sant’Antonio” sono ciò che rimane dell’antica cinta difensiva che si estendeva per oltre due kilometri di lunghezza; l’immagine che segue è presa dalla parte interna poichè di là ci sono alberelli che ostacolano la vista.
La posizione in cui mi trovo è la più adatta per una deviazione verso il Parco della Resistenza e non me lo faccio ripetere due volte: in questo polmone verde di medie dimensioni c’è spazio in abbondanza per chi vuole rilassarsi oppure far giocare i bambini; inoltre ecco un recinto con mini-laghetto e pennuti vari e quello che sembra un Monumento del quale non trovo traccia da nessuna parte. Faccio un salto anche alla Chiesa di San Giuseppe Lavoratore che scopro essere una struttura enorme e moderna che però, a causa di tanti alberi e di una posizione non ottimale, non può essere fotografata. Una buona passeggiata mi accompagna su Piazza Roma: in zona la prima cosa che dà all’occhio è la “Torre di Mariano II°”, ma non solo, perchè sulla sinistra vedo anche la “Parrocchia di San Sebastiano Martire”.
La mappa mi porta davanti al “Teatro Antonio Garau” che, così a prima vista, mi pare un tantino abbandonato. Proseguendo il giro trovo “l’Antiquarium Arborense”, il più importante museo di Oristano. Ancora avanti è la volta della semplice “Chiesa Sconsacrata di San Domenico” seguita dalla “Chiesa di Santa Lucia” che è decisamente più graziosa. Altre stradine strette mi accompagnano fino alla “Chiesa di Santa Chiara” e poi chiudo questo blocco vedendo la “Torre di Portixedda”.
In Piazza Mariano ammiro il “Monumento ai Caduti in Guerra”, poi inizio una passeggiata abbastanza lunga in periferia per raggiungere la “Parrocchia San Paolo Apostolo” che sinceramente non vale il tempo speso.
Guardo l’ora e, mio malgrado, devo rinunciare al Monumento al Motociclista; niente che non si possa bypassare perchè ci sarei arrivato solo per completare totalmente i punti di interesse segnati in fase di organizzazione. Punto dritto verso l’autostazione di Oristano e quando ci sono mi prende un colpo: è l’orario in cui orde di ragazzini devono tornare a casa dopo la fine della loro settimana scolastica. Il mio viaggio è come sempre molto ferreo e non posso permettermi di perdere un trasferimento a causa dei posti esauriti. Fortuna vuole che nel frattempo partano altri bus sui quali sale gran parte dell’esercito degli studenti e ciò rende la situazione decisamente migliore. Posso così salire su quello di mio interesse previsto in partenza alle 14:35 che avrà Bosa come destinazione finale. Le due ore circa che mi separano dall’obiettivo mi mostrano un mix di panorami bellissimi e diversi: si va dalla strada a picco sul mare che regala scorci mozzafiato all’attraversamento di paesini dove si fa fatica a credere che possa transitare un pullman extraurbano; ma la cosa più particolare dell’entroterra sardo è il verde a perdita d’occhio punteggiato da aspre rocce che si ammira praticamente ovunque. Ad un certo punto vorrei tirare il freno a mano come se fossi su di un treno in situazione di pericolo: da un’altura appare un panorama di Bosa che purtroppo non posso fotografare da un mezzo in movimento, ma ancora me ne mordo le mani. Le casette colorate una attaccata all’altra, il castello che sorveglia tutto dall’alto ed il fiume che scorre placido sono un soggetto perfetto di un quadro stupendo. Quando scendo al capolinea di Piazza Manin so già che non riuscirò a vedere niente di così bello, ma so anche che farò tutto ciò che mi è possibile. La giornata è a dir poco meravigliosa per essere il 9 ottobre, ovvero in pieno autunno; il sole si sta pian piano avviando verso il tramonto ma ancora illumina a meraviglia tutto ciò su cui si posa, per cui non mi viene in mente niente di diverso dal correre nei punti panoramici studiati da casa ed iniziare a scattare foto senza sosta.
Per ora mi fermo qui ed opto per andare a vedere più nel dettaglio anche i singoli punti di interesse che questa località offre. Mi piacerebbe iniziare con la Chiesa di Sant’Antonio Abate, ma le impalcature dei lavori di ristrutturazione hanno la meglio. Proseguo oltre e porto la mia attenzione alla zona più lontana tra quelle da raggiungere per continuare a sfruttare l’esposizione favorevole che ho trovato; faccio benissimo perchè la “Chiesa di San Pietro Extra Muros” mi appare come meglio non potrebbe. Da questa parte non c’è altro, così non ho scelta se non quella di tornare indietro per la medesima strada dell’andata, ma percorrendola nella direzione opposta ho una gradita sorpresa: il panorama su Bosa da un’altra angolazione.
Supero Ponte Vecchio per andare sulla sponda opposta del fiume Temo; purtroppo la Cattedrale dell’Immacolata Concezione affaccia su Corso Vittorio Emanuele II° che, anche se dal nome darebbe l’idea di qualcosa di ampio, è una strada storica, stretta ed acciottolata dove difficilmente batte il sole. Per tale motivo la foto all’edificio religioso più importante di Bosa non si può fare e mi devo accontentare delle cupole e del campanile. Ciò che ho appena descritto non deve però togliere il fascino al centro di questa piccola località, la cui bellezza è data proprio dalle stradine che lo compongono. In una di esse trovo la piccola “Chiesa di Santa Croce” perfettamente incastonata tra civili abitazioni. Ritorno sul corso precedente per vedere la Chiesa del Rosario, ma anche qui i muratori hanno l’esclusiva. Vado avanti osservando prima il “Museo Casa Deriu” e poi Piazza Costituzione: qui ammiro quella che sembrava essere una fontana oggi in disuso perchè priva d’acqua e con erba che cresce incolta alla sua base.
Spunto in Piazza IV Novembre dove, oltre al “Monumento ai Caduti”, c’è un bel po’ di gente a passeggio; prima di dedicarmi al motivo della mia visita noto una cosa: mentre ad Oristano il 90% delle persone indossava diligentemente la mascherina, qui non ce l’ha praticamente nessuno; è logico che ciò è dovuto al fatto che ci sono zero controlli (nè a piedi nè in macchina) ed è quindi normale che vinca l’anarchia. Una passeggiata un pochino più lunga mi permette di osservare il “Monumento ai Caduti del Mare”.
Una salita da superare è necessaria per arrivare alla piccola ma graziosa “Chiesa del Colle Santa Filomena”, mentre la successiva struttura religiosa è particolarmente ampia: mi riferisco alla “Parrocchia del Sacro Cuore” che non entra tutta nell’obiettivo della reflex. A pochi passi noto anche la “Porta di Piazza del Sacro Cuore”, poi nella medesima direzione trovo il Municipio ospitato da un edificio moderno e senza fronzoli pitturato in maniera originale.
Con l’ausilio del solito fedele Google Maps raggiungo la “Chiesa della Beata Vergine del Carmine” per poi tornare sul lungofiume per terminare l’opera; durante la camminata passo dalla vivace Piazza Vincenzo Gioberti che presenta anch’essa un bel via-vai di persone. Mi affaccio al parapetto sul Temo ed ho piena visione su un’altra caratteristica importantissima della località che mi ospita, ovvero le antiche concerie che qui chiamano Sas Conzas. Un tempo erano floridissime realtà ubicate una accanto all’altra tipo villette a schiera (paragone forse azzardato e forzato, ma è per rendere l’idea) ed invece oggi le uniche cose che si possono fare qui sono fotografarle e visitare il Museo a loro dedicato. Suggerisco di immortalarle in prossimità del tramonto proprio come ho fatto io per godere di riflessi stupendi nelle acque del fiume che in passato veniva usato per l’approvvigionamento idrico indispensabile per la lavorazione delle pelli.
Termino questo stupendo pomeriggio scattando altre immagini di Bosa proprio mentre il sole se ne va ed i risultati sono questi:
Sono quasi le 20:00, cioè l’ora di andare a prendere la stanza prenotata per la notte. Il gestore del B&B è un po’ scontroso, ma lascio correre perchè dopo i minuti necessari alla consegna delle chiavi non lo dovrò incontrare più. Una precedente ricerca sullo smartphone mi ha informato della presenza di un supermarket aperto fino alle 21:00 a soli 600 metri di distanza da qui, per cui vado a fare la mia solita spesa piena di sfiziosità e mi rilasso sia cenando che giocando al mio solito calcio manageriale.
Domenica mattina: la sveglia è comoda verso le 8:30. Ho visto tutto nella giornata di ieri, per cui devo solo attendere il bus per il prossimo trasferimento che avrò alle 10:00 in punto. Di andare a Bosa Marina sinceramente non me ne importa niente, per cui per riempire il tempo voglio passeggiare per l’ultima volta lungo le due sponde del fiume Temo. Sorpresa: appena metto il naso fuori dal B&B vedo che per terra è tutto bagnato e ciò significa che in nottata ha piovuto e che probabilmente è anche smesso da poco. L’importante è non averla presa. Di seguito pubblico tre immagini scattate in questa strana mattinata dal punto di vista del meteo, più una particolarità: sapevo che generalmente i proprietari delle barche danno ai loro natanti dei nomi di donna, ma qui c’è un tizio che va controcorrente e la sua imbarcazione la chiama…Salvatore. Contento lui…contenti tutti.
Il pullman della compagnia ARST spacca il minuto, anzi arriva addirittura prima del dovuto al capolinea di Piazza Manin. Siamo ben tre passeggeri a partire su una cinquantina di posti disponibili ed ora capisco il motivo per cui in Sardegna le corse domenicali sono molto ridotte rispetto a quelle dei giorni feriali. Questa sarà per me una giornata un po’ particolare perchè per arrivare alla prossima destinazione servono ben tre mezzi pubblici e quasi cinque ore di traversata, coincidenze comprese. Per il mio modo di viaggiare lo considero un po’ uno spreco di tempo, ma ho il vantaggio di poter ammirare nuovi meravigliosi panorami che questa regione sa offrire. La prima tappa è Macomer: è un punto di scambio molto importante sia per le quattro ruote che per i mezzi su rotaia. Qui ho alcune decine di minuti di buco e li passo facendo un giro senza meta scoprendo un posto carino, ma senza infamia e senza lode; di certo non è da mettere in una lista dei luoghi da visitare. Poco prima della nuova partenza si mette pure a piovere, per cui non vedo l’ora di andarmene. Il secondo bus ha come destinazione Nuoro, città capoluogo di provincia che visiterò domani mattina. In questo caso lo stop è di circa trenta minuti, cosa che non mi permette di allontanarmi troppo. Il terzo ed ultimo pullman mi porta finalmente ad Orgosolo, paesino di poco più di 4.000 anime famosissimo per i suoi murales a sfondo politico disseminati un po’ dappertutto. A dire la verità avevo pensato di dedicare un post singolo a questa località però poi ho cambiato idea perchè sarebbe stato poco intelligente creare un racconto con poche righe da leggere ed un centinaio di foto. Alla fine la scelta è stata per riportare nel corpo del testo le immagini di cosa c’è da vedere ad Orgosolo e di convogliare le foto dei murales alla fine del racconto. Metto i piedi a terra verso le 15:00 e sfrutto il fatto di essere vicino un po’ a tutto per togliermi ogni pensiero prendendo subito possesso della stanza prenotata per la notte. Si trova in posizione centralissima, in una traversa di Corso Repubblica. Vengo accolto da una ragazza alla quale la mascherina non rende giustizia, forse un contrappasso dantesco dopo l’essere scontroso sopportato a forza a Bosa. Appena mi congedo inizio subito la passeggiata in quello che sembra davvero essere un altro mondo fatto di case antiche tappezzate da disegni artistici, negozietti piccolissimi, poca gente in giro (rigorosamente senza dispositivi di protezione anti-Covid) e poche automobili. Torno esattamente al capolinea del bus e ci metto davvero pochissimo a trovare il “Monumento ai Suoi Caduti” che la cittadina ha dedicato a chi è morto in battaglia. Una discreta salita mi accompagna sin davanti alla poco candida “Chiesa di San Nicola”.
Affronto la discesa per tornare su Corso Repubblica dove trovo la “Chiesa Parrocchiale del Santissimo Salvatore”, tutt’altro che facile da fotografare a causa della sua posizione e del poco spazio a disposizione per inquadrarla al meglio. Scendendo per via Lamarmora ecco la Casa e la Cripta della Beata Antonia Mesina, ragazza non ancora sedicenne che venne uccisa con 74 colpi di pietra da un compaesano (poi condannato a morte) dopo essersi opposta con ogni forza ad un tentativo di stupro. Supero il Sa Dommo e Sos Corraine (spero di averlo scritto bene) che è una sorta di museo etnografico che rappresenta una casa tipica di questa zona, completa proprio di tutto. Mi spingo fino alla “Madonnina della Guardia” ubicata in un piano rialzato e ben ventilato, poi raggiungo quello che reputo il miglior punto possibile per una foto panoramica del centro abitato.
Inizio il tragitto di rientro ed incontro quasi subito la “Statua per la Beata Antonia Mesina” vestita con abiti tradizionali. Faccio una piccola deviazione per vedere la “Chiesa di Sant’Antonio Abate” e poi, una di fronte all’altra, osservo la ” Parrocchia di San Pietro Apostolo” (custodisce il cimitero) e la “Chiesa di Santa Croce”. Qui noto anche la piazza intitolata a Don Graziano Muntoni (del quale è presente un busto) che fu ucciso con un colpo di fucile la mattina della vigilia di Natale del 1998. Cerco in tutti i modi di potermi avvicinare al Santuario Chiesa Beata Vergine Assunta ma tutte le vie possibili sono chiuse, così mio malgrado devo lasciar perdere. Ovviamente “mio malgrado” è l’espressione di facciata…perchè quella reale è “con gran giramento di c…”. Trovo invece la Chiesa di Sant’Antonio da Padova che è messa maluccio ed avrebbe bisogno di una ristrutturata, ma ad ogni modo non sarebbe fotografabile a causa della eccessiva vicinanza con gli edifici di fronte.
Anche se sembra poco, questo è tutto. Si tratta di un paesino della Barbagia che, a conti fatti, ha fin troppo da vedere. Ripeto per l’ultima volta che cento foto dei murales di Orgosolo si trovano alla fine di questo post. Sono circa le 19:00 quando torno in camera ed inizio a riposarmi; verso le 20:15 esco e vado ad una pizzeria adocchiata durante il pomeriggio dove prendo ben due pizze a portar via. Col senno di poi ho fatto benissimo perchè sia l’impasto che gli ingredienti si rivelano fenomenali; peccato solo che sia un tantino lontana da casa mia. Ci tengo a far notare una cosa: la sera qui è tutto buio ed anche i lampioni sono abbastanza rari, condizione che mi dà modo di vedere i piccoli bar illuminati a giorno che ospitano dalle 10 alle 20 persone cadauno, tutte rigorosamente senza mascherina. Se per caso mi beccano a girare a Roma con qualcosa fuori posto parte una multa da 400 euro quando sono fortunato. Meditate gente…meditate. Il solito calcio manageriale mi tiene compagnia fin quando il sonno non vince sulla mia voglia di giocare.
Lunedi mattina: la sveglia è alle 5:25 perchè, dopo una giornata pressochè tranquilla, è di nuovo ora di un tour-de-force di quelli che tanto mi piacciono. Esco dalla stanza con tutta la mia roba e sento che sta venendo giù il mondo. Ebbene si, piove come Dio la manda e devo coprire per forza circa trecento metri che mi separano dal capolinea del bus se non voglio restare qui anche oggi. Il pullman della compagnia ARST è puntuale e saliamo in cinque passeggeri, tutti diretti a Nuoro che raggiungiamo dopo poco meno di quaranta minuti di percorrenza. Durante il tragitto la pioggia se n’è andata, per cui anche stavolta dovrei essermela cavata, ma in questi casi il condizionale è ‘obbligo. E’ ancora buio quando esco dall’autostazione, ma è una condizione già preventivata in fase di studio del programma. Provo a spiegare: sempre a causa della difficoltà dello spostarsi in Sardegna con i mezzi pubblici, avrò al massimo tre ore e quindici minuti per esplorare questa città a modo mio prima del prossimo transfer; calcolando che il centro dei bus si trova a trentatre minuti a piedi (calcolati dal Maps) dal punto più lontano che dovrò vedere, mi dirigo subito lì senza perdere tempo e ci dovrei arrivare (secondo i miei calcoli stavolta) giusto in tempo per il sorgere del sole. Poi da lì inizierò il percorso a ritroso che mi permetterà di scoprire la località che mi ospita e di ritornare in orario al punto di partenza. Avrò elaborato bene le informazioni anche stavolta o avrò toppato clamorosamente? Lo potremo scoprire solo leggendo ciò che segue. Dopo la lunga ed attesa passeggiata con la quale attraverso velocemente tutto il centro di Nuoro senza mai fermarmi sono di fonte alla “Chiesa della Madonna della Solitudine”; a poche decine di metri posso osservare il singolare “Monumento a Grazia Deledda”, l’artista di cui la cittadinanza va fiera.
Il rientro alla base ha il via e, prima di qualsiasi nuovo punto di interesse, mi godo finalmente le viuzze che compongono il centro storico della città barbaricina che mi ospita. Per fotografare al meglio la “Chiesa Parrocchiale di Nostra Signora del Rosario” mi servo di una piazzetta sopraelevata che fa proprio al caso mio. Proseguo vedendo il “Museo Deleddiano” che è la casa natale della scrittrice alla quale oggi è stata assegnata questa destinazione d’uso. Faccio un passaggio anche dalle parti della piccola “Chiesa di San Carlo Borromeo” che potrebbe essere tenuta un pochino meglio.
E’ la volta di osservare la “Chiesa di Santa Croce”, ben più graziosa rispetto alla precedente. Accanto ad essa scorgo una scultura che prende il nome di “Il Pastore e la Luna”, mentre nella vicinissima Piazza Su Connotu c’è il “Busto a Gian Pietro Chironi”. Poche decine di metri ed ecco la semplice “Chiesa Su Serbadore”.
Servono dei minuti, anche se pochi, per raggiungere l’edificio che ospita il “Teatro Eliseo” che mi pare abbandonato a se stesso. Segue poi il “Palazzo Civico” che ribattezzo simpaticamente double-face: la stessa costruzione ha due ingressi gemelli su due lati diversi; l’unica cosa che cambia è la scritta: una riporta proprio Palazzo Civico e l’altra riporta Provincia in italiano ed in dialetto sardo. Questa deve essere zona di scuole perchè ci sono una marea di ragazzini pronti ad iniziare le lezioni mentre io sono nel pieno del mio giro.
Una piccola delusione, anche se attesa, me la dà il MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro che si trova in una costruzione non fotografabile perchè molto grande ed affacciata su di una strada strettissima. La stessa cosa succede più avanti per il Museo Archeologico Nazionale, mentre va meglio (forse…) con la “Statua di Grazia Deledda”. Quel forse è perchè, a mio personale giudizio, la scultura è qualcosa di brutto e quasi offensivo nei confronti della letterata locale; dalle letture che ho fatto su internet ho capito che non sono l’unico a pensarla così e che anche molti abitanti si sono scagliati contro chi ha approvato il progetto. Come se non fosse già abbastanza, il mio sconforto cresce ancora di più quando arrivo di fronte alla “Cattedrale di Santa Maria della Neve” che ha talmente tanti alberi nell’omonima piazza da coprire quasi tutta la facciata del bell’edificio religioso; sono costretto ad immortalarlo da posizione obliqua e direi anche oscena. Nella stessa area trovo pure il palazzo che ospita il Museo Francesco Ciusa e la “Statua di San Francesco d’Assisi”.
Allungo verso la zona dov’è ubicato il Museo del Costume, considerato come il più famoso museo etnografico sardo, poi torno sui miei passi per camminare lungo Corso Garibaldi che è la strada principale della città. Di una cosa sono certo: non è niente di clamoroso, però quando finisce c’è il “Santuario di Nostra Signora delle Grazie” che invece merita tanto. Lascio le strade più trafficate e mi butto su una piccola arteria fino ad arrivare davanti alla “Chiesa Antica della Madonna delle Grazie” e concludo l’area osservando la “Fontana di Mariedda”.
Guardo l’orologio e noto con piacere che mi vuole bene; ho ancora del tempo a disposizione per portare a compimento il mio giro, così non ci penso due volte e mi rimetto in moto. La direzione stavolta è quella della “Chiesa di San Giuseppe” che raggiungo dopo aver superato una salita per quasi tutto il tratto che mi separa da essa. Mi fermo poi in una piazzetta nelle vicinanze dove c’è l’opera che prende il nome di “La Porta della Sardegna”; questa non è interessata da lavori di restauro, ma dietro ha una serie infinita di impalcature che alla fine dei giochi diventano le protagoniste incontrastate della foto che segue, per cui ho un altro motivo per odiarle. Da qui iniziano lunghe passeggiate che portano ben poche soddisfazioni: la “Chiesa Parrocchiale di San Francesco” è una struttura molto grande che sicuramente farà del bene ai fedeli che la frequentano, ma esteticamente è un casermone informe; la stessa antifona vale per la “Chiesa Parrocchiale di San Paolo”.
Da qui manca molto all’autostazione ed agli ultimi due punti di interesse che si trovano più o meno nelle sue vicinanze, per cui punto dritto quella direzione. Quando mi trovo in zona allungo fino alla “Chiesa del Sacro Cuore di Gesù” e poi fino al “Nuraghe Tanca Manna” che è chiuso da una recinzione; a dire il vero ci sarebbe il solito buco che permetterebbe l’ingresso clandestino, ma non mi va di rischiare che qualcuno mi rompa le scatole e per questo motivo scatto la mia fotografia dal miglior punto possibile, anche se la vista dell’attrazione è parzialmente disturbata dalla vegetazione presente.
Adesso è davvero tutto: posso dire di avercela fatta come programmato. Stavolta torno all’autostazione e dopo pochi minuti dal mio ingresso inizia il nuovo trasferimento: mi porterà all’ultima fatica di questo week-end lungo che si concluderà ad Iglesias. Il viaggio, ormai classico per gli standard sardi, prenderà 4 ore e 45 minuti e vedrà il cambio di ben tre mezzi pubblici. Inizio con il pullman della ARST con destinazione Macomer; da lì prendo un treno dal quale scendo ad Elmas Aeroporto (ho quasi un’ora di attesa e mi faccio pure un giro all’interno dello scalo dove vorrei pranzare al McDonald per ammazzare il tempo, ma lo trovo chiuso senza alcun motivo) ed infine ho un secondo treno fino alla cittadina del Sulcis. Sono le 15:15 quando torno a mettere i piedi per terra ed appena esco dalla stazione mi butto subito sulla destra per vedere l’unico punto di interesse che c’è da questa parte, ovvero la “Chiesa di Nostra Signora di Valverde” ubicata poco prima del cimitero locale. Durante il percorso mi fermo a fotografare l’inatteso “Campo Sportivo Monteponi” dove la squadra locale disputa le partite del campionato di Promozione.
Nella piazza a lui dedicata campeggia il bel “Monumento a Quintinio Sella” mentre sull’altro lato della carreggiata noto il “Monumento ai Caduti”. Prendo via Antonio Gramsci ed osservo il bell’edificio storico che oggi ospita la “Biblioteca Comunale Nicolò Canelles”. Faccio appena in tempo a vedere un bar chiuso pieno di gatti che dormono al suo interno che inizia a piovere di santa ragione; viene giù tanta di quell’acqua da non credere. La mia fortuna è che la pioggia è direzionata da un vento molto forte, per cui ci metto poco a trovare un punto strategico dove non arriva neanche una goccia d’acqua. Le precipitazioni durano abbastanza (circa una trentina di minuti) e non posso fare altro che aspettare sperando che passi la bufera perchè di andare avanti in queste condizioni sarebbe un suicidio.
Alla fine riesco a ripartire, ma ho mezz’ora in meno di tempo disponibile per finire il tour, quindi accelero il passo da ora in poi. Il prossimo obiettivo è la “Chiesa del Cuore Immacolato”; per poterla immortalare al meglio ci sarebbe una specie di sopraelevata che però è chiusa al transito…temo per pericolo di crollo considerando che sembra messa maluccio. Allungo un pochino in periferia per trovarmi faccia a faccia con la “Chiesa di San Paolo”, poi devio la mia marcia di nuovo verso il centro. All’intersezione tra via Piave e via Roma c’è il “Museo Remo Branca” aperto al massimo un paio d’anni fa. Il Museo dell’Arte Mineraria si trova nelle immediate vicinanze, ma è chiuso.
Proseguo la scoperta di Iglesias con “l’Ex Chiesa di San Marcello” e poi con la “Chiesa di San Francesco”. Da qui in poi posso dire di essere nel centro storico della cittadina che mi ospita ed a prima vista mi pare più carino di quelli osservati in questi ultimi tre giorni; non saprei dare un motivo valido, ma lo trovo più vivace. Camminando cerco la “Chiesa della Madonna delle Grazie” e la fotografo, mentre lascio perdere la successiva Chiesa di San Michele perchè senza infamia e senza lode. N.B.: l’ultimo edificio menzionato si chiama così perchè ringrazio sentitamente il proprietario della macchina bianca che ha parcheggiato come un vandalo rovinando il mio scatto.
Entro in Piazza Municipio, il cuore di Iglesias. Il nome è già un programma, ma qualcosa non va: il Palazzo del Comune è invaso dalle solite maledette impalcature e non lo posso ammirare come vorrei. Mi devo accontentare (si fa per dire) della “Cattedrale di Santa Chiara d’Assisi” e del “Palazzo della Diocesi” che è talmente grande da non entrate tutto nell’obiettivo della reflex.
Mi sposto per ammirare la “Chiesa della Vergine Purissima” (anche qui c’è una macchina bianca parcheggiata…deve essere una congiura!) e ci riesco facendo il possibile perchè l’edificio religioso è molto grande in rapporto allo spazio che ho a disposizione per inquadrarlo; dedico poi la mia attenzione al “Teatro Electra” e, a seguire, allo storico “Palazzo Lamarmora” che ha diversi murales sulla facciata. Nota di colore: la vicinissima via Giacomo Matteotti è tappezzata di ombrelli colorati sospesi.
Su via Felice Cavallotti trovo la piccolissima “Chiesa di San Domenico” e poi, su via Sant’Antonio fuori città, la “Chiesa Romanica di Sant’Antonio” il cui accesso è chiuso da un cancello. Da questa parte ho concluso, per cui torno indietro e prendo una salita (che si fa anche piuttosto ripida nella parte finale) con l’intento di fotografare la “Mura Pisane”; già che ci sono faccio mia anche una panoramica niente male dell’abitato di Iglesias…peccato che la luce di questa giornata uggiosa non sia il top.
Scendo fino al piano strada solo per attraversare la stretta carreggiata ed iniziare una salita dalla parte opposta: passando dietro le mura inizia una via asfaltata ma ripida che conduce alla “Chiesa della Madonna del Buon Cammino” che sicuramente non si chiama in questo modo solo per caso. Sia all’andata che al ritorno, in un luogo in cui non passa anima viva tranne me, vedo una macchina parcheggiata in uno slargo con i vetri appannati; ovviamente ci sto più lontano possibile sia per rispetto che per evitare rogne, ma mi viene da pensare che probabilmente i rispettivi consorti stanno lavorando per portare il pane a casa mentre chi dovrebbe essere da tutt’altra parte tranne che qui si sta divertendo alla faccia dei loro sentimenti. Spero tanto di sbagliarmi, ma oggi non ci si può fidare neanche di noi stessi. Durante la discesa individuo il punto più consono per poter portare con me la figura del complesso del “Castello di Salvaterra”.
Di nuovo sul piano strada ripercorro il centro storico e, poco dopo piazza Quintinio Sella, svolto a destra per trovare gli ultimi due punti di interesse di questa città e dell’intero week-end lungo. Per raggiungere il “Monumento ai Caduti sul Lavoro” attraverso una zona abbastanza popolare che non mette proprio tutta questa sicurezza a chi non la conosce, poi dedico il tempo necessario alla “Parrocchia San Pio X° Papa” sul cui piazzale alcuni ragazzini stanno giocando a calcio.
So bene dove si trova la stazione, per cui posso definitivamente spegnere Google Maps ed iniziare la camminata finale. Una volta in loco acquisto il biglietto che avrà come destinazione Elmas Aeroporto e mi siedo sul convoglio che è già lì pronto per la partenza che avviene alle 19:21. Con una puntualità disarmante raggiungo l’aerostazione ed eseguo tutte le fasi necessarie per superare i controlli di sicurezza e l’imbarco. Anche stavolta il velivolo si stacca da terra in orario e nei 45 minuti di viaggio ho tempo di farmi un mini-sonnellino. Ho la fortuna di essere in quarta fila, così a Ciampino sono uno dei primi a scendere e pochi minuti dopo salgo sul bus 520 che mi porta alla metro. Infine con la macchina me ne torno a casa dove ceno ad un orario folle.
Si conclude così la mia “tre giorni” in Sardegna ad inizio ottobre: cinque località in meno di settantadue ore non sono poche, e la cosa bella è che sono riuscito a mettere le “x” proprio su tutto ciò che avevo segnato tranne un misero punto di secondaria importanza ad Oristano. Col senno di poi posso dire che Oristano non è eccezionale, ma un giro nel suo centro è più che fattibile; Bosa è un piccolo gioiello e mi rimarrà sempre impressa. Orgosolo è fuori dal tempo: senza i murales sarebbe sicuramente molto più anonimo come paesino, ma i murales ce li ha…quindi si differenzia eccome da tutto il resto. Nuoro…in fin dei conti è stata una mezza delusione; mi dispiace scriverlo ma è l’impressione che mi ha dato, mentre Iglesias me l’aspettavo molto peggio di come invece l’ho trovata perchè da un ex centro minerario non attendevo poi tanto ed invece mi sento di consigliare a chiunque si trovi in zona di fargli una visita. La Sardegna è famosa per il mare e su questo non ci piove, ma se si sa cercare ha anche lei le sue perle nascoste.
Ed ora, come promesso più volte, termino il post pubblicando 100 scatti dei murale di Orgosolo: