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Dopo anni passati ad andare in vacanza fuori dall’Europa esclusivamente alloggiando in villaggi turistici per cause di forza maggiore, finalmente arriva il momento della prima vera esperienza del mio fai-da-te-totale fuori dal vecchio continente. Questo di cui sto per scriverne i punti salienti è un viaggio prenotato mesi prima per garantirmi il miglior prezzo e preparato nei minimi particolari affinchè funzionasse a meraviglia, e col senno di poi posso dire che così è stato; la destinazione ? Una regione d’oltremare facente politicamente parte della Francia (infatti per gli europei è possibile arrivarci solo con l’esibizione della carta di identità), ma che si trova geograficamente nella zona dei Caraibi; Guadaloupe è un arcipelago composto da diverse isole che, a mio parere, sono tutte da scoprire. Per poterlo fare è però necessario un soggiorno di almeno due settimane, mentre io sono rimasto solo le classiche 7 notti. Ho quindi visitato abbastanza approfonditamente le due isole principali (Grand Terre e Basse Terre) unite da un ponte che, di fatto, le fa sembrare come se fossero un unico blocco. Quello che più conta però è che si tratta di un vero e proprio sogno, una di quelle rare zone che a pieni voti definirei come perla dei Caraibi.
Nessun volo parte dall’Italia direttamente per Pointe-a-Pitre, città principale di Guadaloupe. Tutti passano immancabilmente per Parigi, nel mio caso da Orly. Quindi la prima tratta che affronto è un volo Easyjet da Roma Fiumicino per la capitale francese. Come spesso accade in casi come questi, in proporzione pago quasi di più il bagaglio imbarcato che la traversata. Arrivo in tardissima serata, ma è tutto previsto; il volo intercontinentale lo avrei avuto il mattino seguente, per cui contatto l’unico hotel della zona ad un prezzo decente che offre gratuitamente il servizio navetta prenotato ovviamente da casa. Che qualcosa sia un po’ fuori dalla norma quella sera lo capisco quando, attendendo il minibus davanti all’uscita “E”, vedo passare fior di macchine e bus tutti nuovi di zecca. Il problema è che vanno via perchè non sono quelli che avrebbero dovuto caricare me. Ad un certo punto, dopo 20 minuti buoni e con una calma invidiabile, arriva un “coso” blu su quattro ruote abbastanza scartavetrato. Riconosco il nome del “mio” hotel stampato sulle fiancate e faccio un timido cenno con la mano. L’autista è palesemente africano, ma non è affatto un problema per chi adora viaggiare e rispetta tutti i cittadini del mondo; il brutto è che pare molto scorbutico, così, senza dire una parola, arrivo a destinazione. Entro nella reception e vedo che l’intera struttura è gestita da africani: li mi spiego il motivo della calma con cui vengono fatte le cose (Pole Pole, come dicono in Kenya). L’ambiente è abbastanza lugubre e quello che avrebbe dovuto essere un 3 stelle si rivela uno scarso 2 stelle. Per fortuna che almeno il bagno privato c’è come da prenotazione; decido di fare di necessità virtù, tanto avrei dovuto solo dormire qualche ora prima di affrontare un viaggio meraviglioso. Dò appuntamento alla navetta per il mattino successivo, saluto tutti e vado a dormire senza ovviamente disfare il bagaglio, ma prendendo solo un pigiama ed un paio di ciabatte. Quando suona la sveglia non ci penso su due volte e mi alzo finendo di preparare tutto; esco ed aspetto il minibus che alla luce del sole appare anche peggio di ciò che avevo visto al buio la sera prima. Mi ripeto ogni 30 secondi di stare calmo perchè quella situazione imbarazzante sta per finire ed infatti è così. Mi ritrovo di nuovo ad Orly, stavolta per “spedire” il bagaglio al check-in ed effettuare i controlli di sicurezza. Trovo subito il banco della compagnia “Corsair” assolutamente mai sentita prima. La sala d’attesa di Orly sembra uscita da un film sul nazismo: davvero brutta e spoglia. Poi la sorpresa: inizia l’imbarco e mi accorgo che l’aereo è enorme, bellissimo e soprattutto a due piani. Una volta salito a bordo, col mio francese da quattro soldi, mi pare di capire che il velivolo sta trasportando oltre 700 passeggeri, ma non vorrei scrivere una cavoltata enorme, per cui se qualcuno vuole può correggermi senza problemi. L’unica verità è che quel mega velivolo è pieno in ogni ordine di posto. La differenza con un normale aereo la noto in fase di decollo: ci mette davvero tanto a prendere velocità ma, soprattutto, sembra faccia una fatica immensa a staccarsi da terra. So bene che è solo un’impressione dovuta ai miei condizionamenti mentali, però sembra davvero che si sia alzato in volo con difficoltà. L’intero tragitto scorre via tranquillo e, anche se viaggio di giorno, il tempo passa abbastanza bene tra una dormitina e l’altra con sveglia automatica al momento del passaggio dei pasti (sinceramente non so come faccio a renderme conto sempre in tempo, ma è così). Finalmente atterro nel piccolo aeroporto di Pointe-a-Pitre e mi godo “la botta” di caldo che adoro alla follia quando si varca la porta del velivolo: dentro c’è la temperatura derivante dall’aria condizionata, mentre in un passo si percepiscono almeno 15-20 gradi in più. Vado al nastro dei bagagli più veloce di Speedy Gonzalez perchè non sto più nella pelle. Per problemi lavorativi manco da un viaggio del genere esattamente da un anno ed ho necessità di un bagno liberatorio in mare mentre in Italia, a marzo, fa ancora molto freddo. Ritiro la valigia e prendo la navetta per gli autonoleggi; faccio letteralmente mia la macchina e sono pronto: mi giro a 360 gradi su me stesso e vedo tantissime palme lì intorno riconoscendo quello che è il mio ambiente più congeniale, altro che quei “cosi” piantati per terra a Roma che sono buoni solo per spaccare i marciapiedi e l’asfalto con le loro radici…
La prima destinazione di oggi è l’alloggio prenotato molto tempo in anticipo: non è un villaggio turistico, ma una casa coloniale dotata di tante camere con ingresso indipendente che la proprietaria (ovviamente francese “del continente” che è venuta a vivere e lavorare qui per avere una vita migliore) affitta ai turisti, direi anche abbastanza profumatamente. Ma su questo c’è ben poco da fare: le sistemazioni sull’isola costano abbastanza, più che in Europa. In compenso c’è anche una discreta piscina che però non ho mai usato in tutta la settimana poichè non mi ha mai ispirato. Trovo l’indirizzo dopo aver provato per la prima volta l’emozione di guidare autonomamente su una strada dei Caraibi che ha palme da un lato ed un mare di un celeste incredibile dall’altro; vedo un bivio a destra che indica la “Plage du Petite Havre” tra i paesi di Le Gosier e Saint Anne, cioè lo sbocco al mare più vicino alla struttura, e mi ci butto. Il primo incontro con la signora è fenomenale: lei non parla una sola parola di inglese mentre il mio francese è da rottamare: pochi secondi e decidiamo di parlarci a gesti per tutta la settimana. Prendo quelle benedette chiavi, porto il bagaglio in stanza, lo mollo lì come se fosse il mio peggior nemico e mi metto il costume in un nanosecondo; dopo un attimo sono già per strada in direzione della spiaggia che dista solo 300 metri. La vedo e la raggiungo: è la più brutta tra quelle che avrei poi visto nel resto dell’isola poichè il fondale è pieno di piante acquatiche e ci sono solo due “corridoi” dove poter passare a piedi nudi e raggiungere uno spiazzo per immergersi; nonostante l’acqua sia pulitissima, ribadisco che è la meno bella e la meno balneabile di tutte, ma me la ricordo come se fosse adesso: quel momento è m-e-m-o-r-a-b-i-l-e perchè raggiunto dopo davvero tantissimi sforzi e difficoltà di ogni tipo.
Resto lì quasi un’ora prendendo gli ultimi raggi di sole: è pomeriggio inoltrato e sta calando la sera quando lascio il mare e torno in camera a sistemare le mie cose nell’armadio e nel bagno. E’ ora di cena e arriva l’unico momento di “panico” della vacanza: se tanto mi dà tanto, in Francia si mangia abbastanza male e si spende un botto nei ristoranti, quindi dove andrò a sbattere? Lampo di genio: la signora sta cenando nella veranda proprio li sotto! Perchè non andare a chiedere? Scendo e la interrompo spudoratamente domandandole, col gesto internazionale che indica l’azione di mangiare, se può consigliarmi un ristorante in zona dove non si spenda troppo. Lei si alza e mi dà un bigliettino da visita con un nome che sinceramente non mi ricordo, ma se mi trovassi di nuovo lì saprei immediatamente dove andare senza perdermi; quindi non solo mi ha capito, ma addirittura è preparata e, come si dice in questi casi, pure proattiva! Ringrazio, saluto, salgo in macchina e vado. Trovo il ristorante abbastanza facilmente: è ubicato nella località di Saint Anne, a pochi minuti dalla camera. Lì mi appare la prima visione davvero pazzesca: la spiaggia del paesino è ben illuminata da potenti fari: dal buio pesto della strada si vede come una specie di oasi composta da un contrasto cromatico impressionante tra sabbia chiarissima, palme verdissime e mare incredibile. Quella sarebbe la spiaggia principale di una località normalmente abitata dalla gente del posto; facendo un paragone con l’Italia dovrebbe essere come il lido di Ostia, per capirci…ma non c’entra assolutamente un tubo! Quel luogo avrebbe dovuto essere mio prima della fine della settimana. Da noi non è mai facile fare un bagno notturno al mare per problemi di sicurezza, mentre qui è all’ordine del giorno. Ancora con la bocca aperta parcheggio la macchina a distanza di cammino dal ristorante dove trovo posto quasi subito: qualche minuto di attesa perchè si liberi un tavolo c’è. Alla fine mi siedo e mi viene portato il menù: noto con immenso piacere che i prezzi non solo sono abbordabili, ma addirittura bassi. Ovviamente quel posto è stato subito eletto a ristorante ufficiale della vacanza, luogo dove avrei consumato cinque cene su sette. Quando esco di lì decido di fare due passi per Saint Anne ma, a parte quello spettacolo di mare, non c’è molto altro da vedere soprattutto di sera. Torno quindi in stanza dove trovo una flebile connessione wi-fi che uso con difficoltà. Sono sicuro che oggi sarebbe perfetta, ma questo viaggio l’ho fatto anni fa, per cui tale connessione non era diffusa come adesso. Mi addormento quasi subito causa la stanchezza per il lungo viaggio affrontato e per il fuso orario. A partire dal giorno dopo sarebbe iniziato un tour-de-force degno di nota alla scoperta delle due isole maggiori dell’arcipelago di Guadaloupe.
Ovviamente il padrone incontrastato di questa zona è il mare: il 95% delle cose che si possono fare lo riguardano; io sono li per quello e non potrei essere più contento. Il primo giorno lo dedico ad una spiaggia ubicata poco prima di entrare a Saint Anne; girando a destra ad un bivio ben indicato, parcheggiando lungo la strada e proseguendo a piedi per un po’ si arriva alla meravigliosa “Plage de la Caravelle”.
E’ ufficialmente la spiaggia del Club Med, ma è di libero accesso a tutti. Gli ospiti hanno l’ingresso diretto mentre i comuni mortali devono girargli intorno, ma si arriva comunque e soprattutto senza forzare nulla. Il panorama è da mozzare il fiato: anche qui palme a non finire che proiettano in spiaggia anche della buona e salutare ombra ed un mare cristallino come se ne vedono pochi. Ci resto per tutta la mattinata per poi spostarmi poco più avanti, stavolta appena dopo la fine del paesino: un bivio con strada sterrata porta ad una serie di parcheggi “naturali”, anche loro sterrati. Arrivo così alla spiaggia di Bois Jolan dove consumo il mio pranzo al sacco seduto al fresco, con davanti ai miei occhi un altro mare fantastico.
Sinceramente non ho abbastanza aggettivi nel vocabolario per poter descrivere quello che sembra essere un paradiso terrestre, per cui posto più immagini possibile sperando di rendere anche solo l’idea. Arrivo alla sera e, restando in zona, scopro un mini centro commerciale che ha all’interno dei negozietti con i soliti prodotti di artigianato locale, uffici per la prenotazione di escursioni alle isole più lontane ed un bar; anche in questo caso “battezzo” questo ultimo posto come il fornitore ufficiale di cocktails/aperitivi per l’intero soggiorno. Dopo quel sollazzo sia per il relax che per il palato, rientro in stranza per fare una doccia e poi esco di nuovo per sedermi al solito ristorante. Passeggiata, wi-fi e nanna finale.
Per il secondo giorno pieno di permanenza a Guadaloupe il programma prevede di cambiare zona. Con La macchina mi dirigo verso il paese ubicato sulla punta sud-est che si chiama Saint Francois. E’ turisticamente molto più organizzato di Saint Anne: è infatti di dimensioni e densità maggiori. ha un campo da golf, villaggi, residences, hotels ed un bellissimo porticciolo attrezzato per poter fare passeggiate quando cala il sole; oltre alla splendida vista della quale si gode, il posto è pieno di negozietti, bars e ristoranti. Subito dopo l’agglomerato urbano parte una lingua asfaltata abbastanza lunga che ha mare balneabile da ambo i lati e termina con un punto di interesse del quale scriverò tra poco. Decido quindi di scoprire il mare della zona e mi dirigo sparato alla ricerca di Anse La Gourde. Ci arrivo, parcheggio e mi dirigo verso l’arenile per capire se vale la pena restare oppure no. Ma che cosa dovrei scrivere se non che anche quel pezzo di mare sembra uscito da una cartolina ritoccata col Photoshop ?
A differenza della parte vista in precedenza, qui non ci sono palme proprio sul mare, bensì un po’ dietro. Oggi non ho scelta: sarà sole totale. Resto lì fino a metà pomeriggio: ho di nuovo il pranzo al sacco e poco lontano da dove mi trovo c’è un chiosco che vende bibite fresche e qualcosa da mangiare. Mi sono davvero scelto un eden dove trascorrere questa vacanza, questo è poco ma sicuro. Lascio il mare a malincuore e proseguo sulla lingua d’asfalto fino ad arrivare alla fine della strada e di tutta l’isola: c’è una rotonda dalla quale si può solo tornare indietro. Sono arrivato a Pointe des Chateaux, cioè il luogo in cui i due mari che bagnano questa parte di Guadaloupe (Oceano Atlantico e Mar dei Caraibi) si incontrano creando forti correnti ed onde altissime; in mare poi ci sono una serie di scogli davvero giganti che rendono quel panorama ancora più spettacolare ed unico.
Resto davvero un po’ di tempo a fissare tutto ciò e contemporaneamente ripenso al mare calmo in cui ho fatto una decina di bagni sguazzando come un ragazzino solo pochissimi km prima. Cadere in quel punto di mare temo sia morte certa. Lascio anche quella meraviglia della natura dopo aver documentato il tutto con tante foto e mi reco in paese. Stavolta ho con me il cambio portato per precauzione: se Saint Francois mi fosse piaciuta sarei potuto restare lì per tutta la sera senza fare avanti e indietro con la macchina perdendo tempo inutilmente, ed è proprio quello che succede. Passeggio in lungo ed in largo osservando ogni particolare, prendo un cocktail analcolico perchè in serata avrei dovuto guidare di nuovo, ceno in un ristorante del porticciolo dopo aver ben analizzato i prezzi esposti fuori e vivo l’atmosfera del “dopo” camminando nuovamente lungo tutto il perimetro del porticciolo fino a quando decido che è ora di rientrare.
Terzo giorno ancora in una nuova zona: stavolta decido di tornare verso l’aeroporto e di fermarmi al paesino di Le Gosier: questo centro è abbastanza piccolino, ma famoso al punto giusto da ospitare un Mcdonald. La spiaggia è bianchissima ed il mare tra il celeste ed il turchese. Davanti ai miei occhi c’è un’isola chiamata “Ilet Gosier” che è raggiungibile con barche private ad una cifra irrisoria, come anche è irrisoria la traversata per arrivarci che non dura mai più di tre minuti.
Potrei restare lì impalato? Assolutamente no, per cui mi fiondo dal barcarolo ed aspetto il mio turno. Arrivo sull’isoletta e noto con piacere che il mare è ancora più trasparente che sulla terraferma. Questo posto continua a stupirmi sempre di più. Piazzo sulla soffice sabbia i miei oggetti personali e mi godo la giornata in pieno relax alternando bagni a “tintarella”; ad un certo punto però decido di prendere la macchina fotografica e le ciabatte per esplorare l’interno dell’Ilet Gosier; c’è vegetazione dappertutto, ma trovo altri sbocchi al mare che immortalo senza pensarci. Poi, alla fine dell’isoletta, arrivo al faro che risulta essere abbastanza arrugginito.
Non ho fatto caso se è solo ornamentale o se funziona ancora, ma se fosse vera la prima ipotesi sarebbe un vero peccato perchè, senza manutenzione, prima o poi farà una pessima fine. Saluto quel luogo da sogno e torno sulla terraferma dove rimango un pochino sulla spiaggia; però dopo aver visto l’acqua dell’isoletta…quella in cui mi trovo mi dà quasi l’impressione di essere torbida. Evidentemente mi sto abituando troppo bene, per cui ripeto mentalmente cose tipo “Pensa ad Ostia!, Pensa ad Ostia!, Pensa ad Ostia…” e magicamente mi riprendo. Decido comunque di avvicinarmi alla stanza e di godere della spiaggia più vicina (quella con la fitta vegetazione in mare) per l’ultima ora di sole rimasta. Poi, in rapida successione, doccia, cocktail, cena ed una bella dormita.
Il quarto giorno, dato che trovo il cielo abbastanza nuvoloso, lo dedico al giro in macchina necessario per conoscere il più possibile l’altra grande isola: Basse Terre. Mentre quella visitata fino a quel momento è considerata la zona caraibica di Guadaloupe, questa oggetto del tour odierno è la sua parte “selvaggia”; è infatti ricoperta per la maggior parte da foresta e presenta all’interno della sua area montagne, fiumi, cascate e chi più ne ha più ne metta. Non intendo percorrere il perimetro completo perchè ci metterei davvero troppo; scelgo allora un itinerario da seguire e mi muovo di conseguenza. Entro a Basse Terre e, dopo non molto, mi trovo in una strada asfaltata che ha alberi a perdita d’occhio da ambo i lati e sembra incredibile il repentino cambio di ambiente rispetto alle spiagge da sogno di qualche km più ad est. Parcheggio l’auto in prossimità della Cascade aux Ecrevisses; dopo pochi passi su un sentiero/piattaforma costruito ad arte per i turisti arrivo alla cascata. Paragonata a quelle che siamo abituati a vedere anche in Italia, questa è molto piccola però è davvero suggestiva e resto a contemplarla per un po’ anche per un secondo fine: su internet avevo visto foto di persone farsi il bagno nel piccolo stagno creato dalla cascata stessa, per cui dopo una saggia decisione della quale non mi sono mai pentito decido di togliere la maglietta, restare in costume ed entrare in acqua.
Premetto che in questo preciso momento ci sono turisti che guardano, ma nessuno che ha il coraggio di entrare tentando la sorte. Me ne stra-frego come sempre del giudizio altrui e mi avvicino al bordo dei massi che fanno da diga naturale; a chi legge dico solo che mi è preso letteralmente un coccolone per la bassissima temperatura di quel mini laghetto. Ma ormai sono deciso al 101% , per cui…centimetro dopo centimetro riesco ad immergermi completamente e persino a nuotare. L’intenzione diabolica è quella di arrivare fin sotto la cascata, ma desisto perchè la mancanza di sufficiente luce stoppata dai fitti alberi non mi permette di vedere cosa c’è sul fondo tra eventuali massi, vegetazione o altri inconvenienti; alla fine non me la rischio oltre perchè ritengo di aver già fatto abbastanza; così, soddisfatto all’ennesima potenza, esco e mi asciugo per non rischiare di beccarmi un raffreddore. A quel punto monto nuovamente in macchina e, continuando a passare in mezzo alla foresta tropicale salendo anche come altitudine, spunto dalla parte opposta di Basse Terre rispetto al ponte di ingresso: voglio infatti risalire da qui tutta la costa fino a tornare in stanza effettuando ovviamente le dovute soste in punti di interesse. Dico subito che lungo quel tratto di strada ci sono almeno un paio di giardini tropicali a pagamento da andare a vedere, con meravigliose piante di ogni tipo; purtroppo però a me non va molto e, soprattutto, la giornata un po’ uggiosa avrebbe rovinato i colori di quelle meraviglie. A forza di guidare e di osservare il panorama arrivo alla cittadina di Deshaies dove decido di fermarmi a fare un giro a piedi, dato che avevo letto fosse uno dei luoghi di maggior interesse e concentrazione turistica di Basse Terre; le nuvole non vogliono abbandonarmi ed ormai mi rassegno ad averle con me. Il paese non è niente di particolare ed il mare che vi si affaccia non ha neanche modo di essere paragonato alle spiagge caraibiche di Grande Terre. Un bagnetto ce lo faccio, ma dura solo pochi minuti perchè sono davvero poco ispirato. Decido quindi di proseguire e di cercare una delle spiagge più famose di questa zona: la Grande Anse. Quando ci arrivo capisco perchè la chiamano così: è davvero immensa e si estende a perdita d’occhio; è composta da sabbia di color rossastro molto suggestiva ed il mare che si schianta sull’arenile anche con una discreta forza è di colore blu acceso.
Capisco adesso perfettamente che quella parte è ottima per passarci una giornata, per conoscere qualcosa di diverso e per scattare le necessarie foto, ma pensare che qualcuno ci si prenota l’intera settimana di vacanza quando a poche decine di minuti di macchina ha 40-50 km di costa incredibile ed ininterrotta mi lascia molto interdetto. Saluto la Grande Anse senza neache fare un tuffo perchè temo ci siano delle discrete correnti pronte a portare via tutto ciò che hanno a tiro; rientro così verso la base non troppo soddisfatto di ciò che ho visto. E’ ancora molto presto e decido di proseguire il giro culturale visitando la città più grande che è di strada: Pointe-a-Pitre. E’ una cittadina piuttosto anonima che ha il suo massimo splendore in un porticciolo pieno di buone imbarcazioni e di negozietti/bars/ristoranti. Non ho trovato niente di storico degno di essere fotografato e tantomeno pubblicato qui. Mentre passeggio per le vie comincia a scendere anche qualche goccia di pioggia, per cui mi fermo a mangiare qualcosa credendo che la gironata sia del tutto perduta. Ma fortunatamente mi sbaglio perchè, per miracolo, il cielo si apre e torna il sole; giusto in tempo per tornare alla fantastica spiaggia di Bois Jolan fino a sera.
A questo punto, con tre giorni rimanenti, ho un’idea più o meno nitida di ciò che offre Guadaloupe. Le spiagge più belle le ho viste e non resta altro da fare che decidere dove fare i “bis” per godere delle ultime ore di vacanza prima di tornare a lavorare a testa bassa. A dire il vero un’altra spiaggia che avrei visto e goduto volentieri a la Plage de Raisins Clair a Saint Francois, ma una volta lì ho notato che è davvero molto ma molto frequentata sia dai turisti che dai locali; non ho davvero intenzione di piazzarmi in mezzo alla folla ai Caraibi, per cui ormai mi trovo lì e decido di buttarmi dalla parte opposta della lingua asfaltata per tornare sulla magnifica Anse La Gourde. Resto fino a metà pomeriggio per poi riprendere la macchina ed andare a fare una capatina nella zona di Port Louis dove ci sono da vedere due stupende realtà: Anse Souffler ma soprattutto Anse Lavolvaine, paradiso composto da piscine naturali e da vegetazione davvero molto vicina alla riva, cosa questa che rende la zona davvero suggestiva. Per la serata decido di provare una cosa diversa dalla solita cena: passando sia a piedi che con la macchina per Saint Anne ho sempre visto dei chioschi/ristorante che preparano la pizza da poter mangiare seduti ad un tavolino all’aria aperta oppure a portar via; mi siedo ed ordino una semplice margherita facendomi venire i peggiori pensieri sulla possibile qualità scadente; invece mi ricredo perchè il sapore è buono e l’impasto non è dei peggiori. Gli darei un buon 7+ anche per l’impegno dimostrato.
Mancano due giorni di cui l’ultimo non completo perchè alle 18:30 avrei avuto il volo di rientro verso casa. Il sesto lo passo alla spiaggia di Bois Jolan della quale mi sono letterlamente innamorato mentre l’ultimo lo passo alla Plage de la Caravelle.
La vacanza finisce col solito pieno alla macchina, con la restituzione dell’auto al banco del noleggio (che ringrazio per non avermi addebitato le spese di pulizia supplementare per la troppa sabbia che ho portato nell’abitacolo, ovviamente senza volerlo) e con l’imbarco verso Parigi Orly dove arrivo per le 9:00 del mattino successivo dopo un volo tranquillo finalmente notturno e sapientemente preso al piano superiore dello stesso mega-aereo dell’andata (dovevo a tutti i costi provare la differenza tra i due livelli e posso dire che non esiste: è la stessa identica cosa in entrambi i livelli). Tra l’atterraggio ed il nuovo volo Easyjet che mi avrebbe riportato a Roma ho lasciato 3 ore di vuoto, per cui ce l’avrei fatta alla grande. Purtroppo però un guasto del nastro di smistamento bagagli me l’ha fatta “fare sotto” dalla paura: gli effetti personali sono arrivati dopo un’ora di attesa senza alcuna comunicazione da parte degli addetti dello scalo francese e senza la mia valigia non sarei mai ripartito.
Alla fine di questo racconto posso solo dire che il fai-da-te-totale è quanto di più bello ci possa essere in una vacanza: oltre a posti meravigliosi ed indimenticabili puoi sommare la soddisfazione di aver costruito tutto da solo. A proposito di Guadaloupe, la conclusione non può essere altro che una ripetizione del concetto espresso nell’intero post che sta per concludersi: è un luogo di vacanza perfetto, davvero magnifico e vario. Arrivo a dire che, se mai un giorno dovessi decidere di “ritirarmi” dai viaggi, questo posto potrebbe essere papabile addirittura per viverci stabilmente. Voglio tornarci un giorno per dedicare l’intera settimana a girare le altre isole (Marie Galante, La Desirade, les Iles des Saintes ecc.) perchè ho visto delle foto davvero sublimi che sembrano cartoline vere e proprie. Anche se questa “parte di Francia” è davvero poco conosciuta da noi italiani consiglio davvero a tutti di andarci ad occhi chiusi…ma poi arrivando lì apriteli, altrimenti come farete a far morire di invidia ai parenti ed a crogiolarvi al sole con questo simpatico amico conosciuto in spiaggia 🙂 ?