Guatemala: una gemma incastonata tra i vulcani

di admin
Esempio di Eruzione Diurna - 1

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Dopo tanta Asia visitata negli ultimi anni ho deciso di cambiare rotta per l’ultimo viaggio intercontinentale del 2019; ho sentito il bisogno di fare qualcosa di diverso e, cercando alacremente tra le varie offerte delle compagnie aeree senza avere in testa una meta ben precisa, mi sono imbattuto in una pacchetto di destinazioni dell’America Centrale vendute ad un prezzo pressochè ridicolo: non riuscivo a credere ai miei occhi  quando ho visto che la tratta Roma-Città del Guatemala e ritorno veniva prezzata 377 euro anzichè il normale range che va dai 600 ai 750 euro circa. Il 40-50% di sconto per un periodo abbastanza buono dal punto di vista climatico (anche se sulla carta non proprio il top) mi ha spinto a documentarmi in maniera rapida su questa nazione per cercare, in caso di reale interesse, di non perdere la super tariffa. Alla fine il piccolo Guatemala l’ha spuntata a pieni voti, così ho cliccato sul mouse fino alla prenotazione definitiva e da quel momento mi sono sentito ufficialmente membro di quella striscia di terra che unisce l’America del Nord con quella del Sud. Questo post racconta della mia avventura nei dieci giorni di vacanza a mia disposizione; so bene che sono pochi, ma la mia vita è caratterizzata dal non potermi allontanare dal posto di lavoro per un periodo maggiore, per cui devo ovviare alla mancanza di tempo con una maniacale organizzazione delle giornate, delle ore e forse anche dei minuti. Come sempre faccio in casi simili dividerò il testo in due capitoli: il primo, più breve, dedicato alle info pratiche che devono essere ben chiare a chi volesse partire per il Guatemala; il secondo, ben più lungo, è il diario di ciò che ho fatto, visto, vissuto e provato durante l’intera permanenza. Direi che è proprio il caso di cominciare.

 

CAPITOLO 1 – INFO PRATICHE 

 

A) VISTO DI INGRESSO ED ASSICURAZIONE SANITARIA: per i cittadini italiani non vi sono particolari formalità da seguire per poter entrare in Guatemala; una volta giunti alla frontiera aeroportuale si compila il solito modulo prestampato per le pratiche burocratiche inerenti l’immigrazione e, una volta consegnato, ci viene apposto il timbro sul passaporto che ha validità 90 giorni. La cosa buffa è che, sia in entrata che in uscita, tale modulo viene archiviato senza neanche essere guardato o controllato da chi dovrebbe essere preposto a farlo. Scommetto che se avessi scritto una serie inaudita di minchiate sarei entrato lo stesso senza problemi, ma meglio non rischiare. Per quanto riguarda l’assicurazione sanitaria consiglio vivamente di acquistarla e di non partire sprovvisti: per viaggi di questo tipo credo sia una sicurezza averla con se, considerando anche che gli eventuali costi delle strutture di cura potrebbero essere elevatissimi. Con una quarantina di euro ci si mette al riparo dai rischi di questo genere e, a seconda della polizza scelta, avremo compresi anche alcuni extra come l’indennizzo in caso di ritardo del volo, perdita/danneggiamento del bagaglio, furto/scippo ed altre cose simili.

B) SICUREZZA: questo è uno dei punti fondamentali che deve conoscere chi ha intenzione di affrontare un tale viaggio. Trattandosi di America Centrale occorre essere consapevoli del fatto che ci potrebbero essere rischi maggiori rispetto a paesi come la Thailandia, per fare un esempio tra i tanti. Ma una cosa ci tengo a scriverla: non date retta a tutto ciò che si legge sui siti istituzionali; quello della Farnesina (ma non solo) è catastrofico come sempre: sconsiglia categoricamente i viaggi individuali nel paese ed indica una serie di eventi negativi accaduti nell’ultimo periodo dei quali non c’è assolutamente traccia una volta arrivati sul posto. La verità è che la vita scorre serena come in ogni altra parte del mondo. Personalmente mi sono lasciato condizionare troppo e sono partito con addosso un livello di allarme decisamente esagerato. Dico sempre a me stesso che non lo farò più, ma poi ci ricasco ogni santa volta. Il consiglio che ci tengo a dare è che, usando il buon senso e stando attenti a certi particolari, non potrà succedere assolutamente nulla.  Ho girato per dieci giorni dal nord al sud in totale tranquillità ed ho sempre trovato persone gentili disposte a rispondere ad eventuali domande che ho rivolto loro. L’importante è non esibire ricchezza: io sono partito con degli abiti di uso comune (cito addirittura un paio di pantaloni neri palesemente stinti a causa dell’uso precedente), senza catenine, braccialetti o oggetti di valore in bella vista, lasciando il tablet a casa e portando con me solo il mio smartphone del valore di 90 euro, senza mettere il portafogli nelle tasche a portata di ladro e riponendo tutto quanto in mio possesso all’interno dell’unico zaino che è stato il mio bagaglio per l’intero periodo. Cosa possono pensare di rubare in un caso simile? Vestiti usurati? Due spicci di numero? Un cellulare che neanche i cani vorrebbero avere? Direi proprio di no. L’unica cosa che avevo di valore un po’ più elevato era la mia reflex, ma l’ho messa in mostra solo quando dovevo scattare delle fotografie per poi riporla immediatamente al sicuro da occhi indiscreti nei momenti in cui non mi serviva. E’ ovvio che esiste la possibilità che qualcuno vi scippi, ma città che reputiamo sicure come Roma, Milano e similari ne sono forse esenti? Assolutamente no. Provate a farvi un giro nella capitale ai fori imperiali o nella metropolitana e pregate di avere con voi il portafogli quando avrete finito. L’importante, e lo ripeterò sempre, è usare il buon senso.

C) MONETA E CAMBIO: In Guatemala si paga col Queztal (plurale: Quetzales). I tagli delle banconote sono da 1, 5, 10, 20, 50, 100 e 200 (quest’ultima non l’ho mai vista sinceramente) mentre le monete vanno da 1 Quetzal fino agli “spiccetti” che sono chiamati Centavos. Prima della partenza ho letto che il Dollaro Americano ha corso legale, ma ci tengo a dire che è una emerita stronzata: nessuna piccola attività accetterà pagamenti coi “biglietti verdi”, a meno che non si tratti di agenzie turistiche o cose simili. Sapendo questo particolare (che poi si è rivelato falso) mi sono munito di 217 dollari USA (200 euro di controvalore) ad uno sportello cambiavalute di Roma per poter essere più tranquillo, ma se non lo avessi fatto non sarebbe successo nulla. Al momento della mia partenza il cambio ufficiale interbancario era il seguente: 1 dollaro equivaleva a 7,71 Quetzales mentre 1 euro equivaleva a 8,61 Quetzales. Ma questi sono dati totalmente indicativi perchè, se non starete attenti, verrete fregati in maniera clamorosa e totalmente legale. Ed è proprio per questo motivo che voglio prendere un po’ di spazio in più per una delle mie solite polemiche; magari possono non piacere e risultare noiose o addirittura snervanti, però per me sono necessarie in casi come quello che sto per descrivere. Durante la preparazione del viaggio ho consultato altri racconti di chi il Guatemala lo aveva già visitato, quindi ho letto altri travel blogs e non solo. Ebbene, ho trovato una marea di scritti sui paesini caratteristici ubicati sul Lago Atitlan con particolare riferimento al fatto che a “San Marcos la Laguna” ci fosse una specie di centro per fissati cronici con lo yoga, la meditazione ed altre amenità varie…ma non ho mai letto ( e ripeto: MAI LETTO!!!) un’informazione pratica di base su come e dove cambiare i soldi al miglior tasso possibile. Possibile che la gente sia così ritardata? Ma si può sapere cosa me ne frega del fatto che “San Marcos la Laguna” è frequentata da malati dello yoga mentre nel frattempo vengo derubato dai cambiavalute??? Possibile che quasi nel 2020 si creda ancora di vivere sulle nuvolette grige nel cielo blu senza capire che la vita non è una favola? Ma qualche bella iniezione di praticità vi fa così schifo? Personalmente non ho parole e voglio essere il primo ad ovviare a questa mancanza totale di dati: l’unica notizia che avevo trovato in rete diceva che il miglior tasso di cambio lo offrono le banche (in particolare il “Banrural”) ma sappiate che è TOTALMENTE FALSO. Vado con ordine: in tutti i paesi del mondo in cui sono stato prima del Guatemala, l’attività del cambio soldi è sempre stata una delle più semplici: cercavo un ufficio cambi in giro per le varie città, guardavo i tassi, li comparavo e poi sceglievo il migliore; roba di pochi minuti ed il problema era risolto. Qui non funziona così: gli uffici privati (chiamati “Casa de Cambio”) sono i più ladri e farabutti di tutti perchè applicano tassi da furto, quindi statene lontani se proprio non avrete altra scelta. Le banche sono un tantino migliori, ma non sono il top: 1 dollaro lo cambiano a 7,33 Quetzales ed 1 euro (udite udite…) a 7,97 Quetzales…cioè 0,64 Quetzales in meno rispetto al tasso ufficiale del momento; c’è anche un limite massimo che proibisce di cambiare più di 500 dollari al mese negli istituti di credito e non vengono accettati tagli di dollaro USA inferiori alla banconota da 50 (in parole povere, se avete un pezzo da 20 dollari non ve lo prendono). Prelevare denaro dagli ATM (sempre che siate in una situazione sicura e lontani dagli occhi indiscreti) potrebbe non essere possibile perchè la vostra carta potrebbe risultare non abilitata; se invece lo fosse vengono applicate SEMPRE delle commissioni fisse per ogni operazione, ed ecco che la convenienza non c’è più. Allora dove bisogna cambiare? A forza di girare, guardare, chiedere e documentarmi l’ho capito da solo: in ogni città che si rispetti (alcuni esempi visti con i miei occhi sono Antigua, Flores e Quetzaltenango) c’è un negozio di articoli di elettronica chiamato “ELEKTRA” che vi consiglio di localizzare sulle mappe delle località che visiterete per trovarli con maggiore facilità; in fondo a tali negozi ci sono gli sportelli del Banco Azteca che, tra le altre cose, sono preposti al cambio valuta per i turisti. I tassi trovati sono stati di 1 dollaro pari a 7,45 Quetzales ed 1 euro pari a 8,30 Quetzales, decisamente migliori rispetto a tutto il resto. Anche in questo caso vige il limite di 500 dollari al mese, ma almeno accettano di tutto, persino le banconote da un dollaro.

D) CLIMA ED ABBIGLIAMENTO: il Guatemala è un paese piccolo, ma con differenze enormi dal punto di vista delle temperature; lo divido idealmente in tre parti: se vi interessa praticare il trekking sulle montagne (e sui vulcani) portatevi roba molto molto molto molto calda perchè si sale parecchio di quota (io sono arrivato a 4.000 metri) con conseguente freddo che vi farà battere i denti nel vero senso della parola; nella zona degli altipiani (dove si trovano Antigua e Quetzaltenango, per capirci) fa fresco soprattutto al mattino e di sera, per cui anche in questo caso servono abiti adatti. Infine, nella zona “tropicale” che comprende le località di Flores, Rio Dulce e Livingston fa un caldo della madonna, per cui servono abiti leggeri (t-shirt e pantaloncini corti vanno bene in qualunque momento della giornata, anche quando cala il sole) senza dimenticare il telo mare ed il costume da bagno perchè si possono fare attività che richiedono queste cose. Ma non fatevi spaventare da quanto ho appena scritto: causa acquisto della tariffa aerea “Economy Light” avevo a disposizione il solo bagaglio a mano da 8 kg più un accessorio personale; ho fatto entrare tutto il necessario in uno zainetto da 35 litri di capacità rientrando nel peso massimo e non mi è mancato nulla. Ma questo lo spiegherò meglio nella seconda parte di questo post, cioè quella del diario di viaggio. Le stagioni sono fondamentalmente due: umida e secca. La prima va da maggio ad ottobre e, come recita il nome stesso, è caratterizzata da precipitazioni quotidiane. Purtroppo è la fascia temporale in cui la maggior parte degli italiani ha le ferie perchè comprende i mesi di luglio ed agosto, quindi siatene consapevoli. La seconda va invece da novembre ad aprile ed in tale periodo le piogge sono abbastanza rare. Io sono andato dal 8 al 18 novembre, quindi proprio all’inizio della stagione secca; avrei potuto rischiare di beccare uno strascico del periodo delle piogge ed invece è andato tutto a meraviglia: in tutto il mio soggiorno ho assistito in totale ad un’ora di precipitazioni, pure di bassissima intensità.

E) TRASPORTI: premesso che non esiste una linea ferroviaria, per poter girare il Guatemala ci sono fondamentalmente tre opzioni: la prima è rappresentata dai bus di linea; le compagnie più famose sono “Fuente del Norte” e “Maya de Oro”. Queste coprono molte tratte a prezzi abbordabili ed offrono in certi casi un discreto comfort (ma non sempre…). Poi ci sono i cosiddetti “Chicken Bus”, ovvero dei vecchi scuolabus statunitensi portati qui a finire la loro vita lavorativa; hanno un colore diverso a seconda della destinazione e molti conducenti si divertono ad assegnargli un nome femminile che scrivono sulle fiancate. Il biglietto costa pochissimo anche per tratte lunghe, ma per un viaggio strutturato come quello che ho fatto io non vanno bene: sai quando parti ma non sai quando arrivi, sono iper-affollati con gente che spesso non trova posto a sedere e sta in piedi lungo il corridoio centrale, fanno milioni di fermate intermedie e quindi risultano essere lentissimi. Infine ci sono i cosiddetti “shuttle”, ovvero dei minibus da una quindicina di posti cadauno che sono organizzati dalle agenzie locali quasi appositamente per far spostare i turisti: le tratte coperte sono quelle più comuni per chi viaggia alla scoperta del Guatemala, sono abbastanza veloci ma hanno un costo elevato: se un Chicken Bus vi chiede due euro, uno shuttle per lo stesso tragitto ve ne chiederà venti. Purtroppo non ho avuto scelta ed ho dovuto usare solo la prima e la terza soluzione. In fase di prenotazione dei vari spostamenti ho notato che per coprire alcune distanze relativamente brevi sarebbe stato necessario viaggiare per ore non capendone il perchè; una volta sul posto ci ho messo poco a comprenderne il motivo: molte strade sono in condizioni che anche la parola “pessime” risulta essere un complimento. Sterrati infiniti con voragini immense senza soluzione di continuità, deflettori di velocità piazzati praticamente ogni 500 metri (che rottura di coglioni…ma perchè la gente non li spiana durante la notte? Io li odio quei cosi maledetti ed il Guatemala ne è stracolmo), blocchi temporanei della circolazione a causa della manutenzione sommaria di ponti precari e fatiscenti e  necessità fisiologiche del 99,99% delle persone che chiedono una sosta bagno all’autista ogni cinque minuti rendono alcuni spostamenti delle vere e proprie piaghe. Ma anche di questo parlerò meglio nella diario che sto per iniziare.

F) COSTI GENERALI E INFO VARIE: una cosa è certa: questo non è il sud-est asiatico; qui tutto costano più o meno come in Italia, soprattutto i ristoranti classici. Mangiando dove abitualmente si cibano gli abitanti del posto si può spendere poco ed avere prodotti di buona qualità, ma certi posti vanno trovati e nella mia situazione non ne ho avuto materialmente il tempo. Va molto di moda lo street food ed ovviamente i prezzi sono buoni, col limite che ci si deve arrangiare a consumare i pasti in piedi o seduti su quale panchina/muretto. In alternativa, nelle località più turistiche, ci sono i McDonald’s ed i Burger King che hanno costi più bassi del 20-25% rispetto ai nostri e delle porzioni decisamente “americane”, cioè più abbondanti. Ricordo il Sundae al Caramello del Burger King: in Italia è un bicchierino di gelato mentre qui lo servono in una mezza tinozza 🙂 . Da questo concetto e dalla faccina sorridente si capisce come apprezzo più questo tipo di alimentazione rispetto agli assaggini dei ristoranti stellati: quelli li lascio volentieri agli altri. Per far intendere ancora meglio la situazione, meglio mezzo kilo di pasta di qualità inferiore che avere davanti un piatto enorme con dentro solo tre fusilli e due gamberetti di qualità eccelsa. Questo sono io, prendere o lasciare. Per dormire ci sono sistemazioni per tutte le tasche e sono facilmente prenotabili sui portali classici come Booking.com, Hotels.com e similari; si va dal posto letto in dormitorio che costa 5-6 euro fino alle camere d’albergo più costose. Ovviamente ho optato sempre per soluzioni dignitose (sempre dotate di bagno privato) con ottimo rapporto qualità/prezzo. Una delle cose che mi hanno stupìto di più dal punto di vista economico riguarda i pagamenti rateali: noi siamo abituati a saldare i nostri debiti con RID/bollettini mensili, mentre in Guatemala tutto ciò avviene settimanalmente; pensate che rottura di coglioni dover saldare ogni sette giorni la rata di un finanziamento. Un esempio pratico: compriamo una lavatrice in Italia e sul cartello leggiamo “pagabile in 24 rate mensili” (2 anni) mentre in Guatemala leggiamo “pagabile in 102 rate settimanali” (sempre 2 anni). Concludo il discorso facendo notare che qui è ancora abbastanza diffusa l’attività del “lustrascarpe”; diverse volte mi è capitato di vederne qualcuno all’opera.

Arrivato a questo punto, ricordando che in questa nazione ci sono ben 37 vulcani dei quali 4 ancora attivi, mi pare di aver detto davvero tutto ciò che serve per aiutare chi volesse organizzare un viaggio in Guatemala. Io queste cose le ho dovute studiare a casa e scoprire di persona sul posto, mentre chi legge questo scritto sarà avvantaggiato in una maniera incredibile perchè avrà trovato un sunto di ciò che si deve sapere.

 

CAPITOLO 2 – DIARIO DI VIAGGIO

 

Venerdi 8 novembre: Decido di risparmiare sul parcheggio in zona aeroporto (circa 40 euro o più per lasciare la macchina ferma undici giorni sono un furto) e opto per raggiungere lo scalo di Fiumicino in maniera alternativa; il problema è che ho il primo dei tre voli alle 8:10 del mattino e che, per poter arrivare al check-in per ritirare i biglietti per l’intera tratta di andata senza trovare la coda infinita di chi imbarca i bagagli devo essere lì alle 5:00, cioè tre ore prima. Per poterlo fare esco di casa alle 2:45 di notte e passo al Carrefour a prendere alcuni snacks che mi saranno utili nei primi giorni di permanenza in Guatemala; parcheggio l’auto nel solito posto e poi vado a prendere il bus notturno “N1” che mi porta alla stazione Termini. Faccio appena in tempo a vedere un gruppetto di ubriachi che fanno a cazzotti per futili motivi (bella zona davvero la stazione centrale della capitale…) e poi salgo sul pullman della T.A.M. che mi conduce in tempo a destinazione. Parlando del viaggio, ho acquistato sia l’andata che il ritorno con due scali cadauno con la tariffa “Economy Light” che prevede il solo bagaglio a mano delle dimensioni di un trolley e col peso massimo di 8kg + un piccolo accessorio personale. Lo so che sembra impossibile, ma anni di pratica mi hanno insegnato a partire con il solo stretto necessario senza farmi mancare nulla: in uno zaino con capacità di 35 litri comprato su Amazon riesco ad inserire vestiti pesanti per il trekking in alta montagna, abiti leggeri per la zona tropicale, abiti medi per la zona degli altopiani, il mio mini-computer portatile, la reflex con batterie di scorta, caricabatterie vari, adattatori di corrente (in Guatemala ci sono solo prese elettriche a lamelle piatte), medicine, “liquidi” necessari per poter fare la doccia nel caso in cui in albergo ne fossero sprovvisti, telo mare e costume da bagno. Detto questo, l’addetta del banco Alitalia provvede a stampare i tre biglietti e me li consegna (la compagnia di base è l’Air France, ma la tratta Roma-Parigi è operata dalla nostra compagnia di bandiera in perenne amministrazione controllata): noto che sui due voli brevi ho il posto al finestrino, mentre su quello intercontinentale ho il posto centrale, per me una vera jattura. Ma non c’è niente che si possa fare: il cambio mi viene negato perchè tutti i posti sono occupati. La partenza del primo mattino avviene con quaranta minuti di ritardo, cioè con la solita disorganizzazione italiana. Non è un problema perchè ho uno scalo a Parigi Charles de Gaulle di circa tre ore, seguito dall’aereo diretto a Panama City, principale hub per l’intero centro America. Infine, dopo un altro paio d’ore di scalo, prendo il volo della Coba Airlines fino all’aeroporto “La Aurora” di Guatemala City dove arrivo alle 22:45 locali,  con sei ore in meno rispetto all’Italia. Inutile dire che sono stanco per tutto ciò perchè è scontato. Fa fresco, ma non il freddo che mi aspettavo dopo aver letto le previsioni meteo. Per poter raggiungere il centro città o altre località a quest’ora di venerdi sera non esiste scelta perchè gli shuttles (il mezzo più sicuro ed economico) operano fino alle 20:00 per poi riprendere l’attività il mattino successivo. Devo assolutamente arrivare alla cittadina di Antigua dove avrò il primo hotel di questo tour e per farlo ho dovuto prenotare un trasferimento privato tramite un’agenzia locale trovata su internet. L’alternativa ci sarebbe e si chiama Uber, applicazione ormai fuorilegge in Italia ma che all’estero permette di risparmiare bei soldini rispetto ai taxi classici e succhiasangue. Facendo due conti, Uber mi costerebbe circa 175-180 Quetzales mentre l’opzione da me scelta ne richiede 225 (circa 4 dollari in più al cambio ufficiale); per una differenza tanto ridicola ho optato per l’opzione più costosa perchè almeno avrei saputo con chi sarei stato in macchina in una paese del tutto nuovo a quell’ora della notte. Poco dopo la mezzanotte faccio il mio ingresso in albergo, una struttura molto carina e pulita che pago 16 euro. Cosa faccio ora? Dormo, dormo e dormo come un sasso. Piazzo la sveglia alle 7:00 e mi corico nel morbido e caldo letto qui presente.

Sabato 9 novembre: il mio programma di viaggio è subito iper-tosto; dopo aver fatto una doccia caldissima e molto lunga in termini di tempo che mi rimette al mondo preparo tutte le mie cose: tra le 8:00 e le 8:30 vengono a prendermi gli organizzatori di una escursione molto particolare. Si tratta di un giorno e mezzo (quindi con pernottamento) in cui è previsto il trekking sul vulcano “Acatenango” (ovviamente inattivo) con l’obiettivo di ammirare le eruzioni del vulcano Fuego da distanza molto ravvicinata sia di giorno che di notte. I ragazzi sono puntuali e mi caricano su un “Chicken Bus”: appena salgo a bordo mi tranquillizzo: la mia paura era di trovare un gruppo di giovanissimi che avrebbe potuto darmi del filo da torcere durante le ore di salita sulla montagna (tra undici giorni esatti compirò 41 anni…non sono più un bambino nonostante l’allenamento continuo e regolare al quale mi sottopongo viaggiando come un dannato) ed invece la vista di una signora che non avrà meno di sessant’anni mi fa capire che già partiamo col piede giusto. La prima tappa è il punto di raccolta dell’organizzazione: qui ci vengono consegnati in comodato d’uso una serie di oggetti che risulteranno fondamentali nelle prossime ore. Nel mio caso parlo di borsone da 70 litri di capacità, giaccone invernale, guanti da neve, passamontagna, coperta di pile, luce da minatore (di quelle che si mettono in testa, per capirci), borraccia con tre litri d’acqua e box contenente i pasti da consumare durante la permanenza in loco. Di mio aggiungo due maglie termiche, un paio supplementare di calzini pesanti, la reflex con relative batterie extra ed i soldi in contanti (non li lascerei certo in custodia a nessuno diverso da me…). Infine, prima della partenza vado in bagno ad indossare già da subito la calzamaglia termica sotto ai pantaloni. Tutto il resto del mio zainetto da 35 litri resta qui, insieme alle cose di tutti gli altri partecipanti all’escursione che, compreso me, sono diciassette. Il solito “Chicken Bus” ci accompagna fino al punto di inizio della salita dopo aver “caricato” a metà percorso le tre guide locali che avranno il compito di portarci fino in cima al vulcano e poi farci tornare indietro sani e salvi. Foto di rito e poi via alle ostilità, in una giornata in cui il sole si alterna alle nuvole. Ricapitolando: Antigua si trova a circa 1.500 metri sul livello del mare, il punto di inizio della camminata è a 2.200 metri di altitudine e la destinazione finale è a 4.000 metri esatti. Il primo strappo è già difficile ed il gruppo si divide in tre tronconi: il primo (quello in cui mi trovo io) prende già un discreto vantaggio rispetto agli altri due, così ogni tanto dobbiamo fermarci per aspettare di riunirci. Succede per un paio di volte, poi alla fine le guide prendono una decisione saggia decidendo di seguire un “troncone” a testa per non danneggiare nessuno e permettere a chiunque di adoperare il proprio passo. Alla fine il risultato non cambia perchè dobbiamo arrivare in cima tutti insieme, per cui le soste di attesa per i ritardatari continuano, però ognuno scala come sa e come gli permettono le proprie gambe. Il terreno è accidentato, ma questo è normale; non mi aspettavo di certo di trovare l’asfalto. Il problema è che in certi tratti è molto scivoloso e bisogna prestare la massima attenzione. Raggiungiamo una biglietteria dove paghiamo l’ingresso al parco (50 Quetzales) e proseguiamo. Per il momento la vista non è niente di che perchè camminiamo in mezzo alla foresta e con pochissime occasioni di vedere oltre. A metà strada ci fermiamo in uno spiazzo, tiriamo fuori dai borsoni il box con le cibarie ed iniziamo a pranzare: è prevista un’ottimo porzione di pollo con riso e verdure di contorno, per cui nessuno si lamenta. Segue un altro strappo bello pesante fino a quando la strada si fa più semplice e soprattutto la vegetazione si dirada: la vista è magnifica con il vulcano “Agua” a far da padrone e le cittadine erette proprio ai suoi piedi che sembrano decorare il panorama.

Il Vulcano Agua

Il Vulcano Agua

Ormai manca davvero poco allo stop previsto per oggi, ovvero il campo tendato che ci ospiterà per la notte ubicato a 3.600 metri di altitudine. Quando lo vedo è lì, già montato ed attrezzato (avevo letto di altre organizzazioni che chiedono ai partecipanti di costruire le tende una volta giunti sul posto e mi sono assicurato in fase di prenotazione che non si trattasse di certi mentecatti). Si tratta di soluzioni abitative adatte per tre persone ma che, per maggiore comodità, vengono concesse ad un massimo di due persone; a me tocca dividere lo spazio con un portoghese, ma tanto ognuno ha il proprio sacco a pelo e di posto ce n’è a sufficienza. Di una cosa sono orgoglioso: alla mia età e con quel manipolo di ragazzi nel gruppo sono il terzo che raggiunge il campo distanziato solo di una ventina di metri dai primi due. Tutto il resto della gioventù dei giorni nostri arriverà anche con decine di minuti di ritardo; che vergogna. Una volta qui non c’è molto da fare se non aspettare le eruzioni del vulcano “Fuego” ed attendere il momento della cena. Adesso c’è ancora luce e la temperatura è ancora accettabile, ma basteranno pochi giri di lancette per farla calare drasticamente costringendomi ad indossare tutto ciò che ho di caldo. Davanti a me c’è lui…Fuego…la montagna ancora vivissima che il 3 giugno del 2018 (poco più di un anno fa e non in chissà quale epoca) ha ucciso circa 2.000 persone che si trovavano a valle con una eruzione megagalattica; a parte una nuvoletta insignificante di fumo che esce dalla sua vetta sembra non avere niente di diverso rispetto ad un monte comune, ma un boato mi fa cambiare idea e la mia prima eruzione è servita su un piatto d’argento. Non ho parole che possano descriverla: è semplicemente spettacolare vedere la lava che fuoriesce dal cratere in pochi secondi con un getto verticale e che poi si adagia sul fianco della montagna scendendo fino a raffreddarsi e fermarsi. Poco dopo veniamo accompagnati dalle guide a vedere il tramonto in un posto ancor più panoramico rispetto al campo tendato (è meraviglioso notare che siamo più alti delle nuvole), per poi rientrare alla base col sole già calato del tutto potendo ammirare la forza della natura come avevo sognato al momento della partenza, cioè completamente al buio. Se le eruzioni di giorno sono state bellissime, quelle di notte sono follia pura; il contrasto cromatico della lava incandescente con l’oscurità che la circonda è incredibile.

Il Vulcano Fuego a riposo

Il Vulcano Fuego a riposo

Il Vulcano Fuego inizia a fumare...

Il Vulcano Fuego inizia a fumare…

Esempio di Eruzione Diurna - 1

Esempio di Eruzione Diurna – 1

Esempio di Eruzione Diurna - 2

Esempio di Eruzione Diurna – 2

Il tramonto accanto al Vulcano Fuego

Il tramonto accanto al Vulcano Fuego

Esempio di Eruzione Notturna - 1

Esempio di Eruzione Notturna – 1

Esempio di Eruzione Notturna - 2

Esempio di Eruzione Notturna – 2

Esempio di Eruzione Notturna - 3

Esempio di Eruzione Notturna – 3

Arriva il momento della cena che avviene all’interno di un casottino di fortuna nel quale è stato allestito un fuoco sufficiente per far bollire l’acqua: ebbene si, per la mia prima vera cena in Guatemala l’organizzazione ha previsto…spaghetti alla bolognese. Sarà pure destino, ma è così: a 11.000 kilometri da casa mi servono la pasta col ragù. La qualità è decente e me la divoro, mentre qualche ragazzo fa lo schizzinoso lasciando una buona parte della razione nel contenitore. Segue poi del pane riscaldato con un cuore di burro e cipolla (immagino che l’alito abbia gioito per questa fantastica accoppiata); pasteggiamo con vino locale in brick (tipo Tavernello, per capirci) e finiamo la serata degustando cioccolata calda (secondo me troppo allungata col latte perchè poco densa) e, altra mia prima volta, scaldando i marshmallows sul fuoco proprio come si vede in molti films e telefilms americani. Per chi non lo avesse mai provato posso dire che è una goduria infernale: il marshmallow si scioglie creando una sorta di crema di zucchero buona da far paura. Peccato che l’organizzazione ce ne abbia dati solo cinque a testa. Tutto ciò mentre “Fuego” continua ad eruttare ed a farci restare a bocca aperta. Poi, pian piano gli altri vanno nelle rispettive tende e rimango da solo: non ho alcuna intenzione di andare a dormire alle 20:00 perchè questo spettacolo me lo sono guadagnato con fatica e non ricapiterà certo a breve; fa un freddo boia, ma non me ne frega un accidente. Alla fine capitolo anch’io, ma ancora una volta ho retto più degli altri in quella che è stata una meravigliosa giornata.

Domenica 10 novembre: la sveglia è alle 3:40 del mattino (si…avete letto bene e non è un errore di battitura); tutto ciò perchè l’obiettivo è andare ad ammirare l’alba sulla vetta del vulcano “Acatenango”, cioè ai famosi 4.000 metri dei quali ho già parlato. La partenza è facoltativa ed infatti tre persone decidono di non venire restando al calduccio nei sacchi a pelo; tra loro c’è la signora di circa sessant’anni che ha avuto l’accortezza di rinunciare. Per salire di altri 400 metri servirà circa un’ora e mezzo, per cui dobbiamo metterci in cammino non più tardi delle 4:00. Coperti come di più non si potrebbe e con le luce da miniera in testa iniziamo a seguire la guida in quello che si rivela sin da subito un percorso mortale: salite allucinanti da fare al buio e su tratti in cui il sentiero è di 40 centimetri di larghezza massima con sotto una discesa a strapiombo non sono il top; è qui che ho la conferma che il livello di sicurezza delle escursioni in Guatemala è pari a zero, se non addirittura al di sotto. La guida procede fregandosene di eventuali problemi, tanto a lui cosa importa: questa tratta la fa tre volte a settimana da anni…ma non si rende conto che noi la stiamo affrontando per la primissima volta e per di più in queste precarie condizioni. Alla fine, dopo aver imprecato tra me e me come se non ci fosse un domani, raggiungo la vetta sempre nel primo troncone del gruppo e lo spettacolo è pazzesco: il sole sta sorgendo lentamente proprio in questo momento ed ho una visione della valle sottostante a 360 gradi; in quel mentre mi rendo conto che sto calpestando tonnellate di sassolini di lava solidificata perchè in passato anche questo vulcano era attivo come il vicino Fuego. Le uniche due cose negative di questo posto sono il vento fortissimo ed il freddo polare: quello sofferto al campo tendato è niente a confronto. Per poter scattare le foto e fare alcuni video devo necessariamente togliermi un guanto da neve, ma devo farlo con moderazione perchè dopo un po’ non sento più la mano, per cui la devo ricoprire. Ripeto l’operazione più volte per ottenere i risultati sperati ed alla fine ho ciò che voglio.

L'Alba nasce dietro al Vulcano Agua

L’Alba nasce dietro al Vulcano Agua

La cosa buffa è che quassù c’è già un sacco di gente, alcuni di loro con le biciclette al seguito e non mi rendo conto ancora oggi di come ce le abbiano potute portare. Noto anche un meraviglioso cagnone da montagna che sembra trovarsi a proprio agio con certe temperature per me proibitive.

Cagnone Stupendo in cima al vulcano Acatenango

Cagnone Stupendo in cima al vulcano Acatenango

Rimaniamo un’oretta, giusto il tempo di far sorgere completamente il sole e poi iniziamo l’operazione di rientro al campo base. Qui capita un’altra avventura totalmente inattesa: per scendere non percorriamo la stessa strada dell’andata, ma “tagliamo” per un tratto molto lungo che si percorre “sciando” sui sassolini di lava solidificata, operazione possibile mettendo il piede a martello un passo dopo l’altro mentre la poca consistenza del terreno spinge naturalmente verso il basso. Non saprei descrivere meglio di così questa esperienza perchè bisogna provarla e basta. Il fatto è che in venti minuti netti raggiungiamo la destinazione contro i quasi novanta minuti dell’andata. E’ il momento della colazione, per cui ci riuniamo nel solito casottino col fuoco acceso e prendiamo il box con le cibarie: stavolta ci sono fette di pane che possiamo scaldare e poi condire a scelta con marmellata, cioccolata spalmabile (non Nutella, ma una sottomarca) e l’immancabile Burro di Arachidi per la gioia degli americani del gruppo, il tutto accompagnato da un tè caldo. Adesso è veramente finita: non resta altro che riporre tutte le nostre cose e ripartire alla volta dell’inizio del percorso…ed è qui che per me si fa dura: in primis perchè preferisco di gran lunga salire anzichè scendere in quanto la seconda opzione prevede un uso smodato delle ginocchia ed io non sto messo proprio tanto bene; in secondo luogo so bene che il percorso sarà scivoloso per molti tratti ed ho ancora vivo nella mia mente il momento in cui l’anno scorso sono caduto in Val di Mello rompendomi la tibia; se una cosa del genere succedesse qui all’inizio del secondo giorno di tour sarebbe un colpo mortale a tutta la mia maniacale organizzazione. Alla fine va tutto bene e raggiungo sano e salvo la destinazione; le mie scarpe da trekking col “carro armato” mi hanno aiutato molto. Un minibus ci attende e ci carica tutti quanti portandoci al punto di raccolta del giorno precedente: qui restituiamo uno per uno tutta l’attrezzatura fornita e ci riprendiamo le nostre cose per poi essere riaccompagnati nella cittadina di Antigua esattamente nel luogo nel quale eravamo stati prelevati. La differenza rispetto a ieri è che in serata non avrò una camera, bensì un bus notturno. Per questo motivo raggiungo l’agenzia con la quale ho prenotato il transfer e chiedo di Gaby, la persona con la quale mi sono interfacciato via e-mail per poter ottenere il biglietto. Mi aspetto un guatemalteco piccolo di statura e scuro di pelle, ma scopro che quel nome corrisponde ad una “stangona” olandese, biondissima e con uno stacco di coscia chilometrico che esibisce senza alcuna vergogna dallo spacco della gonna; personalmente non avevo intenzioni bellicose, ma era impossibile non notarla persino per un cieco. Chiedo ed ottengo il mio biglietto, oltre al favore di potermi mettere in un angolo a riorganizzare lo zaino: usando il piccolo bagaglio personale concesso dalla tariffa della compagnia area porto con me solo lo stretto necessario (reflex, batteria supplementare, cellulare, passaporto e qualche soldo da cambiare) e lascio tutto il resto in custodia in agenzia. E’ arrivato il momento di iniziare a visitare “Antigua”, città che ho programmato di vedere in due parti (oggi pomeriggio e tra sette giorni esatti quando ci ritornerò), decisione che non apprezzo molto ma che si rende necessaria per poter incastrare a dovere tutte le cose che ho da fare nel periodo di permanenza in Guatemala. Ma prima devo necessariamente cambiare i soldi ed ottenere la prima valuta locale del mio tour. Come ho già scritto nel capitolo numero uno (quello delle info pratiche) la cosa è di una difficoltà più unica che rara, cosa mai successa in tutti i miei viaggi passati. Alla fine chiedo ad una poliziotta decisamente rotonda dove posso andare ed è lei ad indicarmi la soluzione già descritta del negozio “Elektra” che, tra l’altro, si trova a poche decine di metri dall’albergo nel quale ho dormito al mio arrivo. Finalmente posso comprare qualcosa da mangiare e da bere in uno dei tanti negozietti presenti ed iniziare la scoperta di quella che è stata la terza capitale del Guatemala, abbandonata dopo che venne distrutta a fine luglio del 1773 da una serie di potentissimi terremoti (nel 1776 la capitale fu spostata a “Nueva Guatemala”, ovvero la Guatemala City che conosciamo oggi). Nel corso degli anni Antigua è stata parzialmente ricostruita ed oggi è una cittadina a tutti gli effetti; le caratteristiche principali a mio avviso sono tre: ha tutte le strade con fondo di ciottoli, quindi neanche una asfaltata; è ubicata ai piedi di un Vulcano ed ha il fascino (seppur macabro) della decadenza di un posto flagellato da un sisma. Letto questo ultimo particolare ci si immagina una località distrutta e che cade a pezzi, ma non è così. Gli unici edifici che sono rimasti come allora sono alcune chiese, mentre le case sono nuovamente vive e colorate con tonalità pastello una diversa dall’altra, cosa che dà all’insieme un tocco più unico che raro. Prendo la mappa e cerco di orientarmi in quello che è un dedalo di strade all’americana, ovvero non contrassegnate da nomi come le nostre vie, bensì da numeri; il tutto complicato dall’ulteriore frammentazione data dall’uso dei quattro punti cardinali. Vale a dire che la terza strada esiste nelle versioni “nord”, “sud”, “est” ed “ovest” e lo stesso vale per tutte le altre. Devo dire che una volta presa la mano, trovare ciò che devo non è poi così complicato, ma resta il fatto che preferisco l’organizzazione all’europea. Dato che oggi ho meno tempo rispetto alla domenica ventura mi dedico a girare nella zona centrale, lasciando quella più periferica alla prossima volta. L’agenzia turistica che lascio appena fatto tutto ciò che devo si trova a due passi dalla “Iglesia de la Merced” ed è proprio questo il primo punto di interesse che incontro sul mio cammino. Nella piazzetta antistante ci sono bancarelle intente a vendere sia cibo che oggettistica varia. Pochi passi e mi trovo a passeggiare nella via dove c’è la cosa più conosciuta di Antigua a livello turistico, ovvero l’Arco di Santa Catalina; lo immortalo da entrambi i lati: da una parte ne prendo la panoramica, mentre dall’altra scatto anch’io la classica immagine che mostra il vulcano incorniciato dall’arco stesso.

Iglesia de la Merced

Iglesia de la Merced

Arco di Santa Catalina - panoramica

Arco di Santa Catalina – panoramica

Arco di Santa Catalina ed il vulcano sullo sfondo

Arco di Santa Catalina ed il vulcano sullo sfondo

Una deviazione mi porta sulla “3° Avenida Norte” dove c’è il primo degli edifici religiosi terremotati che vedo: si tratta della “Iglesia El Carmen”; una mercatino specializzato in stoffe coloratissime occupa una lunga fetta della strada davanti alla chiesa. Nella via successiva merita attenzione l’edificio che ospita il “Convento Capuchinas” .

Iglesia El Carmen

Iglesia El Carmen

Convento Capuchinas

Convento Capuchinas

Come tutte le città dell’America Latina, anche questa nasce tutta intorno ad una piazza pubblica di discrete dimensioni che prende il nome di “Parque Central” : qui il verde degli alberi presenti è il colore dominante, mentre una fontana è ubicata esattamente al centro dell’area. C’è molta gente seduta sulle panchine o a passeggio ed è un piacere stare qui ad osservare anche i minimi particolari di ciò che mi circonda. Il perimetro della piazza è composto da edifici storici, tre dei quali sono degni di nota: il “Palacio de l’Ayuntamiento” (sede del municipio), la Cattedrale di Antigua Guatemala e il “Palacio de los Capitanes Generales”. Quest’ultimo è veramente grande ed è difficile farlo entrare tutto nell’obiettivo della reflex; l’immagine che posto è ciò che lo spazio a mia disposizione mi permette di fare e, tra l’altro, è presa durante il mio secondo passaggio in zona avvenuto nel momento del tramonto, cioè quando tutta la città viene illuminata in maniera soft. Ma di questo parlerò tra poco.

Fontana del Parque Central

Fontana del Parque Central

Palacio de l'Ayuntamiento

Palacio de l’Ayuntamiento

Cattedrale di Antigua Guatemala

Cattedrale di Antigua Guatemala

Palacio de los Capitanes Generales

Palacio de los Capitanes Generales

Non lontano c’è il “Museo de Arte Colonial” seguito dalla “Iglesia San Pedro Apostol” ubicata nell’intersezione tra la “6° Calle de Oriente e la 3° Avenida Sur”. L’adiacente “Tanque la Union” (un parchetto) è completamente chiuso causa lavori in corso; dalle transenne si salva solo una struttura di colore giallo che aveva la funzione di lavatoio. In verità questo in particolare è ormai in disuso perchè si trova al centro di una cittadina turistica, ma girando per il resto della nazione posso dire col senno di poi che non mi mancheranno scene in cui le donne locali lavano i vestiti della famiglia a mano nelle “pile pubbliche”. Sull’altro lato della strada c’è il “Convento Santa Clara”, una delle poche attrazioni che prevedono un ticket di ingresso; il complesso è franato in molte delle sue parti sempre a causa dei terremoti del 1773, ma quello che rimane in piedi è sicuramente da non perdere. Uscendo riesco ad immortalare la vista che si può godere semplicemente passeggiando per le vie di Antigua.

Iglesia San Pedro Apostol

Iglesia San Pedro Apostol

Ex lavatoio pubblico ad Antigua

Ex lavatoio pubblico ad Antigua

Panorama che si ha camminando per Antigua

Panorama che si ha camminando per Antigua

Purtroppo il tempo stringe e decido di invertire la marcia in cerca di altri punti di interesse che siano nella zona dell’agenzia turistica che ho lasciato in precedenza; da queste parti tornerò sicuramente domenica prossima con maggiore calma. Mi imbatto così nella “Iglesia San Agustin” e cerco di portarla nel mio album dei ricordi, ma non ci riesco immediatamente causa traffico: ci sono macchine che arrivano senza sosta da ogni via che compone l’incrocio qui presente, per cui decido di attendere pazientemente qualche secondo. C’è da tenere conto anche del fatto che la popolazione locale non ama particolarmente essere fotografata ed è sempre bene chiedere il permesso, per cui presto attenzione anche a questo particolare desistendo ancora di più nel procedere col mio intento e per questo vengo punito dal destino: ho la reflex in mano ed il dito pronto a scattare l’istantanea quando mi viene spontaneo voltarmi alla mia destra…dove vedo un intero corteo funebre a cinque metri da me. Morale della favola: o aspetto che il povero defunto passi oltre oppure devo rinunciare ed ovviamente scelgo la prima opzione, così ho anche  modo di osservare come si svolge un funerale da queste parti. Il prossimo step è rappresentato dall’ “Antiguo Colegio de la Compania de Jesus”, altro particolare esempio di chiesa terremotata.

Iglesia San Agustin

Iglesia San Agustin

Antiguo Colegio de la Compania de Jesus

Antiguo Colegio de la Compania de Jesus

Decido di arrivare fino al “Convento la Recoleccion” perchè avevo letto commenti molto positivi scritti da chi c’era già stato; l’ingresso è a pagamento (40 Quetzales) ma il gioco vale la candela; il parco adiacente ai resti degli edifici franati è usato dai locali come luogo dove passare qualche ora nel tempo libero in quanto molto verde e ben curato. Faccio appena in tempo ad arrivarci perchè alle 17:00 chiude i battenti; una volta fuori su gentile invito del guardiano che vuole giustamente andare a casa non posso non notare che il sole sta iniziando pian piano a salutare la compagnia. Ho modo di vedere il “Templo Santa Teresa de Jesus” lungo la via del ritorno.

Templo Santa Teresa de Jesus - scorcio

Templo Santa Teresa de Jesus – scorcio

Guardo l’orologio: ho appuntamento alle 18:00 presso l’agenzia turistica, per cui ho ancora circa quaranta minuti a disposizione. Decido di tornare in centro a vedere com’è la situazione al tramonto e non avrei potuto fare scelta migliore: il “Parque Central” e tutte le vie limitrofe pullulano di persone, c’è musica ovunque accompagnata da danze improvvisate degli anziani del posto, ci sono artisti di strada che si esibiscono con la solita folla che li accerchia impedendo in certi casi il passaggio ai pedoni e così via; ma soprattutto (come ho già scritto) tutti gli edifici ed i punti di interesse più belli si illuminano in maniera soft rendendo il contesto una vera favola. Mi dispiace fare marcia indietro, ma non ho scelta e procedo. Appena arrivo a destinazione mi faccio restituire lo zaino lasciato in custodia e procedo a riorganizzare il tutto in modo tale da partire con un solo bagaglio e non due. Alle 18:30 in punto si presenta lo “shuttle” che mi prende a bordo dirigendosi, dopo aver caricato altri passeggeri, verso Guatemala City e precisamente presso il punto di partenza dei bus della compagnia “Fuente del Norte”. Quando arrivo sul posto sono le circa le 20:30 e resto un attimino deluso: l’autostazione non è altro che un piazzale nel quale non entrano più di tre pullman; c’è solo una sala d’attesa con biglietteria e nessun punto ristoro o extra di qualsiasi genere. L’unico modo per comprare qualcosa per la cena è un negozietto dall’altro lato della carreggiata che è stracolmo di pacchetti di patatine in ogni suo centimetro quadro: per poter accedere al frigorifero e prendere delle bibite devo fare lo slalom tra le patatine, per poter scegliere un pacchetto di biscotti la storia è la stessa e così via. Si può quindi dedurre che stasera mangerò in maniera pessima, ma non è colpa mia se non c’è una cippa nei paraggi. La partenza è prevista per le ore 22:00 ed alle 21:40 è già possibile salire a bordo; il torpedone è abbastanza nuovo e le poltrone sono larghe e confortevoli, così potrò riposare nelle ore a venire. Infatti, poco dopo esserci mossi dal parcheggio crollo in un sonno infinito, ma non prima di aver messo la sveglia alle 5:50 del mattino seguente.

Lunedi 11 novembre: lo smartphone suona e mi avverte che è giunta l’ora di aprire gli occhi; dopo neanche cinque minuti ci fermiamo e l’autista urla a tutti i passeggeri che siamo arrivati a Flores, cioè esattamente il punto in cui devo scendere. Sono le 6:00 del mattino e sono in perfetto orario con i programmi fatti; la cosa incredibile è che nel giro di una notte il clima è completamente diverso perchè fa già abbastanza caldo e soprattutto percepisco molta umidità nell’aria. Cerco e trovo di corsa un mezzo di trasporto per l’ultima vera fatica di questi primi quattro giorni (viaggio intercontinentale compreso) durante i quali non ho avuto un minuto di tregua. Sono diretto al sito Maya di Tikal considerato il migliore del mondo, ancora più di quelli messicani che ho visitato circa una decina di anni fa. Alle 6:15 ho già pagato i due transfers per l’andata ed il ritorno (80 Quetzales in totale) e metto le chiappe sul prossimo “shuttle” che è già in moto. Servono circa 80 minuti per raggiungere la destinazione e lungo la strada passiamo accanto al piccolo villaggio di “El Remate” del quale ho letto alcune cose durante la preparazione del viaggio: si tratta di una piccola e calma località sul “Lago Peten Itzà” che alcuni preferiscono alla vicina Flores. Circa 17 kilometri prima dell’ingresso ufficiale del parco Maya ci fermiamo: è qui che si comprano i biglietti. Si sa che spesso nei paesi in via di sviluppo ci sono differenza di prezzo tra i locali e gli stranieri e la cosa è anche plausibile quando rimane entro un certo limite, ma qui si esagera davvero: il rapporto è di uno a sei. Un guatemalteco paga 25 quetzales per accedere (circa 3 euro), mentre a me chiedono 150 quetzales (circa 18 euro); è il classico caso in cui un vaffanculo di prima mattina ci starebbe una meraviglia, ma è meglio non aprire bocca per non creare problemi. Una rispostina delle mie se la becca un tizio che cerca di vendermi la mappa del parco per ulteriori 20 quetzales; col mio spagnolo maccheronico gli faccio notare che per quello che ho pagato sarebbe opportuno che la mappa mi venisse quantomeno regalata; capisce l’antifona e gira i tacchi allontanandosi in silenzio. Dopo aver percorso l’ultimo tratto l’autista ci fa scendere dandoci le istruzioni per il ritorno, poi sono libero da rotture di palle megagalattiche (tradotto dalle lingue arcaiche significa “che non ho più persone intorno a me”). Gli addetti alla sicurezza registrano la mia presenza e  mi danno un braccialetto col mio codice identificativo, così posso procedere oltre. Ora siamo solo io ed il sito Maya che desidero scoprire passo dopo passo nelle successive quattro ore e mezzo. Non ho intenzione di tediare chi legge con una descrizione minuziosa di ogni singolo palazzo o piramide che incontro durante il percorso, per cui segue solo un’infarinatura generale. L’intera struttura si trova all’interno di una foresta abbastanza fitta e già questo rende l’ambiente suggestivo e molto originale; il fondo dei sentieri è terroso, con punti in cui ci sono radici a vista ed altri in cui è presente quella che sembra un’antica pavimentazione in pietra che purtroppo è quasi interamente coperta di muschio (o qualcosa di simile), particolare che la rende abbastanza scivolosa. L’ambiente è abitato da alcune specie animali che sono ovviamente libere di circolare dove vogliono; sta alla nostra fortuna il fatto di incontrarle o meno durante il percorso. Mi riferisco soprattutto di scimmie urlatrici, pavoni, tucani e similari. Parlando di ciò che il visitatore si aspetta di vedere posso dire senza paura di essere smentito che ci sono diverse piramidi ottimamente conservate; il discorso vale un po’ meno per le “acropolis” e per i “palacios”, dato che sono in condizioni un pochino peggiori. E’ possibile salire su qualche piramide usando comode scale costruite per l’occasione e non scalando i gradoni; in questo modo si evita sia di rovinare le opere che di cadere rovinosamente giù. Il tempo a mia disposizione sembra tanto, ma le dimensioni dell’area sono grandi e la mappa piazzata all’ingresso è molto poco intuitiva; secondo me lo hanno fatto di proposito per convincere le persone ad assumere una delle guide presenti in loco, ma io non mi sono lasciato fregare: con un po’ di buona volontà e tanta logica si può fare di tutto senza l’ausilio di nessun “spenna-portafogli” nei dintorni. Adesso è giusto lasciar parlare le immagini:

La foresta pluviale del Parco di Tikal

La foresta pluviale del Parco di Tikal

Parte di sentiero invasa dalle radici a vista

Parte di sentiero invasa dalle radici a vista

Il Pavone

Il Pavone

La Scimmia Urlatrice

La Scimmia Urlatrice

Non so bene cosa tu sia...

Non so bene cosa tu sia…

Tempio numero 1

Tempio numero 1

Tempio numero 2

Tempio numero 2

Tempio numero 5

Tempio numero 5

Gran Piramide

Gran Piramide

Vista dalla sommità della Gran Piramide

Vista dalla sommità della Gran Piramide

Piramide del Complesso Q

Piramide del Complesso Q

Acropolis Nord

Acropolis Nord

Palacio de las Acanaladuras

Palacio de las Acanaladuras

Con circa quindici minuti di anticipo mi faccio trovare al punto indicato per poter prendere il bus del ritorno; sono le 12:30 in punto quando il mezzo di trasporto stracolmo di gente in ogni posto possibile lascia il sito Maya di Tikal con destinazione Flores, o meglio Santa Elena (l’accento cade sulla seconda “e”). Provo a spiegare: con questo ultimo nome si intende l’area cittadina ubicata sulla terraferma, cioè quella in cui si sviluppa tutta la vita normale dei guatemaltechi che abitano qui; ci sono banche, attività commerciali, mercati, autostazione e chi più ne ha più ne metta. Attraversando un ponte abbastanza breve (bastano cinque minuti per percorrerlo tutto a passo lento) si arriva nell’isoletta in mezzo al Lago Peten Itzà che ufficialmente prende il nome di Flores. E’ la parte prettamente turistica ed ecco il motivo per cui è più conosciuta. E’ una vera e propria bomboniera caratterizzata dal suo lungolago che copre l’intero perimetro e sul quale sono presenti una marea di ristorantini classici e punti di ristoro vari; nella parte centrale ci sono civili abitazioni e tanti hotels, bed&breakfast, ostelli ecc. oltre ad una piccola cattedrale, poi più nulla. Prima di tutto mi reco al negozio “Elektra” per cambiare qualche altro soldo perchè la mia disponibilità di quetzales è quasi esaurita. Poi raggiungo il posto dove dormirò e prendo la camera: credo sia superfluo dire che sono stanco morto, che ho le gambe a pezzi e che ho bisogno di riposo ed è quello che avrò tra poco, ma non sarà il classico letto che tutti si immaginano; sarà riposo a modo mio. Prendo il bagaglio piccolo e ci metto dentro il telo mare, la reflex, qualche soldo ed il cellulare. Poi indosso il costume da bagno e mi fiondo nuovamente fuori. Ci sono diverse barchette pronte per portare chiunque ne avesse bisogno sulla sponda opposta del lago e cerco opportunamente quella con più gente a bordo perchè vale la regola del “più siamo e meno paghiamo a persona”. Il mio obiettivo è raggiungere il “Jorge’s Rope Swing”, ovvero una specie di bar molto particolare perchè, oltre alle solite sedie, sdraio ed amache a disposizione degli ospiti, ha anche la possibilità di tuffarsi nel Lago Peten Itzà usando sia un trampolino alto 6 metri che delle corde che fungono da liane. Questa cosa l’ho vista su internet durante la preparazione del viaggio e non l’avrei persa per nulla al mondo. Il breve tragitto sul piccolo natante mi dà modo di mettere le mani nell’acqua e di sentire con immenso piacere che la temperatura è favolosa. L’ingresso alla struttura costa 10 quetzales (poco più di un euro) mentre una birra ne costa 15 (2 euro) quindi è una cosa fattiblissima. Passo così le successive due ore fino al tramonto: tuffi, bagni nel lago, birretta gelata e relax. Ben altra cosa rispetto ad uno stupido ed insignificante letto! Ho anche modo di parlare con un ragazzo tedesco dalla lunga barba che ha voglia di conversare: mi confida che non ce la fa a saltare dal trampolino, così gli dico che più ci pensa e meno riuscirà a farlo; certe cose vanno fatte e basta senza ragionarci troppo. Avrà circa quindici anni meno di me e, esattamente come per gli altri membri del gruppo durante la salita sul vulcano “Acatenango”, mi fa un po’ pena. Se avessi ancora la sua età spaccherei il mondo, invece eccolo lì a trincare birra e nulla più in questo paradiso. Sta calando il sole ed il tramonto è di quelli che fanno restare a bocca aperta. Quando mi vengono a prendere e mi riportano al punto di partenza non posso dire di essere sufficientemente riposato dopo tutta la fatica fatta, però mi sento rilassato e tonificato.  per cui prima di rientrare in stanza per la doccia di rito preferisco passeggiare per l’intero lungolago di Flores per capire che cosa offre la località che mi ospita…ma non trovo poi molto.

Sul Lago Peten Itzà

Sul Lago Peten Itzà

Vista del Jorge's Rope Swing dal Lago Peten Itzà

Vista del Jorge’s Rope Swing dal Lago Peten Itzà

Eccomi arrivato finalmente...

Eccomi arrivato finalmente…

Il famoso trampolino da 6 metri

Il famoso trampolino da 6 metri

Tramonto da sogno

Tramonto da sogno

Il tramonto...del trampolino

Il tramonto…del trampolino

Flores dà così il benvenuto ai suoi ospiti

Flores dà così il benvenuto ai suoi ospiti

Classica scritta turistica della regione di Peten

Classica scritta turistica della regione di Peten

La luna si specchia sul Lago Peten Iztà

La luna si specchia sul Lago Peten Iztà

Stavolta si che vado in hotel e, cosa che non avevo mai visto prima, noto che in camera non c’è nessuno specchio. Va bene che ho pagato l’equivalente di 9 euro per stanotte, ma questa cosa è strana davvero. Ma l’arte di arrangiarmi proprio non mi manca, così dopo la doccia mi dò una sistemata veloce usando la fotocamera dello smartphone in modalità “selfie”. A questo punto devo necessariamente correre: io non me ne sono accorto, data la frenesia di questo inizio di tour, ma il mio stomaco si: non faccio un pasto “umano” da quattro giorni e sento dolori lancinanti. Ricapitolando: venerdi ho mangiato nelle ciotoline dei vari aerei, sabato nelle ciotoline della salita al vulcano, domenica a pranzo idem, domenica sera un pacchettino di biscotti e da stamattina un pacchetto di patatine da 30 grammi; mi pare normale che qualcuno me la stia facendo pagare amaramente. In queste condizioni non posso rischiare di spendere una follia per mangiare porzioni risicate, per cui mi armo solo di carta di debito, qualche soldo in contanti nel caso in cui la carta non venisse accettata ed il cellulare e corro verso il Burger King di Santa Elena che si trova subito dopo la fine del ponte di Flores. Per circa sette euro ordino un menù con un panino “doppio hamburger e doppio formaggio”; quando il commesso mi chiede se lo voglio piccolo o grande gli rispondo “infinito” facendolo sorridere. Aggiungo poi un Sundae al caramello che scopro essere abbondantissimo e mi metto ad un tavolino a gustarmi la meritata cena. Appena fuori c’è un centro commerciale col supermercato “La Torre” ancora aperto, così ne approfitto per fare scorta di bibite per la serata a venire ed aggiungo anche un pacchettino di caramelle al cocomero, così per farmi del male gratis. Appena torno all’esterno non posso non notare l’albero di Natale già allestito, con tanto di renne e di Babbo Natale piazzati alla base; è una sensazione particolare vedere quel simbolo prettamente invernale mentre sono vestito con t-shirt e pantaloncini corti e, nonostante ciò, sento caldo lo stesso. Il rientro è molto più lento rispetto all’andata e lo passo ad ammirare Flores che si avvicina in notturna; devo dire che è un vero spettacolo e sarebbe un peccato mortale non esserci venuto. Passo il resto del tempo sul letto a riposarmi davvero ed a preparare le mie cose per la prossima imminente partenza.

Martedi 12 novembre: La sveglia suona alle 4:10 del mattino; oggi avrò l’ultimissima coincidenza difficile di questo tour, poi le cose da fare continueranno ad esserci fino alla fine, ma saranno realizzabili senza troppi sforzi. Alle 4:30 mi aspetta un taxi fuori dall’albergo che si fa stra-pagare, ma non ho altra scelta. Camminare per tre kilometri a quest’ora della notte col bagaglio sulle spalle non è cosa saggia ed i tuc-tuc a quest’ora non prestano servizio. Mi vengono così spillati 50 quetzales per cinque minuti di viaggio, motivo per cui odio a morte sempre di più i taxisti ed uso i loro servizi solo in caso di vita o di morte. Alle 4:40 vengo scaricato all’autostazione di Santa Elena perchè alle 5:00 dovrei avere il bus della compagnia “Fuente del Norte” che mi porterà a Rio Dulce. Il viaggio perfetto fatto sempre con loro da Guatemala City a Flores mi fa ben sperare, ma è da qui che inizia l’unica parte triste della mia storia in questa nazione ed il patatrac succede sempre per colpa della gente che ammorba questo mondo con una presenza velenosa. Non ci metto molto a capire che la giornata si metterà male: l’autista sta dormendo dentro al pullman e se qualcuno non lo avesse svegliato sbattendo i pugni sulla porta del bus sarebbe rimasto beatamente a russare; oltre a questo scopro che tale linea è usata dai locali anche come corriere espresso per portare di tutto e di più ad amici, parenti ed attività commerciali di altri paesini. Vale a dire che per caricare tutta la merda che questi si portano dietro partiamo alle 5:35 con oltre trenta minuti di ritardo (Se solo penso che in Europa si può portare un solo bagaglio di un certo peso e dimensioni perchè dal secondo in poi paghi degli extra…ce li vedrei volentieri questi tizi a discutere con il guidatore) . Come se non bastasse ci sono in mezzo una marea di fermate intermedie con soste per il bagno, per far salire persone dai posti più improbabili ed ovviamente per poter scaricare tutto quanto messo a bordo in precedenza e consegnarlo ai dovuti destinatari. Durante le soste sale chiunque sul bus cercando di vendere qualsiasi cosa e prima di poter ripartire dobbiamo aspettare che siano tutti scesi. La mia bile sta per esplodere in un urlo animalesco quando a bordo arriva un tizio che si presenta come un “predicatore del vangelo” e comincia a parlare a voce altissima di come l’uomo (ed in particolar modo i soldati romani) flagellò il figlio di Dio venuto in terra per salvarci. Non so cosa mi abbia frenato…forse il fatto che la povertà rende tutti più ingenui e vulnerabili a certe idiozie e che quindi sarei passato io dalla parte del torto invece di lui che sta sparando cazzate a destra ed a manca. La mia salvezza arriva quando chiede all’autista di fermarsi perchè ha finito la sua manfrina e deve scendere. I minuti e le ore passano ed io sono incazzato nero perchè per tutte queste troiate ho il programma della giornata rovinato ormai al 101%, dato che il ritardo ha raggiunto dimensioni bibliche. Arrivo al punto convenuto alle 9:40, cioè un’ora e 10 minuti dopo l’orario previsto on-line. Sarebbe bastato partire in orario e, anche se il bus di linea fosse stato trasformato in quella cosa informe che è stata (e che NON DOVREBBE ESISTERE NEANCHE NEI PEGGIORI INCUBI), avrei fatto in tempo. Poi ci si domanda perchè ce l’ho col mondo in generale? Credo che la risposta venga fuori da sola. E’ tardi quando mi presento all’agenzia dove avrei dovuto pagare i biglietti della barca che mi avrebbe portato a Livingston dopo una traversata di due ore sul Lago Izabal alla quale tenevo moltissimo. Oltre alla cittadina appena nominata (particolare perchè ubicata sulla costa atlantica, perchè è la culla della popolazione di etnia Garifuna e perchè è l’ultima del Guatemala prima del confine col Belize), ho perduto anche la possibilità di vedere le piscine naturali dei “Siete Altares” ubicate sempre nella zona che non potrò raggiungere. Non mi resta altro da fare che calmarmi, rassegnarmi e spostare un po’ di cose cercando di rattoppare la situazione come meglio non potrei. Per fare ciò mi siedo ad un ristorante dove ordino qualcosa da mangiare e posso così usare la wi-fi procedendo con le dovute cancellazioni di servizi fissati  e con la conseguente prenotazione di nuove attività. Alla fine riesco nel mio intento e l’unica soluzione che ho è quella di anticipare ad oggi il viaggio verso Lanquin che avrei dovuto fare domani. Alle 14:00 circa arriva lo “shuttle” che mi prende a bordo: con mia enorme sorpresa noto che la tratta la faremo solo io e l’autista perchè sono l’unico ospite di questo che per lui è un ritorno alla base, altrimenti col cavolo che sarebbe venuto solo per me; ormai i miei polli li conosco fin troppo bene. Bastano neanche cinque minuti di tragitto per farmi conoscere un nuovo Guatemala, come non lo avevo mai visto prima d’ora: dal bivio che indica la località di “El Nestor” in avanti iniziano ben sei ore ininterrotte di una delle peggiori strade sterrate che io abbia mai fatto; è la via che porta nella parte più interna e remota di questa nazione, in mezzo alle montagne ed alla selva. Durante il percorso incontriamo tantissimi piccoli villaggi formati da poche spartane abitazioni ciascuno, ubicate lungo entrambi i lati della strada; probabilmente questi mini-agglomerati urbani non hanno neanche un nome. Nonostante tutti i viaggi che ho fatto in molte zone del pianeta, ancora oggi mi chiedo che aspettativa abbiano queste persone e che cosa sognano di avere o realizzare…perchè in quella condizione la cosa migliore che si possa fare è riuscire a sopravvivere. Facciamo tre soste prima di arrivare a destinazione: due di esse (la prima e la terza) sono definite dall’autista come “Bagno Naturale”, ovvero quando il bisogno scappa non si può certo stare a guardare dove siamo; si mette di spalle, si tira giù la zip ed il resto viene da solo. La sosta intermedia è studiata ad arte per acquistare qualcosa da sgranocchiare in un negozietto; qui scopro che il pane in Guatemala si fa con lo zucchero e non con il sale; ha un sapore abominevole perchè è una via di mezzo tra un dolce e qualcosa di indefinibile. Poi accade il solito siparietto: nel negozio insieme a noi ed alla proprietaria ci sono tre ragazze del posto; quando hanno deciso che bibita prendere dal frigo, quella che sembra essere la maggiore se ne sbatte altamente della presenza di due uomini (soprattutto della mia, dato che mi trovo ad un palmo da lei) e si alza la maglietta come se nulla fosse per prendere i soldi che tiene nascosti nel reggiseno. Se tanto mi dà tanto, questo può essere considerato come il “portafogli naturale”, dico bene? Alla fine esco con un gatorade al limone ed un pacchettino di biscotti al cioccolato. Appena partiamo li porgo all’autista chiedendo se ne vuole uno e…ne prende due. La parte migliore del tragitto è quella che va dalle 18:00 alle 20:00, cioè quando oltre alle condizioni pessime della strada ci si mette anche il buio totale che segue il tramonto. L’importante è essere arrivati sani e salvi a destinazione, ovvero il mio hotel che casualmente è anche la base del minivan. Effettuo il check-in e trovo una camera stupenda per tredici euro a notte, ma con un problema enorme: la wi-fi è solo nelle aree comuni, ovvero bar e ristorante. Ma ci penserò dopo: adesso devo dedicarmi a reperire la cena, così mi incammino per il villaggio in cerca di qualcosa di aperto. Lanquin è un posto molto semplice e spartano senza un briciolo di asfalto, ma esplorerò meglio l’area a partire da domani con la luce del sole. Qualche botteguccia c’è, ma la scelta degli alimenti è limitatissima alle solite schifezze preconfezionate; trovo una panetteria e chiedo esplicitamente un “pane non dolce, possibilmente salato”; mi danno ciò che hanno e spero che sia di mio gradimento. La Coca Cola c’è solo al gusto originale; niente da fare nè per la Zero e nè per la Light. Acquisto quindi un pacchetto di patatine ed un paio di banane per poi rientrare in stanza. Da programma qui erano previste due notti che, dopo il caos di stamattina, sono diventate tre; il solo pensiero di dovermi cibare di questa roba per tutto questo tempo non mi fa avere il morale alle stelle, ma mi devo arrangiare. Ceno (il pane non è dolce, ma semplicemente insipido e sembra di mangiare la gomma o la carta) e poi mi tocca scendere col mini-computer e collegarmi dal ristorante che ora è chiuso (dopo le 20:30 è disponibile solo il servizio bar). La connessione è lentissima come non mai. Credo sia colpa del fatto che siamo in mezzo al nulla, per cui quando mi snervo decido di spegnere tutto ed andare a dormire.

Mercoledi 13 novembre: Mi sveglio alle 7:30 con il chiaro obiettivo di raggiungere la massima (ed unica…) attrazione del luogo, motivo per cui sono arrivato fin qui sorbendomi quella lunga traversata su sterrato: le piscine naturali di “Semuc Champey”, ovvero ciò che dalle immagini viste on-line mi è apparso come un paradiso. Alle 8:00 sono in reception dove trovo una faccia più europea che guatemalteca: si tratta di una ragazza polacca che, come l’olandese nell’agenzia di Antigua, ha deciso di cambiare vita lavorando da queste parti. Parlando del più e del meno le chiedo come posso fare a lavare due-tre capi di abbigliamento che durante questi primi giorni si sono sporcati ben bene; purtroppo avere un bagaglio di 35 litri per undici giorni comporta anche questo tipo di sacrificio. Ho due opzioni: far lavare le cose a loro oppure procedere da solo ed io opto per la seconda scelta; la polacca prende una ciotolina di sapone in polvere e mi accompagna alla “pila” insegnandomi come si lavano i vestiti alla guatemalteca. Seguo alla lettera le indicazioni e lavo l’unico paio di pantaloni lunghi che ho, la maglia da mezza stagione ed una maglietta intima. In men che non si dica i vestiti profumano di sapone e sono da me stesi ad asciugare davanti alla mia camera. Dopo essermi tolto questo peso torno nella zona della reception che corrisponde con l’uscita dell’hotel ed aspetto che passi l’unico mezzo di trasporto che arriva a “Semuc Champey”: il furgoncino tipo pick-up che i locali usano per spostarsi per lavoro da un villaggio ad un altro. La cosa bellissima di questo posto è che non è importante quanti soldi tu possa avere da spendere, oppure che tu sia da solo o con un tour organizzato dalla Boscolo Travel (per citarne a casaccio uno di quelli belli costosi): qui si fa solo così e non ci sono servizi lusso o per fighetti figli di papà. Il transfer costa 25 quetzales a tratta (circa 3 euro) ed avviene in condizioni iper-precarie: il posto riservato è in piedi sul “cassone” sul retro; la vera sfida è non cadere di sotto e lo si può fare reggendosi in maniera animalesca alle stecche di metallo che formano la “gabbia” esterna del pick-up. Loro sono abituati e sembrano a proprio agio, io decisamente meno; prima di riuscire a trovare l’aggancio giusto prendo tante di quelle steccate sulle costole che nemmeno un condannato alla lapidazione subisce. Ad un certo punto il furgoncino si ferma: davanti c’è un suo simile che ha forato una ruota e l’autista la sta cambiando bloccando la circolazione. Ho modo di parlare con un ragazzo del posto che divide il tragitto sullo stesso “cassone” e difficilmente qualcuno nella vita mi ha fatto più tenerezza di lui. Attenzione: ho scritto tenerezza e non pena come in precedenza; sono due cose ben diverse e ci tengo a precisarlo. Mi chiede da dove vengo ed io rispondo, poi mi chiede se Semuc Champey è un bel posto secondo me. Io gli dico di si per rispetto verso di lui, anche se la verità è che già due giorni in queste condizioni per me sono un martirio; però non voglio ferirlo, per cui enfatizzo dicendo che è un posto bellissimo. Lui mi fa un gran sorriso e, pieno di orgoglio, mi fa notare che abita qui e che è molto fortunato a vivere in un posto come questo. Io, ripeto, provo tenerezza per lui e confermo in pieno ciò che ha appena detto: “eh si, sei davvero fortunato ad abitare a Semuc Champey”! Poi il problema alla ruota si risolve e ci rimettiamo in marcia chiudendo la conversazione. Altro problema: siccome stanno riparando un ponte che supera un fiume, il pick-up non può procedere oltre, così mi lasciano a 300-400 metri dall’ingresso del parco spiegandomi come arrivare a piedi ed io eseguo come un bravo soldatino. Alla biglietteria si pagano 50 quetzales per l’ingresso e si registra il proprio nome su un foglio: scopro di essere il quarto ad entrare per oggi, per cui già immagino le piscine naturali tutte per me o quasi almeno per la prima parte della mattinata.

Eccomi arrivato a Semuc Champey

Eccomi arrivato a Semuc Champey

Ricevo subito una pessima notizia: il Mirador, ovvero un punto sopraelevato dal quale tutti i turisti scattano una foto globale e meravigliosa delle piscine naturali, è chiuso per restauro da due giorni; inutile dire che le madonne che escono dalla mia bocca sono in formato talmente articolato da essere pronte a competere nel campionato mondiale di questa storica disciplina. Restano quindi due percorsi: il primo che segue il fiume ed il secondo che porta direttamente a quelle che loro chiamano “pozze”.  La verità che salta subito all’occhio è che per terra è tutto terroso ed umido, per cui scivolare e farsi del male potrebbe essere un gioco da ragazzi; per questo motivo ogni mio passo da qui in avanti sarà ben cadenzato e poggerà su qualcosa di sicuro al 101%. Faccio una digressione per spiegare in poche parole di cosa sia Semuc Champey: si tratta di un ponte naturale di calcare lungo circa 300 metri; sotto di esso passa l’impetuoso fiume “Cahabon”, mentre sopra delle acque decisamente più tranquille e soprattutto limpidissime formano una serie di piscine dove è possibile nuotare in tutta tranquillità. Dato che tutto inizia e finisce nello spazio di poche centinaia di metri e che il mio intento è di passare qui almeno 6-7 ore di meritato relax inizio scegliendo il percorso più lungo, così costeggio il fiume fino a raggiungere una bella cascata, anche se il “salto” è solo scenografica e niente di trascendentale.

L'impetuoso fiume Cahabon

L’impetuoso fiume Cahabon

Cascata del fiume Cahabon - panoramica

Cascata del fiume Cahabon – panoramica

Cascata del fiume Cahabon - dettaglio

Cascata del fiume Cahabon – dettaglio

Da qui in poi inizia lo spettacolo vero e proprio: la prima piscina si presenta davanti ai miei occhi e la purezza dell’acqua supera di gran lunga quella delle bottiglie del supermercato; il suo colore è tra il celeste ed il turchese e sembra uscito direttamente dalle favole. Si vedono chiaramente i dettagli del fondo in qualsiasi posizione si guardi ed è un invito a nozze a mollare tutto ciò che ho e tuffarmi nell’attimo. La storia si ripete per le successive quattro “pozze” fino a quando trovo uno spiazzo più ampio e sicuro nei pressi dell’ultima e decido di rompere il ghiaccio: resto in costume da bagno avvolgendo i miei pochi averi nel telo mare e sento con un piede che la temperatura dell’acqua non è esattamente quella del Lago di Peten Itzà, ma qualche grado più fresca. Ovviamente non me ne frega un accidente perchè dopo aver fatto il bagno nell’occhio blu in Albania (10 gradi di temperatura) e nel Lago Yssyk-Kul in Kirghizistan (1.600 metri di altitudine), questo posto diventa una passeggiata di salute. E’ sempre necessario fare un passo alla volta perchè le rocce dentro l’acqua sono ancora più scivolose di quelle al di fuori. Alla fine passo così il resto delle ore, tra un bagno ed un altro, tra una pozza e le altre. Quando non nuoto mi metto a sedere sul bordo della piscina e lascio che la cascatella che conduce l’acqua nella vasca successiva mi faccia un massaggio naturale alle gambe; è tutto uno spettacolo, almeno fino a quando iniziano ad arrivare i turisti che viaggiano in gruppi (sono i peggiori in assoluto) e da quel momento in poi la pace e la quiete si interrompono. Purtroppo c’era da aspettarselo, ma ringrazio la mia voglia di alzarmi presto al mattino che ha reso per molto tempo questo paradiso come quasi privato.

Semuc Champey - 1

Semuc Champey – 1

Semuc Champey - 2

Semuc Champey – 2

Semuc Champey - 3

Semuc Champey – 3

Semuc Champey - 4

Semuc Champey – 4

Semuc Champey - 5

Semuc Champey – 5

Semuc Champey - 6

Semuc Champey – 6

Semuc Champey - 7

Semuc Champey – 7

Quando mi sento la pelle talmente zuppa da non farcela più decido che è ora di andare; resta solo una cosa da vedere ed è il punto in cui il fiume Cahabon si infila sotto al ponte di calcare naturale. Tale luogo è chiamato “Sumidero”.

Il Sumidero

Il Sumidero

Salutando questo luogo meraviglioso faccio dietro front e supero l’uscita. Il ponte danneggiato è ancora in corso di riparazione, per cui dovrò raggiungere nuovamente a piedi il punto in cui stamattina mi ha lasciato il pick-up per poterne prendere un altro. Sono circa le 16:00 e trovo una marea di gente ad aspettare; vedo che stanno lasciando il nome ad un ragazzo del posto che sta redigendo una specie di lista di chi arriva prima, ma anni di viaggi mi hanno insegnato che queste cose sono delle vere minchiate. Adocchio un tipo che sembra far parte dell’organizzazione e mi metto a parlare con lui del più e del meno complimentandomi per la zona fantastica e cose simili. Alla fine l’adulazione programmata dà i suoi frutti: me lo rabbonisco talmente tanto che, all’arrivo dei primi due furgoncini, non solo passo davanti a tutta la fila, ma vengo scortato da lui addirittura in un posto a sedere all’interno dell’abitacolo e non in piedi nel “cassone” sul retro come all’andata, e tutto ciò pagando i soliti 25 quetzales e non un centesimo di più. Questo è indubbiamente uno dei tanti vantaggi del viaggiare da solo e non in gruppi di pecore come gli altri. Comodo comodo su un sedile bello morbido vengo scaricato dopo circa trenta minuti proprio davanti alla reception del mio hotel dove vado a fare una meritata doccia calda. Quando esco è ancora giorno e decido di finire la serata provando a perdermi esplorando Lanquin, proprio come mi ero promesso. La verità è che di giorno non rende molto più che di notte: resta un villaggetto polveroso con un mercato pieno di bancarelle, diversi negozietti spartani, forse cinque-sei strade sterrate ed un paio di chiesette. Però è comunque bella l’atmosfera particolare che questo posto mi regala, al punto che resto lì a gironzolare ed a curiosare per due ore. Vedo che in un angolo semi-nascosto c’è un’insegna con scritta la parola “Pizzeria” e credo di aver dato una sterzata alla serata, ma non è così: aspetta e spera…quel locale non aprirà mai perchè fallito. Rassegnato a questo destino compro la stessa cena di ieri: pane non dolce, patatine e due banane; prima o poi il mio stomaco ed il mio fegato mi uccideranno lentamente dall’interno, me lo sento. Dopo aver mangiato in stanza aspetto che il ristorante dell’hotel sia chiuso e poi scendo a collegarmi col mini-computer, stavolta prendendo un cocktail al melone dal bar per 15 quetzales (2 euro). La connessione va lentissima proprio come ieri, ma oggi devo resistere perchè ho qualche dovere da portare avanti ad ogni costo. Poi, dopo le 23:00 succede il miracolo: la musica del bar si spegne e la wi-fi comincia a lavorare come una scheggia. Adesso ho capito: non solo c’è un’unica rete wireless nelle aree comuni e non nelle camere, ma la usano quelli del ristorante-bar per collegarsi a youtube e diffondere la musica nel locale. Giuro che li avrei fatti a pezzettini con le mie mani uno per uno, se solo avessi potuto; disgraziati che non sono altro!!! Ma devo stare calmo ed approfittare del momento di giubilo della rete per finire ciò che sto facendo. Verso mezzanotte chiudo tutto e vado a nanna.

Giovedi 14 novembre: oggi è un momento per me un po’ particolare perchè pago virtualmente il ritardo del bus della mattina di lunedi; avendo dovuto anticipare il programma di un giorno, mi trovo qui nel bel mezzo del nulla senza niente da fare. A dire il vero ci sarebbe la possibilità di passare qualche ora facendo tubing per 65 quetzales (8 euro), ma la trovo un’attività talmente idiota da scartarla a priori. I viaggi come li organizzo io sono delle vere e proprie avventure e certi imprevisti possono accadere; fortuna vuole che siano molto molto rari, ma stavolta mi ci sono trovato dentro con tutte le scarpe e devo rimediare nella maniera migliore possibile. Prima di tutto esco dalla stanza molto più tardi del solito (verso le 10:00) e così ho modo di dormire un po’ di più recuperando energie preziose; poi mi fiondo in reception a parlare con la polacca: le spiego la situazione e le domando che minchia posso fare in un posto isolato da tutto il resto come questo. In particolare le chiedo se nella vicina Coban (due ore a tratta per raggiungerla e tornare) valga la pena di andare e mi risponde che non c”è niente da vedere. Dato che ha capito che mi piace fare il bagno nei luoghi più strani mi propone di andare a circa 1,5 kilometri a sud presso l’Hostal El Retiro: lì è possibile usufruire di un’area più o meno attrezzata ed allo stesso tempo abbastanza naturale che si trova lungo un fiume nel quale si può nuotare, nonostante ci sia un po’ di corrente; il tutto semplicemente acquistando una consumazione al bar del luogo. L’idea mi piace e corro in camera ad indossare il costume da bagno ed a prendere il telo mare. Ringrazio, saluto e mi dirigo lì. Per arrivarci devo attraversare di netto tutta Lanquin e scopro che a quest’ora è un luogo ben più vivo rispetto al pomeriggio ed alla sera: prima di tutto il mercato è nel pieno dell’attività e stracolmo di gente che fa acquisti; in secondo luogo è in corso tutta l’organizzazione dei pick-up che portano i turisti a Semuc Champey. Cioè…sono le 10:30 abbondanti e questi tizi partono adesso mentre ieri io ero già lì intorno alle 8:45 : no comment è l’unica espressione che mi viene in mente per descrivere questi culi di piombo. Alla fine raggiungo la destinazione e devo ammettere che il posto è bello ed anche abbastanza tranquillo, probabilmente l’ideale per passare la giornata in santa pace. Acquisto la solita Birra Gallo (quella guatemalteca al 100%) per 20 quetzales e posso quindi usufruire di tutto il perimetro. La cosa bella è che c’è una forte wi-fi gratuita, per cui mi piazzo esattamente a metà strada tra il fiume ed il casottino del bar e mi godo sia internet sullo smartphone che la vista sul fiume che scorre.

Il fiume presso l'Hostal El Retiro

Il fiume presso l’Hostal El Retiro

Ma anche qui la ciambella non riesce col buco: un tizio che vuole palesemente fare colpo su due ragazze lì presenti decide di tuffarsi nel fiume usando la corda che si vede nell’estremo lato sinistro della foto appena pubblicata; si aggancia bene e poi si lancia: quando cade in acqua scopre che la profondità in quel punto non supera il mezzo metro e si pianta per terra tipo Fantozzi. Questo episodio mi fa capire che di fare il bagno oggi non se ne parla proprio; peccato. Tra un riposino e l’altro assisto al passaggio di gente che fa tubing, poi verso le 16:00 decido di tornare indietro e fare lo stesso percorso di ieri: giro in paese per acquistare la cena (tra le altre cose) e poi rientro in hotel. Devo dire che giornate così per me sono perse al 100% e non mi piacciono per niente; pagare un viaggio in Guatemala e dover letteralmente buttare un giorno è una cosa che mi fa male. E’ anche vero però che ricaricare le batterie mi ha fatto comodo per affrontare il rush finale del mio tour. Finalmente tutti i vestiti che ho lavato ieri mattina sono asciutti, puliti e profumati, per cui li porto in stanza e li sistemo come si deve. Mangio e poi scendo al ristorante dopo l’orario di chiusura per collegarmi un po’ ad internet, stavolta accompagnando il tempo con un cocktail all’ananas. Domattina si cambia città, per cui è ora di rientrare definitivamente e preparare il bagaglio come si deve prima di andare a nanna.

Venerdi 15 novembre: la sveglia è alle 7:00 perchè alle 8:00 avrò uno “shuttle” che mi condurrà fino alla località di Quetzaltenango, detta comunemente “Xela” per abbreviare quel nome complicato. Di questa giornata avrò ben poco da raccontare perchè si tratta soprattutto di affrontare un trasferimento che andrà dalle dieci alle dodici ore. Alle solite, tra una cosa e l’altra partiamo con trenta minuti di ritardo; ma il problema principale è un altro: essendo in tanti a partire non possono metterci tutti dentro ad un minivan comodo e veloce, ma ci danno un minibus vecchio e scassato; il dubbio iniziale che ho è capire se questo bizzarro mezzo di trasporto abbia il motore di un phon o di un tostapane ed il dilemma è grande. Considerando che dovremo affrontare sia strade sterrate a non finire che salite di montagna non indifferenti, già so per certo che non arriverò mai a destinazione per l’ora indicata sulla prenotazione. La mia previsione si avvera e mi devo mettere l’animo in pace; il tutto si aggrava ulteriormente a causa della miriade di soste per andare al bagno che la gente proprio non è in grado di minimizzare e delle dovute fermate per far riposare l’autista per non finire in un precipizio a causa di un suo eventuale colpo di sonno (queste si che sono importanti ed inevitabili). In una di queste soste ci fermano presso un distributore di benzina con negozio annesso, una sorta di autogrill locale, per intenderci. Noto una ragazza che approfitta della pausa per ingozzarsi di schifezze appena fritte dalla tavola calda qui presente e già so cosa succederà di lì a poco. Non passano neanche due ore che quella persona chiede all’autista di bloccare la marcia di corsa perchè deve scendere; la sola cosa che si sente sono i conati del suo vomito. Io sono sempre più senza parole: se questo non significa andarsela a cercare…ditemi voi che vuol dire. La fortuna è che per tutto il percorso diurno sono stato accompagnato dalla vista di stupende montagne che hanno fatto da cornice naturale a tutto il viaggio. Ad un certo punto il guidatore si gira verso di me e mi dice che tra due minuti sarà il mio turno di scendere e sinceramente non vedo l’ora di farlo. Il punto di scambio è un’altra area di servizio nel bivio tra Panajachel e Quetzaltenango; qui mi aspetta una vettura privata che scopro essere lo “shuttle” che mi accompagnerà per l’ultima ora di tragitto fino all’hotel. La verità è che mancherebbe un’ora e mezzo, ma il tizio si mette a correre talmente tanto da scorciare di molto la durata della tratta. Finalmente posso dire di essere arrivato e la prima cosa che noto è la differenza mostruosa di temperatura rispetto alla partenza: stamattina ero a 390 metri sul livello del male e adesso eccomi a 2.360 metri di altitudine; ovviamente mi devo coprire col giacchetto per non congelare. In stanza ci metto piede alle 22:00 circa, dopo essermi seduto sul minibus alle 7:45 del mattino; una bella sfacchinata…non c’è che dire. Per fortuna l’hotel pagato 15 euro è carino e pulito. Problema: sono senza cena e con un pacchetto di patatine nello stomaco da stamattina. L’unica soluzione a quest’ora è un tantino folle, ma ho fame e non voglio più magiare roba preconfezionata o pane insipido: a circa 1,2 kilometri da qui ho adocchiato un McDonald mentre passavo con l’auto privata; decido di mettere da parte definitivamente la paura delle aggressioni perchè fino ad oggi ho sempre incontrato gente ospitale e gentile, così mi incammino al buio nella direzione che ricordo a memoria. Alla fine ce la faccio ad acquistare ciò che voglio e decido di mangiare in stanza e non lì per non dover fare la camminata a ritroso ad orari ancora più improponibili. Alla fine va tutto bene e mi ingozzo come un tacchino col mega menù che ho portato gelosamente nel tipico sacchetto di carta marrone da asporto del noto fast food. Passo un po’ di tempo a sistemare le fotografie facendone una copia per non rischiare di perderle e poi vado finalmente a letto.

Sabato 16 novembre: la sveglia è alle 8:00 del mattino poichè alle 8:30 voglio essere fuori dall’hotel; ho circa sei ore per visitare “Xela” prima del prossimo trasferimento, così porto con me il bagaglio piccolo con le sole cose indispensabili e lascio il resto dello zaino in custodia alla reception. I primi punti di interesse di questa località che vedo segnati sulla mia mappa sono proprio nella zona che già conosco, cioè quella del McDonald; viene da se il fatto che parto sparato verso quell’area. Quando la raggiungo ho modo di osservare l’ “Arco del Sexto Estado” e, poco dopo” il “Monumento a la Marimba”. Qui non c’è altro, per cui torno indietro sulla medesima strada e mi fermo a guardare la piccola “Iglesia la Merced”; per il resto vedo una marea di traffico in ambo le direzioni.

Arco del Sexto Esatdo

Arco del Sexto Esatdo

Monumento a la Marimba

Monumento a la Marimba

Iglesia la Merced

Iglesia la Merced

In una piazzetta dove affaccia anche una specie di consolato italiano trovo il bel Monumento dedicato a Simon Bolivar prima di raggiungere lo storico “Punte de Piedra”, oggi abbastanza rovinato dai bus e dalle camionette troppo alte che lo colpiscono quando ci passano sotto. Cosa ha pensato il Comune per evitare tutto ciò? La cosa più banale ed elementare: ha messo un cartello di colore giallo che pende dal ponte stesso e che indica in 2,5 metri come l’altezza massima consentita per poterlo attraversare. Complimenti davvero per il colpo di genio…come se bastasse questo a fermare i vandali.

Monumento a Simon Bolivar

Monumento a Simon Bolivar

Puente de Piedra - lato 1

Puente de Piedra – lato 1

Puente de Piedra - lato 2

Puente de Piedra – lato 2

Proseguendo ripasso davanti alla stradina dell’hotel che mi ha ospitato per la notte e, dopo neanche cento metri, eccomi nel cuore di Quetzaltenango, ovvero il “Parque a Centro America”. Si tratta di una zona caratterizzata da verde pubblico (non molto, per la verità) e qualche monumento. Una cosa mi fa restare di sasso: proprio qui all’ingresso del parco c’è…un McDonald. Cioè…ce l’avevo a poche decine di metri dalla stanza e non lo sapevo, così sono andato a camminare in totale 2,4 kilometri al buio in Guatemala; è la mia solita fortuna che decide di non abbandonarmi mai. Devo non pensarci più e per farlo mi concentro sull’osservazione della piazza; il perimetro è composto da edifici belli ed abbastanza curati tra i quali spiccano la “Municipalidad” (ovvero il palazzo del Comune), la “Cattedrale dello Spirito Santo” ed il palazzo che ospita il “Museo di Storia Naturale”; anche qui, come a Tikal, si ripropone il rapporto uno a sei tra locali e stranieri: il ticket di ingresso per i guatemaltechi costa 1 Quetzal mentre per i forestieri sta a 6 quetzales. Il centro dell’area pedonale ospita un “Omaggio a Justo Rufino Barrios” (dodicesimo presidente del Guatemala dal 1873 fino alla sua morte), una specie di gazebo rotondo, una fontana ed altre due statue dedicate a personaggi locali.

La Municipalidad

La Municipalidad

Cattedrale dello Spirito Santo - 1

Cattedrale dello Spirito Santo – 1

Cattedrale dello Spirito Santo - 2

Cattedrale dello Spirito Santo – 2

Museo di Storia Naturale

Museo di Storia Naturale

Omaggio a Justo Rufino Barrios

Omaggio a Justo Rufino Barrios

Statua nel Parque a Centro America - 1

Statua nel Parque a Centro America – 1

Statua nel Parque a Centro America - 2

Statua nel Parque a Centro America – 2

Parque a Centro America - dettaglio delle aree verdi

Parque a Centro America – dettaglio delle aree verdi

Imbocco ora una delle traverse del parco stesso e raggiungo il “Puente de los Chocoyos”, una variante del precedente “Puente de Piedra”; proseguendo trovo molto di meglio, ovvero la “Iglesia El Calvario” ed il cimitero locale che visito perchè, come sempre, vorrei sapere il più possibile su usi e costumi dei paesi in cui vado e il modo in cui vengono trattati i defunti è una delle caratteristiche più importanti. Questo luogo di sepoltura è allo stesso tempo molto colorato (le tombe non sono tutte grige e tetre come siamo abituati a vederle da noi, ma molte di loro hanno tonalità pastello alternate) e molto stravagante (alcune famiglie megalomani hanno seppellito i loro cari all’interno di vere e proprie piramidi). Particolare è la frase che leggo quando esco da lì che, tradotta dallo spagnolo, recita più o meno così: la memoria dei vivi è la vita dei morti; vera e toccante.

Iglesia El Calvario

Iglesia El Calvario

Cimitero di Xela - 1

Cimitero di Xela – 1

Cimitero di Xela - 2

Cimitero di Xela – 2

Tornando verso il “Parque” prendo una strada diversa e mi trovo davanti l’ormai caro negozio “Elektra”; entro e cambio qualche altro soldino perchè nuovamente la mia scorta di quetzales si sta esaurendo. Però devo stare attento perchè ormai manca poco alla fine del viaggio e se riporto la valuta locale in Europa posso usarla solo in bagno al posto della carta igienica poichè varrà meno di zero. Un’altra deviazione mi porta proprio di fronte al bellissimo “Teatro Municipal”; nella piazzetta antistante noto i monumenti per “Osmundo Arriola” (poeta), “Jesus Castillo” (musicista) ed “Alberto Velazquez” (poeta); alla destra di tutto ciò, sul lato opposto della carreggiata, c’è la “Chiesa Presbiteriana Bethel”.

Teatro Municipal

Teatro Municipal

Per Osmundo Arriola

Per Osmundo Arriola

Per Jesus Castillo

Per Jesus Castillo

Per Alberto Velazquez

Per Alberto Velazquez

Chiesa Presbiteriana Bethel

Chiesa Presbiteriana Bethel

Vado avanti con la passeggiata fino alla “Iglesia San Juan” che stavolta non posso immortalare a causa di lavori in corso che ne stanno coprendo gran parte della facciata. Nella medesima zona posso osservare la “Statua di Gabriel Pinillos” (politico importante per Quetzaltenango) e lo “Stadio Mario Camposeco”, ovvero il terreno di gioco dove svolge le sue partite il Deportivo Xelaju, club attualmente in medio-bassa posizione del campionato maggiore guatemalteco. Provo in tutti i modi a cercare una porta aperta per poterne vedere l’interno ma non c’è niente da fare; mi devo accontentare di guardare attraverso un misero buco praticato su uno dei cancelli di accesso.

Statua di Gabriel Pinillos

Statua di Gabriel Pinillos

Stemma del Deportivo Xelaju

Stemma del Deportivo Xelaju

Stavolta svolto a sinistra e, superata l’Universidad Mesoamericana, mi trovo dentro al “Parque a Benito Juarez”, altra area verde di questa piacevole e tranquilla cittadina che ospita lo strano monumento dedicato a colui che presta il nome al parco stesso (quasi totalmente nell’ombra perchè ubicato sotto a diversi alberi) ed un’altra scultura a ricordo di un certo “Don Juanito” del quale non riesco a reperire alcuna informazione on-line. Nei dintorni c’è un po’ più di confusione rispetto al solito perchè è in pieno svolgimento il mercato con conseguente calca di gente, bancarelle piazzate ovunque senza un apparente ordine logico e chi più ne ha più ne metta. Degna di nota è la “Iglesia San Nicolas” che spicca su tutto.

Monumento a Benito Juarez

Monumento a Benito Juarez

Scultura per Don Juanito

Scultura per Don Juanito

Iglesia San Nicolas

Iglesia San Nicolas

A questo punto anche Xela è andata; guardo l’orologio ed ho ancora un’oretta di tempo libero, per cui rientro senza fretta nel “Parque a Centro America” passeggiando nelle viuzze comuni ed apparentemente senza punti di interesse, giusto per vedere come si svolge la vita quotidiana. Quando raggiungo la destinazione finale decido di sedermi su una delle tante panchine di pietra disponibili. Passano cinque minuti e mi si avvicina un tizio con un cane bruttino ma buono; ha visto lo straniero, ha voglia di fare due chiacchiere e non sarò certo io a negargliele. Parliamo per tutto il tempo a mia disposizione di tante cose, sia del Guatemala che dell’Italia e dell’Europa in generale che lui stesso ha visitato durante un viaggio di cinquantuno giorni in giro per le nazioni più belle del vecchio continente. Sembra una persona intelligente ed abbastanza colta e stranamente i discorsi sono piacevoli ed interessanti. Non manco occasione per fare due coccole alla cagnolina che si chiama Milù che mi si piazza sulle gambe. Alla fine l’orologio fa scorrere le sue lancette in maniera inesorabile e sono costretto a salutare; alle 15:00 in punto mi aspetta l’autista di ieri sera per riportarmi alla medesima area di servizio da dove prenderò un nuovo “shuttle” in direzione del Lago Atitlan. Quando arrivo è già li che mi aspetta, per cui prendo il bagaglio dalla reception, saluto e salgo in macchina. Il trasbordo avviene senza intoppi; devo solo aspettare che arrivi l’altro mezzo che è in ritardo, tanto per cambiare. Sono diretto verso un posto che tutti coloro che ci sono stati decantano come meraviglioso, ma non tanto per il lago in se stesso…bensì per i paesini che vi si affacciano. Ne ho lette di tutti i colori, addirittura c’è gente che si è fatta una notte per ogni paesino buttando al vento (secondo il mio punto di vista) una settimana di tempo preziosissimo. Per carità, tutti i gusti sono gusti (disse l’uomo che ciucciava un calzino), ma da casa ho visto tante di quelle immagini che mi hanno fatto capire un concetto ben preciso: è il lago ad essere bello mentre tutto il resto è ordinaria amministrazione; e per vederlo non servono sette notti, ma poche ore. Per il pernottamento in zona scelgo proprio quel “San Marcos la Laguna” che nomino nel capitolo numero uno di questo post, cioè quello che è bazzicato dai malati dello yoga e della meditazione. Ma non mi reco lì per questo motivo; lo faccio solo perchè lo “shuttle” che ho prenotato mi offre questa destinazione piuttosto che una delle altre. A me non cambia nulla perchè il lago è sempre quello, per cui vado di buon grado. Dopo aver osservato lo specchio d’acqua da un punto panoramico in altura ed esserne rimasto letteralmente estasiato vengo scaricato a “San Pablo la Laguna”; da qui salgo immediatamente su un tuc-tuc insieme al guidatore ed altri due ragazzi. Inutile dire che stiamo schiacciati come sardine. Per raggiungere il paesino servono circa una decina di minuti di strada sterrata ed angusta come quella nei pressi di Lanquin e le botte che prendo in quel tratto non sono neanche in grado di contarle. Alle 18:10 scendo dal tuc-tuc ed entro nell’unica stradina esistente: è larga si e no un paio di metri o poco più ed ha negozietti, bar, ristorantini ed alberghetti su ambo i lati; si vede benissimo che la località è molto turistica, come del resto tutta la zona circostante. Vado a prendere la stanza e mi viene detto che, nonostante la mia prenotazione fatta con larghissimo anticipo, al momento è occupata. Non mi va di fare inutili polemiche, per cui gli chiedo che soluzione hanno per me; mi viene detto che anzichè una camera con un letto matrimoniale ce n’è una libera con due letti singoli. Alla fine si tratta di una notte sola, per cui accetto anche se guardo la receptionist con tanta tanta pena perchè non è in grado di gestire neanche dieci stanzette. Anche qui il wi-fi è solo nelle aree comuni, ma stavolta non me ne frega nulla e già so che passerò la serata a giocare al mio amato calcio manageriale che fino ad oggi non ho mai potuto toccare causa stanchezza, doveri e programmi alternativi. Decido di uscire per andare in riva al lago ma è già buio pesto e quando ci arrivo non si vede niente, per cui rimando ogni foto a domani mattina. Qui ovviamente non c’è ombra di fast food e mi tocca ficcarmi in uno dei mini-negozi presenti per cenare da schifo col solito pane non dolce, patatine e banane. Più passa il tempo e più mi rendo conto di aver avuto la giusta valutazione di questa zona; se avessi dato retta ai commenti prenotando più notti mi sarei dato le chiodate sui coglioni perchè veramente non c’è una cippa da fare e da vedere. Rispetto il programma fatto (anche perchè ad una certa ora iniziano a sparare musica “meditativa” e già so che tipo di soggetti troverei uscendo) e ne sono felice soprattutto quando sento scoppiare botti e mortaretti a raffica: ci deve essere sicuramente qualche ricorrenza e sinceramente rischiare di prendere un “petardo” dritto in un occhio a causa della mancanza di attenzione di certi individui proprio non mi va. Vinto il mio campionato con un distacco clamoroso di punti sulla seconda in classifica spengo tutto e vado a nanna.

Domenica 17 novembre: la sveglia suona alle 6:15 proprio perchè voglio avere il tempo necessario per fotografare ed ammirare il Lago Atitlan da ogni punto di vista che questa zona mi permette. E’ una bellissima giornata e si presta esattamente a ciò che intendo fare. Raggiungo il pontile dove ci si imbarca per cambiare paesino con un servizio regolare e cadenzato di natanti e ci trovo già una ragazza che sta facendo esercizi indescrivibili. Ovviamente sono interessato ad altro e vado avanti. Il panorama che ho davanti agli occhi è fenomenale e superbo al punto che preferisco postare più immagini possibili che perdere tempo in chiacchiere.

Lago Atitlan - 1

Lago Atitlan – 1

Lago Atitlan - 2

Lago Atitlan – 2

Lago Atitlan - 3

Lago Atitlan – 3

Lago Atitlan - 4

Lago Atitlan – 4

Lago Atitlan - 5

Lago Atitlan – 5

Lago Atitlan - 6

Lago Atitlan – 6

Lago Atitlan - 7

Lago Atitlan – 7

Bellissimo…ma alla fine è tutto qui. Verso le 7:45 vado via mentre la ragazza degli esercizi è ancora li e non vuole saperne di dire basta; torno in stanza e preparo la mia roba per il prossimo trasferimento; quando apro la porta per uscire trovo una “bella pollastrella tutta curve” che pare sia li proprio per me e ve la mostro in questa foto:

Bella Pollastrella tutta curve

Bella Pollastrella tutta curve

Si può sapere cosa avevate capito, brutti zozzoni che non siete altro 🙂 ? Alle 8:30, dal punto esatto in cui sono stato scaricato ieri sera aspetto che un tuc-tuc mi venga a prendere per portarmi via. Trovo una delle ragazze che ha fatto con me la scalata al vulcano “Acatenango” esattamente una settimana fa; lei va a Xela mentre io sono di ritorno ad Antigua per finire il giro iniziato domenica scorsa. Stavolta sul tuc-tuc siamo in cinque: il guidatore, io su una seggiolina di legno accanto a lui in equilibrio precario ed altri tre ragazzi nel sedile di dietro; neanche posso raccontare le botte che prendo affrontando tutte quelle buche e la fatica che faccio per reggere me ed il mio zaino cercando di non cadere dal mezzo a motore. Ci ritroviamo tutti a “San Pablo la Laguna”, località più grande di quella dove ho alloggiato io, e con la luce del sole mi rendo conto che stiamo parlando di strade sterrate e polverose, negozietti ovunque e mercato con bancarelle…cioè la stessa roba già vista e rivista a raffica nei giorni precedenti. Allora mi ripeto la domanda: che senso ha suggerire di buttare via il soggiorno in certi luoghi inutili? La risposta non arriverà mai da nessun parte, ne sono sicuro. Passa a prendermi lo stesso “shuttle” che mi ha portato qui ieri e, dopo poco più di due ore fa scendere tutti ad Antigua, destinazione finale della sua corsa. Caso vuole che mi trovo a venti metri dall’agenzia turistica che già conosco e che ha prenotato per me un nuovo “shuttle” che mi servirà stasera per raggiungere Guatemala City, ultima tappa del mio viaggio. Incontro quindi nuovamente Gaby e le chiedo la cortesia di poter riorganizzare lo zaino e lasciarne gran parte qui in custodia portando con me solo lo stretto indispensabile; la riposta è nuovamente positiva e posso così riprendere il giro da dove avevo lasciato. Noto però un traffico infernale ed una quantità di persone esponenzialmente superiore rispetto a quanto già vissuto e mi chiedo il perchè; ci metto un attimo a capirlo: proprio oggi è in corso il “Flowers Festival” e tutta la cittadina è stata agghindata con composizioni floreali. Ringrazio me stesso per aver deciso di lasciare ad oggi la periferia perchè se avessi fatto il contrario non avrei potuto scattare neanche una foto decente del centro storico: tra persone e macchine che intasano le strade è letteralmente impossibile fare un buon lavoro. I primi punto di interesse che vedo sono ubicati uno dopo l’altro sulla medesima strada; sto parlando della “Ermita de Santa Lucia” (un piccolo edificio religioso) ed il “Landivar Monument” che risulta essere troppo coperto dalle piante.

Ermita de Santa Lucia

Ermita de Santa Lucia

Landivar Monument

Landivar Monument

Imbocco prima la “7° Calle Poniente” e poi svolto a destra sulla “5° Avenida Sur” dove trovo la “Chiesa di San Josè El Viejo”, poi rivolgo il mio interesse al “Santuario San Francisco el Grande” che custodisce nello stesso luogo anche la Tomba ed il Museo dell’Hermano Pedro (in quest’ultimo luogo è tassativamente proibito scattare fotografie). Poco lontano è la volta della “Iglesia Escuela de Cristo” che ha davanti un piccolo parchetto caratterizzato dalla presenza di una originale fontana con fiori come decorazione ed acqua purissima al suo interno. Ancora oltre ecco un altro parco che ospita la “Capilla Nuestra Senora de Belen”, l’ “Iglesia de Belen” ed il “Monumento all’Hermano Pedro”.

Santuario San Francisco el Grande

Santuario San Francisco el Grande

Iglesia Escuela de Cristo

Iglesia Escuela de Cristo

Fontana di fronte alla Iglesia de la Escuela de Cristo

Fontana di fronte alla Iglesia de la Escuela de Cristo

Capilla Nuestra Senora de Belen

Capilla Nuestra Senora de Belen

Iglesia de Belen

Iglesia de Belen

Monumento all'Hermano Pedro

Monumento all’Hermano Pedro

Inverto la marcia ed imposto come destinazione il famoso “Cerro de la Cruz”: si tratta di una collina campeggiata da una croce del 1930 dalla quale si può godere di una vista molto bella di Antigua. Durante la passeggiata per raggiungere il punto di inizio della salita noto un altro edificio rimasto parzialmente in piedi dopo i terremoti del 1773, ma di questo non c’è traccia da nessuna parte on-line. Una serie di 333 gradini conduce fino al luogo che voglio raggiungere; per me che ho fatto la scalata al vulcano “Acatenango” si tratta di una semplice passeggiata di salute e mi viene da sorridere quando incontro e supero tantissime persone di ogni età che si fermano due-tre volte per riposare sudando come animali e respirando pure peggio. Una volta in cima devo ammettere che la visione è davvero degna di nota.

Edificio terremotato senza info aggiuntive

Edificio terremotato senza info aggiuntive

Cerro de la Cruz - la Croce

Cerro de la Cruz – la Croce

Cerro de la Cruz - panoramica

Cerro de la Cruz – panoramica

Antigua vista dal Cerro de la Cruz

Antigua vista dal Cerro de la Cruz

Non mi resta altro da fare che scendere dalla collina e tornare al piano strada; anche per oggi il tempo passa inesorabile e mi rimane l’ultima oretta scarsa da passare ad Antigua che sfrutto per rivedere i luoghi che mi hanno colpito di più.

Fontana del Parque Central - vista notturna

Fontana del Parque Central – vista notturna

Antiguo Colegio de la Compania de Jesus - vista notturna

Antiguo Colegio de la Compania de Jesus – vista notturna

Alle 18:00 in punto mi ripresento all’interno dell’agenzia turistica e chiedo la restituzione dello zaino che inizio a riorganizzare per l’ultima volta. Gaby mi informa che, causa traffico infernale che non vuole saperne di finire, c’è un problema: per la prima volta da quando lavora lì, lo “shuttle” non potrà portarmi direttamente in albergo a Guatemala City. Le dico che la cosa si può risolvere in un altro modo: può farmi portare all’aeroporto dal quale potrei usare la wi-fi gratuita per prenotare una macchina con l’applicazione di “Uber”. Anche questo non è possibile per lo stesso motivo. Alla fine le dico che io DEVO andare a Guatemala City e non posso restare ad Antigua, per cui le chiedo di pensare ad una soluzione abbastanza economica che possa fare al caso mio. Visto il rapporto di fiducia ed onestà che si è instaurato sia via e-mail da casa che di persona in agenzia, chiama al telefono l’autista che mi è venuto a prendere la prima sera in aeroporto; fortuna vuole che si trovi in zona, per cui gli chiede di passare da qui a caricarmi. Scopro che abita a Guatemala City e che proprio ora sta tornando a casa. Morale delle favola: pagando il prezzo dello “shuttle” (55 quetzales) mi viene offerto un passaggio privato del valore di 225 quetzales. Da parte mia non ho parole per ringraziare perchè, anche se quella persona avrebbe dovuto fare lo stesso quella tratta, non era tenuta a portarmi in giro quasi gratis. Eppure succede questo ed è uno di quei rarissimi casi che mi fanno ancora credere che qualcuno buono d’animo ci sia in giro. Il buon Diego non può certo superare il traffico presente e neanche lui può portarmi al mio hotel perchè allungherebbe troppo, però mi lascia ad un McDonald abbastanza vicino alla mia destinazione finale. Lì ho l’occasione di cenare con qualcosa di caldo (anche se sono sempre i soliti panini) e di usare la wi-fi gratuita per prenotare il passaggio con “Uber”. Tutto va liscio come l’olio ed in quattro minuti sono dentro ad una nuova auto; pago il servizio 35 quetzales con la carta ricaricabile collegata all’App (poco più di 4 euro) e vengo portato davanti all’ultimo posto che mi ospiterà per una notte in Guatemala. Ma qualcosa oggi deve comunque andare storto e quando il destino ci si mette di punta non lo si batte: la descrizione di questa struttura letta su Booking.com non corrisponde assolutamente a quanto trovo davanti agli occhi; si tratta di un luogo fatiscente, sporco, buio…e definirlo una topaia è un complimento. Ormai sono le 21:00 di domenica sera e di cambiare posto non ne ho la possibilità. Pago il dovuto e mi chiudo in stanza dove decido di dormire completamente vestito sopra all’asciugamano che piazzo sapientemente sul letto, dato che sembra essere l’unica cosa pulita in quella sottospecie di sgabuzzino.

Lunedi 18 novembre: La sveglia suona alle 7:00 ed aprire gli occhi lì dentro mi fa venire il voltastomaco. Il sito di prenotazioni ne sentirà delle belle quando tornerò a casa, questo è poco ma sicuro. Avrei voluto farmi una doccia lunga e ristoratrice in previsione del volo di rientro ma più guardo quel bagno e più non ne ho il coraggio, così alla fine lascio perdere. Sistemo tutte le mie cose ed aspetto le 9:00, orario in cui ho un appuntamento con una guida locale che mi avrebbe fatto fare un giro turistico della capitale del Guatemala di tre ore per poi accompagnarmi direttamente all’aeroporto. Va detto che Guatemala City è fuori da ogni circuito turistico esistente; quasi tutti la usano solo per atterrare e decollare e scappano verso Antigua appena possono. I motivi sono diversi: pare che sia una città che non ha nulla di nulla da vedere, pare che sia pericolosissima perchè fulcro delle gangs e dei delinquenti di tutta la nazione e pare che quindi il gioco non valga la candela. Io a queste cose ho imparato a crederci molto poco e non reputo possibile che la città più grande di tutta l’America Centrale sia tanto brutta da non meritare neanche tre ore del mio tempo; così ho deciso di prenotare questo giro guidato, cosa per me stranissima (chi mi conosce lo sa bene) e che non apprezzo in nessuna situazione…ma obiettivamente in un lasso di tempo tanto stretto dove sarei potuto andare da solo e con lo zaino carico di tutte le mie cose sulle spalle? Quando sento scandire il mio nome da quella che è una sottospecie di reception mi viene un sorriso a 75 denti ed in un nano-secondo mi presento a chi mi ha chiamato. Scopro con incredulità di essere l’unico partecipante del tour e ringrazio per la serietà dimostrata nel non averlo cancellato per mancanza di numero minimo di clienti. La guida mi racconta un sacco di cose interessanti e cerco di riassumerle così: la città è stata fondata nel 1776 col nome di “Nueva Guatemala” dopo che la vecchia capitale (Antigua Guatemala) fu rasa al suolo dagli ormai notissimi terremoti; Fu fatto tutto il possibile affinchè le stesse chiese presenti ad Antigua venissero ricostruite qui. La città è divisa in venticinque zone, che sono l’equivalente dei nostri quartieri; l’unica differenza è che qui si usano i numeri mentre da noi si danno dei nomi. Le strade principali fungono da confine tra una zona e l’altra e ognuna delle zone presenti ha caratteristiche ben precise. Ad esempio, la zona 1 è quella più vecchia tra tutte ed è considerata il centro storico vero e proprio. Fulcro di questa area è “Plaza de la Constitucion” dove proprio ora stanno allestendo degli stands per l’inizio delle festività natalizie; qui affacciano l’enorme “Palacio Nacional de la Cultura” e la “Cattedrale”.

Palacio Nacional de la Cultura - scorcio

Palacio Nacional de la Cultura – scorcio

Cattedrale di Guatemala City

Cattedrale di Guatemala City

In altri posti sempre di zona 1 passiamo solo col minivan senza fermarci a fare fotografie; a quanto pare le cose da vedere sono tante…altro che zero come si dice in giro. La prossima sosta è prevista al “Cerro del Carmen”, ovvero una collina/giardino curata magnificamente dove si trovano la candida “Iglesia del Cerrito del Carmen” (presente qui dal 1620 se non erro, quindi prima ancora della fondazione ufficiale della città) ed il “Monumento a Juan Corz”, colui che si dice essere il fondatore di tale “eremo”. Da questa posizione privilegiata ho modo di affacciarmi su due lati della città sottostante e devo ammettere che la vista d’insieme non è poi così bella.

Iglesia del Cerrito del Carmen

Iglesia del Cerrito del Carmen

Monumento a Juan Corz

Monumento a Juan Corz

Risaliamo a bordo e proseguiamo attraversando altre zone: mi rimane impressa negativamente la numero 5 perchè si tratta di un’accozzaglia di baracche che il driver paragona addirittura alle favelas brasiliane…e sappiamo tutti bene che razza di ambientino sia quello.  Credetemi…è un colpo d’occhio allucinante e dico questo dopo averlo fissato per pochi secondi, giusto il tempo di andare oltre il campo visivo. Facciamo poi ingresso in quella che è la zona sportiva dove spicca lo stadio che la nazionale Guatemalteca usa per giocare le partite casalinghe; domando al mio compagno di viaggio per questa mattina quando avremo l’onore di vedere il Guatemala ai mondiali e mi fa cenno che proprio non lo sa; cavolo…ci sono arrivati la Giamaica, il Costa Rica e Trinidad&Tobago…perchè non sognare un po’? Mi mostra alcuni palazzi del potere, ma anche in questo caso solo passando lentamente e non fermando la marcia. Mi rimane impresso il bellissimo “Monumento/Fontana a La Paz” e, decisamente meno, una pseudo Tour Eiffel (prende il nome di “Torre del Reformador”) fatta costruire nel 1935 per commemorare il centenario della nascita di Justo Rufino Barrios che fu un presidente che avviò un gran numero di riforme positive per il Guatemala. La guida ci mette del suo e non so quanto sia vero ciò che mi dice: secondo lui la struttura è stata scelta appositamente da un presidente fissato con Parigi al punto da volerla emulare sia in questo che nella riproposizione di qualcosa di simile agli Champs Elysèes nella vicina “Avenida della Reforma”; ripeto: non so quanto questa affermazione sia attendibile, ma se lo fosse non è la prima volta che la sento in giro per il mondo. Possibile che fossero tutti quanti malati fino a questo punto? Ma che gusto c’è a riprodurre una città all’interno di un’altra? Invece di pensare a come rendere la tua città originale pensi a copiarne una già esistente? E scegli Parigi??? A pensarci bene l’altro che pare abbia fatto lo stesso è stato Ceausescu con Bucarest quando era dittatore della Romania; giusto qualche pazzo furioso, mentecatto e megalomane allo stesso tempo può essere tanto coglione da fare cose del genere.

Torre del Reformador

Torre del Reformador

Facciamo poi un salto alla vicina “Iglesia Yurrita”, ovvero una chiesa privata costruita con uno stile decisamente inusuale per l’America Centrale, vedere per credere. Entriamo anche nella zona tecnologica, quella che lui definisce la “Silicon Valley” di Guatemala City con le dovutissime proporzioni del caso; qui si trovano molte realtà che operano nel ramo delle nuove tecnologie e dell’informatica in generale.

Iglesia Yurrita

Iglesia Yurrita

Siamo così in Zona 9 e percorriamo “Avenida de la Reforma” fino a “Plaza Obelisco”: da qui in poi la strada cambia nome e diventa “Avenida de las Americas” e questo non avviene per caso; l’amministrazione comunale di Guatemala City ha deciso di dedicare la parte centrale e pedonale di questo vialone ad ogni nazione americana con una piazza che ricorda un simbolo per ciascuna di loro. Ad esempio troviamo “Plaza Argentina” , “Plaza Cuba” , “Plaza Ecuador” e così via, tutte molto interessanti. Passando prima per il Monumento dedicato a Cristoforo Colombo e poi da quello per Giovanni Paolo II (entrambi molto molto belli) arriviamo alla fine del percorso fermandoci in “Plaza Berlin”. Qui mi mostra tre pezzi che lui definisce originali del Muro di Berlino, arrivati qui grazie alla grande amicizia che lega Germania e Guatemala. Sarà vero che sono autentici? Nessuno può saperlo se non chi li ha spediti qui.

Plaza Berlin - pezzi originali del muro

Plaza Berlin – pezzi originali del muro

Mi mostra poi la Zona 14 che è quella dove vivono i ricchi e dove hanno sede tutte le principali ambasciate per poi terminare il giro in una zona popolare-commerciale caratterizzata dalla presenza di molti mercati di grandi dimensioni e da più di una stazione dei famosi “Chicken Bus”. Sicuramente in questa mia descrizione ho dimenticato di rammentare qualcosa, ma la volete sapere la verità? Sono stra-convinto di tre cose: A) quello che ho visto in tre ore scarse non è niente a confronto di ciò che la capitale del Guatemala può offrire; B) questa città è sicura da girare esattamente come lo sono Roma e Milano e quindi con un po’ di accortezza e buon senso si può visitare da soli e senza una guida che faccia da scorta…altro che posto da evitare per pericolo di scippi/rapine/omicidi; C) col senno di poi ho fatto una gran cazzata a fidarmi delle dicerie della gente e non fermarmi qui più tempo in modo tale da poter vedere la metropoli a modo mio e non di passaggio in questo modo fugace. Lo ribadisco ancora una volta: la devo piantare di fidarmi dei giudizi degli altri e devo vivere la mia vista ragionando solo col mio cervello ed andando dove mi porta il mio istinto. Riuscirò a farlo un giorno prima che sia troppo tardi? Staremo a vedere. Sono le 11:50 quando vengo scaricato all’Aeroporto “La Aurora” e mancano circa tre ore e mezzo all’inizio del lungo viaggio di ritorno verso casa. Il banco del check-in della Coba Airlines è vuoto, così decido di correre a prendere i biglietti per i tre voli che mi aspettano come all’andata prima che si riempia di gente che porta tutta la casa con se: la fortuna non mi assiste di nuovo perchè i due voli più brevi mi vedono al finestrino, mentre quello intercontinentale da Panama City a Parigi mi piazza ancora nel posto centrale tra due sconosciuti. Provo a chiedere il cambio ma mi viene negato causa mancanza di seggiolini liberi in quanto tutto l’aereo è prenotato. Al piano di sopra dell’area partenze dello scalo guatemalteco vedo un McDonald ed ho in tasca gli ultimi 55 quetzales in contanti, così ne spendo 47 per un menu large, ma non ne ho abbastanza per il Sundae al caramello, così stavolta ci devo rinunciare. Eseguo i controlli di sicurezza dopo aver compilato il modulo di uscita dal paese da consegnare al reparto immigrazione insieme al passaporto sul quale viene piazzato il secondo ed ultimo timbro che sancisce ufficialmente la fine di questa mia avventura. La tratta verso casa, per quanto complicata causa due scali intermedi, passa meglio rispetto all’andata perchè effettuata quasi tutta in notturna; riesco così a stampare un sonno come Cristo comanda per molte delle ore di volo. Atterro a Fiumicino alle 17:00 di martedi 19 novembre, a poche ore dal mio compleanno. Anche stavolta non sono riuscito a passarlo fuori, ma ci sono andato molto vicino. Prima o poi succederà il miracolo di farmi gli auguri lontano da casa e, pensandoci mille volte, per uno che viaggia tanto come me è una cosa davvero strana non esserci ancora riuscito. Per arrivare a casa da qui servono ulteriori due ore, più una sosta al supermercato per la spesa perchè mancando da casa da undici giorni non ho proprio niente in frigo per la cena. Alle 19:40 metto piede dentro alla mia piccola e semplice proprietà, stanco ma felicissimo di aver portato a termine un’altra delle mie avventure.

Eccomi alle conclusioni di rito: il Guatemala è un piccolo paese, ma ha al suo interno una varietà di climi, paesaggi e modi di vivere da fare invidia a nazioni ben più grandi. Nel tempo in cui sono stato fuori ho fatto di tutto: dal trekking sulla cima di un vulcano a 4000 metri mentre ne vedo eruttare uno di fronte ai tuffi nel Lago Peten Itzà, dalla visita del sito Maya migliore del mondo alle nuotate nelle piscine naturali di Semuc Champey, dalla visita delle città coloniali di Antigua e Quetzaltenango alle foto all’alba sul bellissimo Lago Atitlan e così via. Che cosa si può chiedere di più da un viaggio? Alla fine ho redatto il solito prontuario dei costi e mi sono tenuto TUTTO COMPRESO (anche i voli intercontinentali) tra gli 840 e gli 870 euro, centesimo più o centesimo meno, cifra che definirei come un mezzo miracolo considerati i costi americani. Il Guatemala è quindi a tutti gli effetti una delle nazioni da non mancare almeno una volta nella vita; ne ero convinto quando ho prenotato il volo e ne sono ancora più convinto adesso che sono tornato. Certo…bisogna avere un po’ di sana pazienza perchè i latini non sono come gli europei e neanche come gli asiatici; sono più pressappochisti e vivono tendenzialmente alla giornata e non in maniera precisa e super-organizzata come io adoro, però ci sono anche loro e vanno sopportati per quello che sono 🙂 Il mio consiglio sincero vi dice di andare in Guatemala perchè non ve ne pentirete.

 

 

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