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Dopo la positiva esperienza della visita a Cagliari ed alla spiaggia di Chia del maggio 2018, una nuova buona occasione mi consente di prenotare un altro fine settimana in Sardegna, stavolta nella parte diametralmente opposta di questa regione, ovvero il nord. La verità è che fino alla sera prima della partenza sono stato indeciso su che giro fare per impiegare al meglio il tempo a mia disposizione; la colpa non è stata però della mia indecisione o della mia mancanza di organizzazione, bensì degli orari non troppo performanti della compagnia di bus locale (la ARST). Alla fine riesco anche stavolta a tirare fuori il coniglio dal cilindro con un itinerario studiato ad arte; peccato che qualcuno abbia pensato bene di mandarlo parzialmente a puttane: un “grazie particolare” va alla CISL della Sardegna che ha deciso uno sciopero del cazzo dei mezzi pubblici che mi ha lasciato nella cacca costringendomi ad un esborso di denaro supplementare che di certo lorsignori non mi restituiranno. Loro protestano per avere qualcosa di migliore (chissà poi cosa…) ed a pagare sono io. Come al solito i sindacalisti si dimostrano i veri nemici del lavoro e la prima fonte a causa della quale le cose in Italia vanno male in questo ambito. Comunque sia qualcosa di buono riesco lo stesso a portarlo a casa da questo fine settimana e perciò direi di lasciar perdere le polemiche (tanto in questa nazione provare a far valere le proprie ragioni è tempo sprecato) e di iniziare il racconto.
Venerdi sera: esco dall’ufficio alle 18:00 con tutta la calma del mondo perchè dovrò prendere un treno da Roma Ostiense (poche fermate di metro dopo il trasloco del posto di lavoro appena effettuato) con destinazione Civitavecchia alle 18:53. Ho anche il tempo di andare ad un bancomat in zona Piramide per prelevare un po’ di contanti poichè sono a corto di pecunia. Salgo sul convoglio che mi scarica sano e salvo alle 20:00. Abito a Roma da quasi vent’anni ma è la prima volta che metto piede in questa località, per cui non la conosco affatto. Sono in netto anticipo, ma l’ho fatto di proposito: meglio cercare un posto dove cenare in totale relax e poi raggiungere il porto pian piano rispetto a fare le corse, cosa che sarebbe sicuramente successa se fossi tornato a casa e poi uscito successivamente. La cosa abbastanza angosciante è che scopro dopo poco che dalla stazione all’ingresso del porto di Civitavecchia ci saranno si e no 5-6 minuti di passeggiata, per cui provo ad allungare la visita di cortesia infilandomi nelle vie interne. Faccio benissimo perchè questo cambio di percorso mi permette di scoprire un fast food (dove mi siedo per consumare un menu kebab) ed un market aperto fino alle 22:00 (dove entro per comprare qualcosa da bere ed uno sfizietto per dopo). Ci provo a fare due passi sul mare, ma è una di quelle cose che vengono bene in coppia; da solo è abbastanza mortificante…per cui colgo la palla al balzo e mi incammino verso gli imbarchi. Questa che sta per iniziare sarà la mia seconda volta su un traghetto notturno; la prima fu per andare e tornare dalla Grecia una decina di anni fa, ma quelli erano altri tempi nei quali ero “accompagnato” e dovevo per forza sperperare i soldi dormendo in cabina. Se ci ripenso oggi mi viene da darmi tante clavate in testa. Stasera e domenica la prenotazione prevede il sanissimo passaggio ponte senza comfort alcuno, come insegna la vera filosofia del low-cost. Arrivo al controllo del biglietto e del documento intorno alle 21:45, un’ora prima della partenza. Lì per lì mi sembra un’eternità, ma l’accesso è già possibile. Una volta sul ponte vedo che c’è già un mare di gente piazzata e che i divanetti sono tutti esauriti; non avevo idea che fosse prassi salire così presto e dalla prossima volta non mi farò fregare. Fortuna vuole che riesco a trovare una poltrona imbottita con davanti un tavolino e non mi faccio certo pregare per accomodarmi: non dormirò comodissimo, ma almeno non starò per terra come tanti mi avevano paventato quando parlavo di questo viaggio. Dall’interno di una nave non si capisce neanche quando siamo fermi o in movimento e di uscire a vedere non se ne parla: se mi alzassi da qui anche solo per due secondi netti perderei il posto. Quando gli occhi decidono di abbandonarmi chiudendosi su loro stessi capisco che è l’ora di provare a dormire, ma la notte si prevede abbastanza dura da affrontare poichè nei primi trenta minuti mi sveglio almeno un paio di volte. Alle 5:30 ci si mette l’altoparlante che informa tutti i passeggeri che stiamo entrando nel porto di Olbia per le ultime manovre prima del puntualissimo sbarco. Sono da poco passate le 6:00 del mattino quando scendo e metto piede a terra; l’appuntamento per la consegna delle chiavi della stanza è per le 8:15 ad oltre tre kilometri da qui, per cui decido di incamminarmi lentamente anche se fa ancora buio ed è discretamente fresco. Quando arrivo nella zona pedonale della città noto un particolare: a Roma i bar aprono dalle 5:30 in poi, ma mai più tardi della 6:30. Qui invece se la prendono tutti molto molto comoda e riesco a sedermi per la colazione in un locale già attivo non prima delle 7:20. Dopo aver consumato cappuccino e cornetto mi rimetto in moto verso il B&B prenotato su un sito di settore, cosa che avviene molto di rado. Durante il tragitto vengo abbagliato da un’immagine alla mia sinistra: è la Chiesa di San Simplicio (uno dei simboli di Olbia) illuminata ad arte dalla luce del primo mattino, quella che sembra sfumata d’oro. Il risultato che segue ne è la dimostrazione migliore:
Procedo dritto finchè supero il mercato cittadino che qui si svolge il sabato mattina; di questa cosa mi ero informato preventivamente (intendo dire data ed ubicazione) proprio per non visitare una località con le dannate bancarelle che avrebbero potuto coprire le varie attrazioni, disguido che in passato è già capitato con smadonnamenti vari in più lingue. Adocchio anche un ristorante sushi di quelli che piacciono a me, cioè che propone un menu “all you can eat” ad 11,90 euro a pranzo e già inizio a pensare di andarci domani (oggi non ce la farei con i tempi). Finalmente raggiungo la destinazione e, puntuale come un orologio svizzero, prendo possesso della camera dopo aver salutato il cortesissimo proprietario. Non ho tempo da perdere perchè il programma prevede una cosa che faccio di rado: andare al mare. Cavolo…sono in Sardegna (in Costa Smeralda per la precisione) ed è una bella giornata e la cosa mi pare ovvia. Mi metto il costume e preparo la borsa con le sole cose che mi servono (in realtà è una busta del Carrefour con dentro asciugamano, chiavi della stanza, una banconota da dieci euro per le evenienze, qualche spicciolo per i biglietti e lo smartphone), poi mi rimetto a camminare. Alla fermata chiamata “Centro Martini” mi blocco ed acquisto i tickets dalla macchinetta automatica; costano un euro l’uno e portano un po’ ovunque. Io prendo la linea 04 che ha come destinazione “Bados”, ma mi fermo dopo circa un quarto d’ora alla prima spiaggia famosa disponibile, cioè quella di Pittulongu. Un centinaio di metri mi separano dal luogo dove mi riposerò per le prossime 2-3 ore e quando sono in posizione tale da poter vedere con i miei occhi cosa mi si prospetta resto basito: una lunga mezzaluna di sabbia bianca e l’acqua color turchese liscia come una tavola! In questo momento non soffia neanche il maestrale che da queste parti è di casa. Non mi faccio certo pregare e trovo un posticino tutto per me dove metto le mie cose in sicurezza e dopo trenta secondi netti sono già a mollo. La temperatura percepita è discretamente fresca, ma comunque piacevole e me la godo finchè posso. Qualcosa però va storto perchè arriva implacabile la “nuvola da impiegato” che porta prima un po’ di vento che increspa la superficie del mare e poi, verso le 11:45, fa scendere qualche goccia di pioggia. Vista la situazione, dopo aver fatto tre bagni ed un bel riposino sotto al sole (finchè c’era) decido che è giunto il momento di andare.
Un po’ mi dispiace venire via così presto, ma oltre al meteo non proprio amichevole ci unisco anche il fatto che in certe situazioni da solo mi annoio ed anche che ho una nuova località da esplorare tra non molto e ciò prende la maggior parte della mia attenzione. Il bus numero 04 passa puntualissimo anche stavolta (complimenti alla ASPO, l’azienda dei trasporti di Olbia) e mi riporta al “Centro Martini”. Vado a cambiarmi ed a riprendere il mio zainetto, o meglio il mio “guscio di tartaruga” che viene sempre con me ovunque io vada. Avevo previsto di restare in spiaggia un pochino di più, ma approfitto del tempo a mia disposizione per andare ad un vicino “Simply Market” per comprare la spesa per la cena. Ebbene si, stasera tornerò in zona non prima delle 22:00, per cui non troverò niente di aperto e l’occasione che ho è ghiottissima. Subito dopo ripongo i vari acquisti nel frigorifero del B&B e mi dirigo verso l’autostazione locale che è composta da cinque strisce gialle disegnate sull’asfalto di Corso Vittorio Veneto; in parole povere è una ciofeca bella e buona. Leggo sulla tabella degli orari che i biglietti si comprano prima di salire a bordo ed una delle rivendite autorizzate è il bar che ho di fronte, per cui entro ed acquisto due biglietti Per Tempio Pausania, uno che userò tra poco per l’andata e l’altro che userò più tardi per il ritorno. Adesso non manca proprio nulla e quando il mezzo pubblico della compagnia ARST arriva sul posto, salgo e scelgo dove sedermi tra un’ampissima disponibilità. Il tragitto dura circa un’ora e mezzo (forse qualche minuto di meno) e si svolge nelle strade interne della Sardegna che non tardano a diventare strette e tortuose mentre passano in mezzo all’aspro panorama del cuore dell’isola. In pochi chilometri sembra che il mare non esista proprio da queste parti ed è una sensazione particolare. Le fermate avvengono nelle località di Telti, Calangianus e Luras; poi finalmente scendo nel piazzale della storica stazione di Tempio Pausania. Una volta qui circolavano i treni, ma oggi questo non accade più eccezion fatta per il turistico “Trenino Verde”.
Questa località (13.485 abitanti) forma proprio con Olbia (59.000 abitanti) una provincia a se stante operativa ufficialmente tra il 2005 ed il 2016. E’ attualmente sostituita dalla “zona omogenea” di Olbia-Tempio in attesa della soppressione totale delle province in Italia, ma cambiare il nome non significa niente nel nostro paese: c’è ancora e basta. E’ quindi con estrema curiosità che mi accingo a capire come possa un paesotto come questo godere di tanto onore. Una premessa è doverosa: Tempio Pausania è definita “città del granito” perchè questa pietra è usata un po’ in tutte le costruzioni presenti nel centro storico, dalle case agli edifici religiosi considerando anche le strade, anch’esse lastricate in granito. Inizio il mio giro con una prima salita (ne affronterò diverse nell’arco della giornata) che mi conduce in Piazza del Carmine: qui posso vedere l’omonimo teatro ed il “Museo Bernardo de Muro”, famoso tenore nato proprio qui nel 1881.
Mi sposto in Via Giacomo Matteotti che, punteggiata di localini su ambo i lati, si fa ricordare perchè moltissimi lastroni che ne compongono la pavimentazione sono colorati tipo Arlecchino creando un effetto cromatico suggestivo; la verità però è che le tonalità sono molto sbiadite. La cosa mi incuriosisce, per cui mi fermo e cerco di documentarmi su cosa sia successo: dall’estate del 2016 una certa associazione chiamata “Colorart” ha avuto il compito di valorizzare la città con varie iniziative e proprio questa via fu il fulcro della manifestazione. Il successo fu grande ed immediato, al punto che anche quest’anno l’usanza si è ripetuta per la quarta volta consecutiva poichè ormai tutto ciò è diventato una vera e propria attrazione locale.
L’immagine appena pubblicata la scatto in Piazza Italia, una delle più importanti di Tempio Pausania ma che, a me che sono sempre alla ricerca di qualcosa di interessante, appare come vuota ed insignificante: non c’è esattamente niente a parte qualche punto di ristoro e qualche negozietto. Magari avrà una storia tutta sua da raccontare, ma ammetto la mia ignoranza in materia e la realtà delle cose è che i miei occhi non vedono una cippa. Da qui ho la possibilità di svoltare a destra o a sinistra e la mia scelta influenzerà non poco l’itinerario a seguire; pochi secondi mi fanno optare per la seconda ipotesi, così prendo Via Roma e mi dirigo in Piazza Brigata Sassari dove trovo la sede della Provincia di Olbia-Tempio e la Chiesa di Sant’Antonio posta “al piano rialzato” in cima ad una breve scalinata.
Torno verso Via Roma, ma stavolta imbocco Via San Paolo fino ad arrivare al “Parco Fonte Nuova”; si tratta di un’area verde che i locali usano per rilassarsi al fresco nelle calde giornate estive o semplicemente come punto di ritrovo, motivo per cui ci trovo tanti ragazzi intenti in chiacchiere da bar nel dolce far niente del sabato pomeriggio in collina. Tre cose caratterizzano questa zona: il Monumento ai Caduti, una fontana composta da varie vasche in cui l’acqua vi scorre formando delle cascatelle ed una vista superba della città da questa posizione.
Da qui salgo alcune scalette e taglio il parco fino a raggiungere Viale San Lorenzo dove ho due obiettivi: la Chiesa di San Lorenzo ubicata nell’omonima area naturale (subito dopo un divieto di accesso che paventa il pericolo di caduta alberi che puntualmente ignoro) e la Parrocchia del Sacro Cuore che mi lascia particolarmente interdetto per la strana forma dell’edificio (è davvero brutta…mamma mia!) e per l’incuria che mostra, al punto da sembrare abbandonata.
Qui vicino ci sarebbero anche le “famose” Fonti di Rinaggiu, ma sinceramente penso di avere modi migliori di spendere il mio poco tempo a disposizione che andare a vedere qualche cannella che sgorga acqua potabile, per cui lascio perdere. Per andare avanti non ho altra scelta che tornare indietro (!?!) fino all’inizio del Parco Fonte Nuova e lo faccio; una volta lì prendo Viale Valentino che diventa Via Fiume dopo una rotonda. Qui noto delle transenne e alcune bancarelle veramente tristi: leggo su uno striscione che si tratta della “Festa di Maria Bambina”. La traduzione esatta che fa il mio cervello è questa: “un’altra super minchiata organizzata per chi non ha una cippa da fare nel fine settimana”. Cerco di mettere il paraocchi virtuale per non guardare oltre e mi dedico alla Chiesa di San Giuseppe che ha decisamente il suo perchè. Una nuova passeggiata mi conduce fino alla Chiesa dell’Immacolata Concezione che si trova all’interno di un boschetto.
Circa un kilometro e mezzo mi separano da una delle attrazioni maggiori di Tempio Pausania (di cui un kilometro da percorrere sul ciglio della strada per assenza totale di marciapiede…peggio dei paesi del terzo mondo), ovvero il Nuraghe Majori. Pare che sia uno dei più ben conservati di tutta la Sardegna, per cui non intendo farmelo sfuggire. L’ingresso costa tre euro e col biglietto mi viene consegnata una torcia a batterie che mi servirà perchè una delle sale è completamente buia. La struttura già mi colpisce guardandola dall’esterno per come sia ancora stabile dopo 3.400 anni di esistenza. Il mio primo pensiero è d’obbligo: oggi, con tutte le fottute lauree che ci siamo inventati per far fare soldi a qualcuno, le nuove costruzioni crollano a non finire appena soffia il vento mentre questa ancora si regge senza un grammo di cemento e solo grazie alla legge degli incastri dei lastroni di pietra che lo formano. Direi che è l’ennesima dimostrazione che il modo in cui l’uomo ha organizzato la vita odierna è una cagata pazzesca. I pezzi che mancano non sono crollati, ma sono stati tolti dagli esseri umani nel corso dei millenni. Entro dentro e mi volto subito verso sinistra dove incontro la “famosa” stanza buia: accendo la lampadina e, dopo aver fatto un giro esplorativo della base, punto la luce verso l’alto: avevo letto che ci vivono tanti piccolissimi pipistrelli ed effettivamente è così. Procedo oltre e mi trovo in una sala senza il tetto, quindi con la luce naturale che la illumina. Un giro su me stesso e poi salgo delle scale di fortuna ed arrivo al piano superiore che è perfettamente agibile; da qui si ha una visione della città, ma molto in piccolo data la distanza. Quando ritengo di aver visto tutto torno a dare un saluto ai mini-pipistrelli e poi seguo un percorso abbastanza accidentato che mi permette di girare l’intero perimetro del nuraghe. La visita finisce così, per cui vado alla biglietteria a restituire la torcia e lascio la zona.
Torno indietro e rientro in città, ma ancora non intendo infilarmi in centro perchè ho ancora un pochino di periferia da esplorare: il navigatore mi fa passare da una strada al cui vertice c’è un povero asinello triste perchè chiuso dentro ad un cancello; mi fa una pena incredibile. Lungo la strada, e non previsto dalla mappa, incontro il Monumento a quello che probabilmente è il simbolo della Gallura (il gallo) al centro della piccolissima Piazza del Popolo. E’ la volta poi della “Chiesa di Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote” seguita dalla bella Chiesa di San Francesco. Il giro in questa direzione, già che ci sono, si conclude con la visita all’esterno dello Stadio “Nino Manconi” che è composto da una tribuna centrale in muratura e da una costruzione realizzata con tubi innocenti dalla parte opposta. Tutto ciò lo riesco a vedere da una fessura nelle mura di cinta perchè di entrare all’interno ovviamente non se ne parla. La squadra, dopo un recente fallimento, milita oggi nel campionato di Prima Categoria della Sardegna; è un vero peccato per una società che ha giocato ben tredici campionati di serie C2, ma lo sport spesso ha un sapore amaro.
Ora non ho più scuse e devo tassativamente terminare la visita del centro storico; lo faccio passando nuovamente davanti alla Chiesa di San Francesco. Dopo poche decine di metri delle ormai solite vie lastricate di granito, strette ed anguste mi imbatto nella Chiesa di Nostra Signora del Pilar. Segue poi l’Oratorio del Purgatorio che mi porta in un attimo in Piazza Gallura, sede dell’edificio che ospita il coloratissimo Municipio di Tempio Pausania. Qui si affaccia anche il Museo Diocesano ospitato dal Palazzo Pes di Villamarina, ma non lo fotografo perchè si vede quasi solo un bar situato al piano terra della medesima costruzione. Da ora in poi la distanza tra i vari punti di interesse è minima: la Chiesa di Santa Croce, la Cattedrale di San Pietro Apostolo (nella foto che segue ce n’è solo una scorcio perchè è veramente grande) e l’Oratorio del Rosario sono praticamente appiccicati l’uno con l’altro.
Via Santa Croce mi porta in Via Cavour, breve strada dove si possono ancora vedere case storiche segnate dall’architrave. Lascio per ultima la Piazza dedicata al cantautore Fabrizio de Andrè che nel 1975 acquistò a pochi chilometri da Tempio Pausania una tenuta in rovina, la ristrutturò e ci andò a vivere. L’artista è sempre rimasto legato a questa parte di regione nonostante i mesi in cui fu rapito dall’anonima sarda insieme a Dori Ghezzi, liberati poi dietro pagamento del riscatto. Per questo amore viscerale il comune gli ha intitolato la piazza (il cielo sopra di essa è oggetto di un’installazione ideata da Renzo Piano), mentre il centro informazioni turistiche sempre qui ubicato è una specie di museo in onore del cantautore, le cui canzoni sono trasmesse in maniera perpetua. Ovviamente non discuto l’importanza di De Andrè per la musica italiana anche se io apprezzo un genere diverso ed ancora ovviamente non discuto la volontà di Tempio Pausania di fare ciò che è stato fatto per suggellare un tale attaccamento, ma permettetemi di dire che “Piazza Faber” non si può proprio sentire; Faber è un soprannome che trovo semplicemente terribile, insopportabile e non orecchiabile per indicare il nome Fabrizio. Proprio non ce n’era un altro diverso da mettergli a questa persona?
Tornando verso la stazione ci tengo a far notare altre due cose: la prima è un monumento nel Parco delle Rimembranze (ogni singolo leccio presente è in memoria di un cittadino tempiese caduto nella prima guerra mondiale) e poi che probabilmente in questa città si è abusato un po’ troppo dell’uso del granito, ma questo concetto voglio spiegarlo bene per non essere frainteso. Le case, le chiese, le strade e chi più ne ha più ne metta sono tutte cose bellissime e caratteristiche anche grazie al materiale col quale sono state costruite, ma perchè esagerare realizzando anche i cartelli che indicano i nomi delle vie con questa pietra e scegliendo per di più una tonalità molto scura? Qui riporto uno dei tanti esempi per pura informazione e chiedo a chi legge se sono solo io a vederci delle lapidi al posto di indicatori di località. Per di più, se guardati da una certa distanza, sono indecifrabili perchè diventano illeggibili. Direi che su questo il comune dovrebbe far qualcosa prima possibile.
Alla fine ho fatto in tempo a vedere proprio tutto ciò che avevo segnato da casa, per cui è il momento di andare all’autostazione, prendere il pullman per tornare ad Olbia e finire la serata nella “mia” stanza per stanotte consumando la lauta cena acquistata in giornata. Mi siedo su una delle panchine in attesa e con me ci sono un sacco di ragazzi che vorrebbero passare il sabato nella famosa località di mare. La partenza è prevista per le 20:10 , ma alle 20:07 il mezzo ancora non si vede; poco prima ne erano arrivati due, poi ripartiti per altre destinazioni. Ad un certo punto squilla il telefono di uno dei giovani lì presenti; la madre gli chiede dove sia e lui dice candidamente che sta aspettando il bus della ARST ma che è tutto in dubbio causa sciopero. Appena sento quella parola mi si gela il sangue nelle vene. Dopo cinque secondi di panico puro prendo lo smartphone e cerco informazioni: ebbene si, è tutto vero. La CISL della Sardegna (solo questa tra le diverse sigle sindacali) ha indetto uno sciopero di sabato sera dalle 18:30 alle 22:30 e lo ha comunicato solo localmente due giorni fa. Ma dico io, si può fare una cosa del genere per sole quattro ore di sabato sera??? Io sarò anche abituato male perchè a Roma eventi del genere colpiscono sempre durante l’intera giornata del venerdi, ma a questo punto trovo che abbia più senso se si vuole rivendicare davvero qualcosa. Chi si colpisce bloccando la circolazione dei mezzi pubblici in un pre-festivo ed in questa fascia oraria? Praticamente nessuno! Vado a chiedere alla biglietteria ma nessuno sa nulla; dipende solo dall’appartenenza sindacale dell’autista della tratta che mi interessa, ma mi fanno giustamente notare che il pullman sarebbe già dovuto essere qui da cinque minuti. Ho conferma che non ho altri mezzi per tornare ad Olbia e, incazzato come una bestia, apro Booking.com cercando una stanza per la notte che dovrò passare qui a Tempio. Morale della favola: alla fine perdo 38 euro di camera supplementare non prevista ed ho il giro del giorno dopo completamente andato a puttane perchè il primo collegamento domenicale tra Tempio Pausania ed Olbia ci sarà alle 11:05 del mattino con perdita di mezza giornata. Prima di prenotare la nuova soluzione le provo proprio tutte: uso l’App di Bla-Bla-Car ma noto che in Sardegna neanche ne conoscono l’esistenza, poi provo a chiamare un taxi locale ma mi sento chiedere 115 euro che scendono a 75 quando faccio notare al mio interlocutore la follia della sua uscita. Non resta altro da fare che cliccare sul tasto “prenota” del B&B sito in Piazza Italia che contatto telefonicamente per fargli presente la necessità del check-in immediato e fortunatamente vengo accontentato, giusto il tempo per la proprietaria di rifare il letto. Nel frattempo avviso il gestore del B&B di Olbia il quale è una persona umana e di cuore: mi lascia la stanza fino all’indomani alle 21:00 (ora della mia partenza verso il porto) in modo tale da farmi recuperare le cose che ho lasciato lì sicuro di rientrare ed anche di farmi consumare la cena attualmente in frigo. Fatto ciò, siccome io sfogo le incazzature nel cibo, stasera me ne frego della dieta ed ordino una pizza gigante a portar via (50 cm di diametro) che in un tempo ragionevole scompare nel mio stomaco accompagnato da Coca-Cola zero ed acqua comprate ad un negozio self-service 24 ore trovato nelle vicinanze. Mi metto poi a giocare al mio solito calcio manageriale fino a notte fonda per vedere di far passare i bollenti spiriti, ma non c’è modo alcuno. Sono troppo incazzato con quei maledetti sindacalisti che sanno solo proclamare scioperi e fare qualcos’altro che è meglio non scrivere. Il giorno che scioglieranno i sindacati mi ubriacherò così tanto da non ricordare il mio nome per un mese. Maledetti!!! Loro protestano per emerite stronzate e mentre il sabato sera i “signori” sono a cena fuori con le loro mogli io ne pago le conseguenze in questo modo!!! Alla fine crollo per il sonno ed è molto molto meglio così.
Domenica mattina: Mi sveglio alle 8:30 ed inizio a riporre le mie cose. Alle 9:00 entra nel B&B la proprietaria che deve sistemare più di una camera per gli ospiti che riceverà dopo le 13:00, così faccio colazione con una brioche e con un po’ di succo di frutta per poi ringraziare, salutare ed uscire. Ho quasi due ore al pullman e Tempio Pausania l’ho vista tutta, così decido di andare a rivedere i luoghi che ieri ho trovato con la luce del sole contraria o totalmente all’ombra per passare il tempo migliorando la qualità delle foto in mio possesso. Alle 11:05 sono esattamente sulla stessa panchina dove ero ieri sera, solo che stavolta il pullman arriva in orario. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi: caso vuole che il biglietto che ho in mano non venga letto dalla macchinetta obliteratrice; dopo qualche prova ed avendo gente dietro di me che vorrebbe salire faccio notare all’autista questa anomalia e lui ha voglia di fare lo spiritoso: mi chiede sorridendo se per caso quello che ho in mano è un ticket “fatto in casa”. Gli rispondo a tono dicendogli che, se proprio devo rubare, preferisco stampare banconote piuttosto che biglietti del bus e poi aggiungo che probabilmente il pullman che avrei dovuto prendere ieri sera avrebbe letto il mio titolo di viaggio, solo che non l’ho potuto testare perchè qualcuno aveva deciso di fare sega. Dopo questa sacrosanta uscita mi oblitera il biglietto a mano e finalmente posso sedermi. Il viaggio dura circa 80 minuti ed alle 12:25 scendo all’autostazione di Olbia. Dato il minor tempo a disposizione devo per forza di cose fermarmi qui e non potrò andare a visitare Santa Teresa di Gallura come da programma prestabilito. Oggi fa molto caldo, ma tira anche tanto vento, per cui la temperature è mite e gradevole per questo mix di fattori. Acquisto una lattina gelata di Coca Cola zero da un cingalese di zona (1,50 euro…mortacci suoi) e comincio la camminata che mi porterà ad esplorare tutta la cittadina che mi ospita; non ha una marea di punti di interesse, ma alcuni sono dislocati negli angoli più disparati e servirà tempo per raggiungerli. Il primo obiettivo è quello che ho già mostrato all’inizio di questo post, poco dopo il mio arrivo in città col traghetto: la Chiesa di San Simplicio mi attende nell’omonima piazza, ma stavolta non è baciata dal sole dorato dell’alba, bensì da quello potente delle 13:00. In più si sta celebrando una qualche cerimonia perchè vedo un mare di persone agghindate come dei manichini che bazzicano lì intorno.
Mi muovo in direzione del “Parco Fausto Noce”, ma prima noto alla mia destra delle antiche rovine romane che sono palesemente dei pezzi di sasso: siamo seri e gettiamo questa immondizia per favore! L’area verde è ben recintata ed apre ad orari prestabiliti. Appena entro noto una particolare fontana composta da zampilli d’acqua a pressione non elevata che si infrangono su delle rocce. Poi mi soffermo su un cartellone con la mappa e noto che ci sono un sacco di impianti sportivi ai quali non sono molto interessato. Una brevissima passeggiata mi porta a vedere una specie di laghetto dove sguazzano un po’ di germani, ma anche questo non è degno di nota. Quando giungo all’anfiteatro capisco che è meglio cambiare aria perchè qui proprio non è cosa.
E’ il momento di spostarmi in centro e, cammina cammina, arrivo nella strada principale e pedonale che prende il nome di Corso Umberto I°. E’ ora di pranzo di domenica 7 settembre e neanche c’è bisogno di raccontare la calca presente nei vari locali adibiti al ristoro; solo io mangio al volo quando e cosa capita dando sempre un’occhiata al budget? In Italia sento dire dal 2008 che c’è grossa crisi ma tutti “magnano come sprocedati” senza guardare al conto. Parlando di ciò che vedo (forse è meglio…), sembra una normalissima via di una normalissima città turistica votata al commercio; segni particolari mi pare non ce ne siano, così faccio una deviazione in Via Cagliari e mi trovo davanti alla bella Chiesa di San Giovanni Apostolo; oltre all’immagine di insieme mi colpisce la cupola coloratissima della quale segue un dettaglio. Torno sul corso ed osservo l’edificio che ospita la Biblioteca Comunale ed una scultura posta lì di fronte.
Proseguo la passeggiata fino alla fine della strada dove si mostra il palazzo del Municipio. Al di là della carreggiata si apre il parco “I Giardinetti” dove è piazzata una Ruota Panoramica e dove c’è l’accesso per il Museo Archeologico che ha una location niente male su di un’isoletta collegata alla terraferma tramite un ponte.
Giungo in Via de Filippi ed inizio a cercare un edificio storico del quale on-line è difficile reperire il numero civico e la strada è abbastanza lunga; alla fine mi documento meglio e scopro che Villa Clorinda è oggi usata come istituto scolastico. Questo mi fa venire in mente che ho da poco superato un cancello che indicava ciò, per cui torno indietro ed entro quatto quatto non sapendo se posso farlo oppure no. Alla fine eccomi a destinazione, ma la mia tenacia è soddisfatta solo parzialmente perchè i soliti alberi rompicoglioni bloccano una parte della facciata. Da qui in avanti le passeggiate si faranno tutte abbastanza lunghe, ma questo l’ho già spiegato prima. Mi muovo in direzione dello Stadio “Bruno Nespoli” dove gioca la squadra locale attualmente impegnata nel campionato di Serie C, quindi davvero niente male. Prima però mi fermo ad osservare un punto di interesse ubicato in una zona di lavori in corso, quindi devo fare i soliti salti mortali per tirare fuori una foto decente: si tratta del Monumento che Olbia dedica ai suoi caduti. Tornando allo stadio, lo trovo ovviamente chiuso ma stavolta non è un problema: salendo verso una vicina rotonda stradale ho la possibilità di vederne tutto l’interno quasi come se avessi pagato il biglietto.
Procedo oltre e tramite Via Roma arrivo alla “Parrocchia Sacra Famiglia”, che reputo molto carina ed originale col campanile staccato dal corpo centrale; già che ci sono faccio una capatina anche alla zona “Stagni” composta da diversi specchi d’acqua comunicanti ma sapevo che sarebbe stato tempo perso perchè non c’è nulla da vedere. L’unica cosa positiva è che questo posto mi è di strada, per cui non ho dovuto fare alcuna deviazione e non ho perso tempo prezioso. Un altro bel tratto mi divide dalla destinazione più esterna che ho segnato sulla mappa di Olbia, ovvero la Parrocchia San Ponziano Papa, ma quasi subito mi fermo trenta secondi a fotografare una scultura in onore di Padre Pio vista per caso. Quando arrivo all’indirizzo che sto cercando ho due visioni assolutamente degne di nota: la prima riguarda proprio la chiesa che, completamente candida, se ne sta buona buona sulla collina; la seconda riguarda il panorama stratosferico che si gode affacciandosi da quassù: si vede tutta Olbia baciata dal suo mare che qui appare di un blu intenso, ma più ci si avvicina alla riva e più si scopre celeste. Resto qualche minuto a fissare tutto ciò seduto su una delle panchine piazzate ad arte in questa zona.
A questo punto vorrei tanto raggiungere il Castello di Pedres e le Tombe dei Giganti, ma sono davvero troppo lontani: 6,2 kilometri a piedi da moltiplicare per due tratte non riuscirei mai a farli perchè mi porterebbero via tantissimo tempo; se poi calcolo che le strade extraurbane sarde sono tutte senza spazio per i pedoni e che dovrei camminare per tutto quel pezzo sul “ciglio” sono costretto a rinunciare. Mi rimane quindi un unico punto di interesse da cercare e vedere ed è la Parrocchia Sant’Antonio da Padova distante quasi quattro kilometri, ma ci arrivo lo stesso.
A questo punto uno pensa di aver finito e di poter tornare in stanza ed effettivamente è così, ma non succede tanto facilmente perchè prima devo coprire la distanza di altri 2,7 kilometri e lo faccio. Sono le 17:45 quando giro la chiave nella porta del B&B e dovrò uscire da qui alle 21:00 per tornare al porto ad imbarcarmi verso casa. Tre ore e quindici minuti gettati al vento grazie ai sindacati, oltre ovviamente alla mattinata perduta. Non mi resta altro da fare che sistemare tutte le mie cose, fare una doccia, giocare col mio calcio manageriale e consumare la cena pronta per ieri sera ed ancora conservata in frigorifero. Fatto questo, all’orario scelto chiudo tutto e mi incammino lentamente verso gli imbarchi che distano oltre tre kilometri, ma tanto ormai ci ho fatto il callo. Ripasso volutamente da Corso Umberto I° per farci una capatina anche di sera e ritrovo la solita calca per la cena, tanto per confermare la grossa crisi che c’è in Italia da undici anni. Giungo alla stazione marittima con un’ora di anticipo rispetto alla partenza e, dopo aver superato i controlli di sicurezza, salgo sulla nave. Stavolta entro quasi per primo e riesco a fare mio un posto su di un divanetto, cosa che mi permetterà una notte migliore rispetto a quella trascorsa all’andata. Appena mi si chiudono gli occhi cado in un sonno abbastanza pesante, per poi essere svegliato dall’altoparlante che comunica le manovre di avvicinamento allo scalo di Civitavecchia. Una volta fuori (oltre trenta minuti di ritardo rispetto al preventivato…) salgo sul bus gratuito che mi porta all’inizio dell’area; da qui sono 5-6 minuti a piedi per la stazione, tempo che mi permette di salire sul convoglio delle 7:08 e di passare dall’ufficio a prendere le cose utili per poter (udite udite) iniziare la mia nuova vita promiscua col telelavoro. Sperando che questa cosa duri negli anni a venire, per la prima volta dopo un fine settimana fuori…torno a casa per non dover uscire, bensì per restare.
Conclusioni: ho già descritto per filo e per segno la mia incazzatura e la mia rabbia nei confronti di gente senza ritegno, per cui almeno in questo spazio parlerò d’altro. la Sardegna è un’isola magica e questo non lo dico sicuramente per primo; dopo aver visto l’estremo sud mi sono dedicato all’estremo nord ed un po’ di considerazioni le posso e le voglio fare. Le difficoltà logistiche che ho avuto nell’organizzare l’itinerario (poi comunque rovinato da cause di forza maggiore) sono dovute al fatto che la fascia della Costa Smeralda è caratterizzata quasi totalmente da località di villeggiatura, per cui i luoghi e le cose da vedere latitano. Ho perso la visita a Santa Teresa di Gallura, ma alla fine si tratta di un paese che fa del turismo estivo la sua vocazione, quindi mi dispiace non esserci potuto andare, ma fino ad un certo punto. Tra i punti previsti è senza dubbio il meno doloroso da perdere per il momento. La zona nord ovest (quella di Sassari, per capirci) è ben più ricca di alternative al mare ed alla sola vita di spiaggia e magari sarà anche la mia prossima destinazione quando tornerò sull’isola. Per ciò che riguarda i luoghi visitati, il mio giudizio potrebbe essere un po’ appannato dal fatto che il secondo giorno non ero dell’umore giusto, ma ci provo lo stesso: Tempio Pausania, per avere poco più di 13.000 abitanti, ha fin troppe cose da vedere ed il fatto di avere il centro storico quasi interamente realizzato in granito la rende ancora più particolare. Olbia è una località che si è sviluppata per il porto e grazie al porto; leggevo un articolo di come la popolazione sia passata da 12.000 a 60.000 persone in ottant’anni ed una crescita pari al 500% sarebbe troppo alta da giustificare per una realtà senza vocazione commerciale e turistica. Ha i suoi punti di interesse, ma sicuramente niente che la faccia elevare rispetto ad altre realtà. Quindi direi che la fascia costiera del nord est della Sardegna sia meglio lasciarla alle vacanze da spiaggia, mentre per le visite culturali c’è tutto il resto dell’isola che aspetta solo di essere scoperta.