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Il secondo fine settimana del 2020 è “lungo” perchè mi prendo il lunedi di ferie che sommo ai classici sabato e domenica; le cittadine che voglio esplorare per filo e per segno in questa ghiotta occasione sono ben tre: Bath, Plymouth ed Exeter situate nell’estremo sud dell’Inghilterra. Ammetto io stesso che le località di cui sto per parlare fanno storcere il naso a tanta gente perchè ben lontane dal turismo di massa e praticamente sconosciute, quindi due paroline in più mi sembrano d’obbligo. Sicuramente se scrivo “Cornovaglia” sarà più facile individuare dove sto andando, ma c’è da fare una specifica: la Contea della Cornovaglia è solo la punta finale dell’omonima penisola, la quale comprende anche tutto il Devon ed un pezzo del Somerset. Sebbene il mio sogno sia andare un giorno fino in fondo alla Contea, per stavolta mi fermo nella prima parte della penisola. Concludo questa premessa più dettagliata del solito cercando di dare una spiegazione allo strano titolo da me scelto per il racconto che seguirà: Bath ed Exeter sono riuscito a vederle come sono abituato a fare, mentre Plymouth l’ho dovuta rimandare perchè una pioggia abbastanza fitta (ma soprattutto incessante) ha messo a durissima prova le mie possibilità in certe condizioni avverse. Se proprio voglio vedere qualcosa di positivo nella sfortuna, ho un motivo in più per tornare in questi lidi e magari scendere ben più giù. Ma vediamo nel dettaglio cosa è successo…
Venerdi sera: l’inizio non è dei più facili perchè non faccio in tempo a staccare dal lavoro che mi trovo già al volante per correre a portare la macchina dal meccanico; una legge idiota (come ce ne sono tante nel nostro paese bacato) mi obbliga a sostituire l’intero serbatoio del GPL solo perchè il veicolo (e quindi l’impianto a gas che lo alimenta) ha raggiunto il decimo anno di vita. 550 euro che avrei potuto dedicare ai viaggi e che invece devo bruciare in questo modo. Forse sono stupido io, ma le cose si cambiano quando si rompono e non quando funzionano ancora. Con il culo girato per questo ennesimo furto legalizzato mi reco all’aeroporto di Ciampino con i mezzi pubblici come sempre e mi trovo all’interno del Terminal col solito congruo anticipo. Anche qui la gente ci mette del proprio per scassare le palle: un addetto troppo scrupoloso mi fa togliere le scarpe ai controlli di sicurezza, cosa che succede una volta su cento perchè indosso sempre calzature che non superano la caviglia. Come se non bastasse, il metal detector si mette a suonare al mio passaggio e mi sceglie come vittima a caso per un check supplementare, perchè addosso non ho nulla di minimamente sospettoso. Già questi avvertimenti avrebbero dovuto mettermi in guardia sul proseguimento del fine settimana, ma non ho il dono della veggenza e quindi non ci faccio troppo caso. Alla fine riesco a salire a bordo del velivolo diretto a Dublino e mi sparo la mia dormita mega-galattica fin quando non tocchiamo terra in Irlanda. Conosco già questo aeroporto per esserci stato quindici giorni fa, per cui vado dritto al McDonald e mangio un menù per cena seguito da un tentativo di sonno in loco con le classiche difficoltà che dà un giaciglio composto da una sedia e da un tavolino dove appoggiarmi parzialmente.
Sabato mattina: La sveglia suona alle 4:50; appena mi riprendo vado a fare i controlli per un secondo volo previsto in partenza per le 6:30 che mi condurrà a Bristol. Tutto è talmente puntuale che arrivo a destinazione alle 7:50; guardo subito che tempo fa e vedo una giornata uggiosa ma al momento senza pioggia. Devo aspettare un’ora, per cui mi metto a sedere a pochissima distanza dall’uscita dell’aerostazione nell’attesa che passi il tempo dovuto. Alle 8:40 arriva il bus della compagnia “Falcon”, consociata con il mio amatissimo Megabus. Salgo a bordo e mi scelgo un posto a casaccio, visto che questo è il capolinea della corsa e che siamo in pochissimi per ora. La tratta dura un’ora e quaranta minuti durante i quali le condizioni inerenti la comodità non cambiano, per cui mi tengo stretti i due posti occupati fin dall’inizio per stare più largo possibile. Alle 10:30 e dopo tutte queste peripezie inizia realmente il mio tour: la fermata dove scendo si trova nel comune di Exeter (contea del Devon). Ovviamente sono conscio della prima difficoltà che mi aspetta perchè già sapevo che il pullman mi avrebbe scaricato nei pressi di un parcheggio scambiatore ubicato a ben 3,5 kilometri dal centro della cittadina. Ci sarebbe un servizio pubblico locale che mi porterebbe dove devo andare in pochi minuti, ma regalare 3 sterline per un pezzo di strada tanto breve mi scoccia, così muovo le gambe nella giusta direzione ed inizio a camminare. In poco più di trenta minuti (dopo aver visto una marea di bellissime case a schiera ed un numero imprecisato di “charity shops”) riesco ad inquadrare nell’obiettivo della reflex i primi punti di interesse segnati sulla mia mappa: sto parlando del “Voice of Heavitree Arch” (da notare dove quel bastardo del titolare del negozio ubicato subito dopo l’angolo ha piazzato una sottospecie di cartello pubblicitario…), la “Heavitree United Reformed Church” e la “Blessed Sacrament Church”.
La mia attenzione viene poi rapita dal St. Luke’s Campus dell’Università di Exeter; si sa che le facoltà britanniche sono dei veri e propri gioielli e questo non è da meno. Mi dispiace di non poter portare con me una foto dell’edificio perchè, nonostante le mie prove, il risultato sarebbe stato pessimo a causa del rapporto insufficiente tra dimensioni della struttura (enormi) e spazio a mia disposizione (poco). Questo discorso fortunatamente non vale per la “St. Matt’s Church” ubicata a breve distanza.
Proseguo la mia passeggiata incontrando chiese erette per ogni stupidaggine, come in tutte le altre località di questa nazione visitate fino ad ora; non riuscirò mai a capire il motivo per cui in Gran Bretagna ci debbano essere così tante varianti di culto che non hanno nè capo nè coda. Un esempio tra i tantissimi è la qui presente “Christ Church” che appartiene alla Free Church of England, ovvero una branca della chiesa d’Inghilterra che si è scissa dalla casa madre. E la cosa folle è che ognuna di queste insignificanti organizzazioni ha dei fedeli/adepti/seguaci; per chi è ateo come me è davvero difficile riuscire a comprendere certe dinamiche; già non credo alla versione ufficiale, figuriamoci ai derivati. Arrivo davanti alla “Orthodox Church Prophet Elias” che sembra tutto tranne che una chiesa ortodossa. Neanche duecento metri mi separano dalla cattedrale sportiva locale, ovvero la casa del club calcistico dell’Exeter City. Sarò anche fissato (e non lo metto in dubbio), ma provo anche qui a trovare un pertugio per entrare a dare almeno una sbirciatina all’interno. Stavolta ci riesco attraverso una porta di servizio perdendomi per una decina di minuti ad osservare i maniacali dettagli che vengono dedicati ad una società che attualmente milita nella League Two, ovvero la quarta serie inglese. Quest’anno le cose sembrano andare per il verso giusto perchè il team è secondo in classifica e molto vicino alla promozione, a meno di tracolli nel finale di stagione. Mi piacerebbe molto fermarmi a vedere la partita prevista per le 15:00, ma le 17 sterline necessarie per un ticket nella gradinata semplice mi frenano; col senno di poi ho fatto bene perchè il match finirà senza goals.
E’ il turno della “Exeter Central Mosque” e metto anche lei nella mia collezione dei ricordi. Il prossimo step è molto deludente perchè ho accesso ad un’area urbana dedicata allo shopping puro: centri commerciali moderni e negozi di qualsiasi tipo si trovano in ogni centimetro quadro, dentro tutte le gallerie presenti ed in qualsiasi direzione. C’è una marea di gente che gira avanti e indietro con buste di merce tra le mani; sembra come se tutti i 120.000 abitanti di Exeter si siano dati appuntamento qui ed è difficile trovare ciò che sto cercando perchè questo formicaio umano sta coprendo tutto; scattare foto è una mezza agonia perchè devo attendere anche interi minuti l’attimo buono nel quale il campo si libera dalle persone. Basta pensare che un’attrazione interessante e probabilmente la più particolare di questa località (sto parlando degli Underground Passages) ha il proprio ingresso dietro ad una minuscola porticina del piano terra di un palazzone interamente dedicato ad un mega-negozio di abbigliamento; se non ci si va di proposito non la si vede. L’esperienza appena citata si riferisce ad una visita di circa 25 minuti attraverso dei tunnels sotterranei scavati con l’intento di far convogliare in città dell’acqua proveniente da sorgenti ubicate fuori dall’antica cinta muraria; il tutto è preceduto da una serie di filmati interattivi ed ha un costo di 7 sterline per gli adulti.
Prendo High Street e svolto subito a sinistra verso quella che prende il nome di Roman Walk, ovvero un breve tratto di strada che costeggia ciò che resta delle antiche mura. Cerco per dovere di cronaca e per curiosità personale il “Blue Boy” (una statua in ghisa raffigurante un ragazzo blu realizzata come copia dell’originale scolpito da John Weston nek 1733) ma non riesco a vederla a causa della marmaglia che vaga in ogni dove. Trovo però agevolmente il “Blitz Memorial”: è un monumento eretto in ricordo della cosiddetta Notte del Blitz avvenuta tra il 4 ed il 5 maggio del 1942; in quella data i tedeschi sganciarono oltre 10.000 bombe e 75 tonnellate di esplosivo su Exeter distruggendo ciò che trovarono a tiro, tra cui ben 1.400 case. Torno così sulla strada principale dove noto la “Riddle Sculpture”, la “St. Stephen’s Church” ed un bellissimo dipinto murale che fa la sua degna figura.
Svolto nuovamente a sinistra e, a proposito di bombardamenti, ecco un altro esempio classico in terra britannica: una chiesa semidistrutta e mai ricostruita. In questo caso mi riferisco alla “St. Catherine’s Chapel”. La vicinissima “St. Martin’s Church” sarebbe anche carina, ma assolutamente non immortalabile perchè ubicata proprio in faccia ad altre costruzioni. Pochi passi ancora e, dopo la candida “Statua per Richard Hooker” (teologo e presbitero inglese nato proprio qui), ho modo di osservare l’imponente Cattedrale di Exeter da diverse angolazioni.
Il mio percorso a zig-zag mi riconduce su High Street dove osservo la stranissima “St. Petrock’s Church”. Sono poi costretto ad entrare nel Guidehall Shopping Center perchè la piccola “St. Pancras Church” sta buona buona nel mezzo di una piazza ubicata all’interno del centro commerciale. La foto che segue è scattata da posizione obbligata perchè dalla parte opposta dell’edificio religioso ci sono dei venditori ambulanti di hot dogs e roba simile che appestano l’aria con i fumi provenienti dalle griglie.
Mi affaccio in strada dalla parte opposta dalla quale sono entrato e mi ritrovo a pochissimi passi dal palazzo che ospita il “Royal Albert Memorial Museum”; imboccando una viuzza alla sua destra osservo “l’Exeter Phoenix”, ovvero una specie di teatro e sala concerti. Salendo poche scalette vengo invitato nei Rougemont Gardens, un’area verde di medie dimensioni che non ha niente di particolare tranne la presenza di un numero imprecisato di magnifici scoiattoli dal pelo grigio che si divertono a correre in ogni dove e sopra qualsiasi albero; basta alzare la testa per vedere lo spettacolo che combinano. Sul lato opposto dei giardini è presente ciò che rimane dell’antico Castello di Exeter, oggi in totale rovina; ma a neanche cinquanta metri da lui c’è un cancello chiuso che dà l’accesso all’area del Nuovo Castello.
Faccio il giro dell’isolato alla mia destra e supero l’entrata dei “Northernhay Gardens”; sono stupito di ciò perchè poco prima avevo letto un cartello che avvertiva della loro chiusura causa lavori, ma ci ho voluto provare lo stesso e la mia tenacia ha avuto ragione. Anche qui la cura maniacale dei dettagli sommata all’incredibile pratino inglese rendono l’ambiente positivo. La statua chiamata “The Deer Stalker” fa le veci di un portiere di condominio e mi dà il benvenuto nell’area; alla mia sinistra c’è “l’omaggio a William Courtenay” (l’undicesimo Conte del Devon). Poi è il turno del “Monumento per Stafford Henry Northcote” (primo conte di Iddesleigh) seguito dal “Northernhay War Memorial” e dalla “Scultura per John Dinham” (filantropo locale).
Una volta fuori anche da questo luogo svolto a destra superando la stazione centrale locale; ho tre obiettivi che raggiungo senza particolare difficoltà e sono la “Mile’s Clocktower” (al centro di una piccola rotonda stradale), la “Statua Equestre del Generale Redvers Buller” e la “St. Davids’s Church” con annesso cimitero, come spesso avviene da queste parti.
Riprendo la passeggiata per arrivare ad un punto di interesse che potrebbe sembrare di poco conto, ma che per gli abitanti del luogo ha la sua importanza: “l’Iron Bridge” si chiama così non per caso, in quanto è stato costruito totalmente in ghisa nel lontano 1834 ed è ancora qui con noi vivo, vegeto ed in ottima salute. Una nuova deviazione mi porta nei pressi della bella “St. Michael’s and All Angels Church”, ma la sua posizione disgraziata non mi permette una foto come si deve. Eppure ne faccio di tentativi…addirittura infilandomi dentro il cortile di un’abitazione privata in cui noto il proprietario che mi guarda dalla finestra quando è ormai troppo tardi ed il danno è fatto; non posso fare altro che salutare sperando che non tiri fuori una lupara o qualcosa del genere, ma se sono qui a scrivere significa che anche stavolta è andata. Una visione decisamente più completa della chiesa ce l’ho pochi minuti dopo, quando cambio zona arrivando in Bartholomew Street West.
Vado avanti spedito imbattendomi nella “St. Mary Arches Church” e, dopo aver girato l’angolo verso la mia destra, nella piccola “St. Olave’s Church”. Faccio un salto veloce anche all’antico monastero che prende il nome di “St. Nicholas Priory”, dato che mi trovo in zona. Prima di passare a qualcosa di completamente diverso osservo anche la “Sacred Heart Church” ed un particolare costruzione (ovviamente fuori da ogni mappa) che ospita uno di quegli stupidi clubs per chissà quali “gentlemen o gentlewomen” molto in voga a queste latitudini.
Attraverso un ponticello pedonale utile per passare da un lato all’altro di una carreggiata molto trafficata e pericolosa per poi iniziare una discesa niente male verso la parte di Exeter che più mi interessa, ovvero quella chiamata “Quay”. Lungo le sponde del fiume “Exe” si snoda la zona dell’antico porto e, una volta li, la musica cambia. E’ vero che trovo lo stesso negozietti e localini dove mangiare e passare un po’ di tempo in compagnia, ma la cosa è fatta ad arte e soprattutto totalmente non invasiva come invece avviene nel centro moderno della cittadina; lì è un vero delirio commerciale. Mi accoglie il “Palazzo della Dogana” con tanto di cannoni piazzati davanti, oltre ad una bellissima vista sul corso d’acqua.
Seguendo il percorso pedonale faccio una deviazione a sinistra per vedere la “St. Leonard’s Church”; ho due sorprese, una buona e l’altra cattiva: quella positiva è l’incontro con una meravigliosa gattina dal manto corto bianco e nero (poverina…non è colpa sua se è nata con questa orribile accoppiata cromatica, ma se non sbaglio tutti oggi ci insegnano a non discriminare il prossimo per il colore del pelo…) che pretende coccole a non finire, una sorta di pedaggio da pagare perchè sono entrato nella sua proprietà. Quella meno buona è che la chiesa è stata costruita alla rovescia, cioè con la facciata dalla parte non fotografabile e con le terga che invece sono in bella vista sul parcheggio. Quando architetti ed ingegneri fanno un party a base di alchol prima di buttare giù i progetti succede proprio questo. Testardo come sempre provo lo stesso a fare tutto il giro dell’edificio religioso, ma stavolta non ottengo niente di nuovo; l’unica novità è che quando ricompaio alla vista della gattina la vedo correre nella mia direzione per una nuova razione di carezze. Se anche le persone fossero come questi animaletti sarebbe un mondo decisamente migliore, peccato che siamo lontani anni luce da ciò e che la situazione sia totalmente irrimediabile. Torno indietro e finisco l’esplorazione del “Quay” fermandomi dove il fiume genera una mini-rapida e poi inverto la marcia.
Il prossimo passo è la visita a ciò che resta di un antico ponte medievale, ma quando lo raggiungo vedo che non è niente di interessante; cosa diversa è per la costruzione che prende il nome di “The House that Moved”: è un’antica casa a graticcio (pare che risalga addirittura al 1450 ma di questo non si ha certezza) che nel corso degli anni è stata spostata di netto a seguito di un progetto di riqualificazione dell’area nella quale si trovava originariamente che non la comprendeva più. Dato che si tratta di un edificio “elencato” (cioè da preservare) non fu abbattuta ma riposizionata trasportandola come si fa con gli oggetti. Oggi è occupata da un negozio che vende abiti da sposa, ma la sua storia ha dell’incredibile. Di fronte ad essa c’è la “St. Mary Steps Church”.
Cambio zona e raggiungo la stazione di St. Thomas; qui, all’interno di un passaggio pedonale ubicato sotto ad un ponte, c’è il “Mosaico dei Piccioni di St. Thomas” che non manco di immortalare. Più avanti è la volta prima della “St. Thomas the Apostole Church” e poi della “St. Thomas Methodist Church”.
Come si può vedere dall’ultimo scatto pubblicato, sta calando la sera. Non posso dire che stia tramontando il sole perchè oggi non l’ho praticamente mai visto. Ho finito le cose segnate sulla mia mappa ed ho del tempo a disposizione per vagare senza meta per la cittadina, cosa che mi piace molto. Non me lo lascio ripetere due volte e vado, anche se il mio passo viene rallentato dalla classica pioggerellina inglese che inizia a cadere dal cielo anche se il meteo non l’aveva prevista. E’ così che porto con me anche la vista del “Quay” in notturna seguita dalla Cattedrale.
Poi…come per magia…la gente che affollava il centro non c’è quasi più e ciò mi permette di vedere com’è fatta realmente la zona moderna della città. Ho così modo di girarmela un po’ meglio nonostante sia ormai buio e, udite udite, riesco a trovare sia la “Statua del Blue Boy” che la scultura in cemento chiamata “Year of the Pedestrian” (peccato solo che si trovi davanti all’insegna di una farmacia talmente luminosa da sembrare alimentata a plutonio…). Concludo totalmente il giro con la vista della “Southernay URC Church”.
Non mi resta altro da fare che prelevare qualche sterlina da un bancomat usando la mia carta Revolut; il primo tentativo va a vuoto perchè la banca vuole addebitarmi 3,90 pounds di commissioni, così la mando a quel paese col gesto dell’ombrello non virtuale ed annullo l’operazione. La banca successiva invece è magnanima e mi da i soldi senza pretendere nulla. Mi metto alla fermata ed aspetto il mio amato Megabus che passa puntualissimo con direzione Plymouth. Dentro fa un caldo celestiale e mi riprendo un po’ dopo il fresco/freddo patito durante la giornata. Il viaggio dura un’ora e venti minuti e vengo lasciato all’autostazione locale. Con il portafogli pieno della valuta che mi serve mi dirigo ad un Tesco per comprare la solita cena che consumerò in stanza ed è andando lì che vedo una coppia di amiche vagare per strada vestite rispettivamente con un top nero, pancia scoperta, minigonna senza calze e tacco medio mentre io ho almeno tre strati di pile addosso; beate loro. Alle 21:50 suono il campanello dell’appartamento prenotato su Airbnb che mi accoglierà per la notte e, dopo la solita solfa iniziale, riesco a congedarmi ed a chiudermi in camera dove ceno davanti al mio amico calcio manageriale prima di coricarmi e riposare.
Prima di iniziare il racconto della nuova giornata ci tengo a dire che in fase di preparazione del viaggio avevo chiesto al destino (pure con voce bassa e sommessa, quindi senza pretendere nulla) la cortesia di farmi trovare almeno oggi un meteo non avverso; andiamo e vediamo. Domenica mattina: la sveglia suona alle 7:30 ed ho grandissimi programmi studiati da casa; è questo il giorno più lungo della mia uscita inglese e sono pronto e carico. Alle 8:00 in punto saluto la padrona di casa ed esco con tutta la mia roba sulle spalle, come di consuetudine. Il cielo è terso, ma non piove. Imposto il navigatore puntando il molo di imbarco della compagnia Cremyll Ferry che raggiungo con largo anticipo non mancando di notare che si tratta di un attracco molto ma molto spartano nella zona portuale di Plymouth. Alle 8:45 parte puntuale la barchetta (perchè chiamarlo traghetto sarebbe una bestemmia) che in otto minuti netti ed al costo di due sterline a tratta conduce al “Mount Edgcumbe Park”. Siamo ben sei persone a bordo e per me è un numero importante: a quest’ora di un giorno festivo dell’ultimo week-end di gennaio credevo di poter essere tranquillamente da solo ed invece è bello condividere del tempo con altri pazzi scatenati. Che qualcosa stia per andare storto lo avrei dovuto capire sin da subito: appena metto piede sulla terraferma inizia a cadere qualche goccia di poggia. Decido però di non farci caso e mi metto in cammino verso i miei obiettivi; la passeggiata inizia su una strada asfaltata in salita che attraversa un’area verdissima. Ci metto pochissimo a scorgere la “Mount Edgcumbe House”, un antico maniero reso appetibile per la visita dei turisti. Dopo un rapido giro dei dintorni torno sulla via precedente e ci metto un attimo a trovare lo “Sheep Park” che, in rispetto del suo nome, ospita tantissime pecore al pascolo.
Dopo circa 500 metri prendo un sentiero sulla sinistra, anch’esso in salita. Un cancello chiude un’area completamente recintata e già si stanno preparando nella mia mente le migliori madonne da poter sparare tutte d’un fiato perchè temo il fatto che qualche pezzo di merda abbia comprato la zona vietando il passaggio. Devo però rimettere le madonne al loro posto perchè un cartello recita che si può passare a patto di richiudere l’accesso una volta entrati ed è proprio così che faccio. Dopo aver camminato per centinaia di metri su sola erba mi ritrovo di fronte alla “Church of St. Mary and St. Julian”.
Mi rimetto in moto e, quasi giunto a metà del percorso ed in un luogo con totale assenza di riparo, le precipitazioni mutano drasticamente da lievi a molto intense. Le scelte che ho sono due: la prima è tornare indietro bagnato fradicio senza avere visto nient’altro, mentre la seconda è arrivare al prossimo punto di interesse sempre bagnato fradicio, ma almeno con qualcosa in più nel mio album dei ricordi. Sperando che la tormenta duri poco opto per la soluzione numero due, così vado avanti. Nonostante io sia coperto da un k-way e che anche il mio zaino ne abbia uno tutto suo, l’acqua che continua a scendere mi inzuppa la parte bassa dei pantaloni, quella non coperta dall’impermeabile. In pochi minuti mi sento uno straccio umano impregnato d’acqua all’inverosimile e stavolta le madonne non le trattengo più. Qui sarei nel punto più alto del Mount Edgcumbe e potrei godere di viste meravigliose sulle spiagge di questa parte della penisola di Cornovaglia, ma l’unica cosa che vedo è foschia e pioggia battente che scende giù dal cielo. Alla fine riesco ad arrivare dove volevo ed esattamente al villaggio di Cawsand; una volta lì maledico ancora di più la sfortuna perchè il piccolo agglomerato urbano appare ai miei occhi come una bomboniera per quanto è carino e curato…e se lo è in queste condizioni atroci figuriamoci cosa sarebbe stato con qualche timido raggio di sole qua e là. Con la velocità di una saetta prendo la reflex da dentro lo zaino e provo a scattare quelle poche immagini rappresentative del posto, preoccupandomi di riporre la macchina fotografica prima possibile per non farla bagnare in maniera eccessiva. E’ così che ho la testimonianza della “Cawsand Church” che affaccia sull’omonima spiaggia.
Esiste un detto che recita testualmente così: le disgrazie non vengono mai sole. Spesso non faccio caso a questo genere di frasi perchè non credo si possa generalizzare tutto…però questa volta gli devo dare ragione. Infatti, quando dò un’occhiata al cellulare per capire che ore sono, noto che è letteralmente impazzito. Qualche goccia deve essere entrata al suo interno mettendo a rischio i circuiti. Per prima cosa cerco un tettuccio dove ripararmi almeno parzialmente; una volta lì spengo il telefono, lo apro, estraggo la batteria e cerco in qualche modo di asciugare tutte le parti bagnate visibili per poi riporlo ancora smontato in una tasca interna evitandogli il contatto con altra acqua. Con condizioni meteo normali sarei andato avanti raggiungendo un altro punto panoramico, ma adesso l’unica cosa che posso fare è tornare al molo prima possibile e raggiungere Plymouth sperando che durante il tempo a venire si plachi la pioggia. Dunque, sono senza smartphone e quindi senza mappe e senza navigatore; fortuna vuole che io abbia un senso dell’orientamento molto marcato e per questo è un gioco da ragazzi ritrovare la via del ritorno anche senza aiuti. Una volta superata la chiesa rientro nell’area verde chiusa dal cancello, solo che stavolta la trovo colma d’acqua piovana ed un passo in un punto sbagliato del percorso mi fa andare una marea di terra rossa sulle due gambe degli unici pantaloni che ho con me: dal ginocchio in giù sono sporco peggio di un barbone. Cerco di non perdermi d’animo (anche se continuo a smadonnare…) ed arrivo quasi al punto di imbarco; mancano centro metri al massimo quando scorgo un piccolo bar nel quale entro e compro due bottigliette d’acqua naturale da mezzo litro cadauna. Capisco gli occhi della barista che mi guarda tra il sospettoso e lo schifato e le spiego che ciò che sto acquistando non mi servirà per bere, ma per pulire i pantaloni dal fango. Una volta fuori faccio ciò che devo ed il mio abbigliamento torna come era prima, dato che la terra non aveva avuto il tempo di seccarsi a causa della pioggia incessante. Risolto questo problema mi metto ad attendere la barca della Cremyll Ferry che parte alle 11:30 e che mi riporta a Plymouth alla 11:38. Le precipitazioni continuano a scendere e non mi resta altra scelta che saltare di netto la visita della località che mi ospita per dedicarmi alla terza attività prevista per oggi, ovvero l’escursione sul treno panoramico che percorre la Valle del Tamar. Per fare ciò devo raggiungere la stazione, ma sono senza cellulare e quindi senza navigatore. Stavolta la strada non la conosco affatto, però provo ad improvvisare e seguendo alcuni cartelli stradali arrivo a destinazione alle 12:10. Qui c’è un altro problema: i biglietti di andata e ritorno pre-acquistati da casa li ho solo su App, per cui mando a quel paese gli ambientalisti convinti perchè se li avessi avuti su carta COME PIACE A ME non mi troverei in difficoltà. Vado alla biglietteria e spiego l’accaduto, ma per darmi un ticket stampato occorre comunque il numero di prenotazione. Prendo il tablet dallo zaino, mi collego alla casella e-mail e recupero quel codice, così ottengo i miei biglietti. Anche se ce l’ho, non mi sogno neanche un po’ di usare il tablet come navigatore perchè non posso permettermi che faccia la stessa fine del telefono, così lo ripongo. Il viaggio di andata nella Valle del Tamar lo avrò alle 13:00, per cui mi metto seduto in sala d’attesa con i pantaloni bagnati fradici che mi fanno sentire un freddo da non raccomandare a nessuno. All’orario convenuto salgo sul piccolo convoglio e mi scelgo un posto; l’ambiente è tiepido ma non caldo, così la mia speranza di veder almeno iniziare ad asciugare i miei abiti naufraga prima ancora di salpare. Fortunatamente mi distrae il panorama che si vede fuori dal finestrino che è davvero degno di nota. Ricordo soprattutto il passaggio dalla cittadina di Keyham: l’immagine di centinaia di casette tutte uguali una accanto all’altra con i tetti color grigio scuro mi dà l’idea di una cartolina; solo questi quindici secondi valgono il prezzo dei biglietti di andata e ritorno. Il resto delle stazioni è qualcosa di molto carino poichè sono tutte incastonate in mezzo alla natura che le circonda proprio come la gemma di un anello. Dopo poco più di una mezz’oretta scendo a Calstock dove ho una quarantina di minuti a disposizione per vedere l’attrazione locale, ovvero il Viadotto Ferroviario sul fiume Tamar. Ma camminando per le strette viuzze mi rendo conto che anche questa località, così come la precedente Cawsand, è una bomboniera curata nei minimi dettagli; un posto degno di una favola.
Rientrando verso la stazioncina ho giusto il tempo di osservare un edificio che sembra una chiesa, ma che non lo è più essendo stato convertito per ospitare il “Calstock Arts”, un centro culturale dove si alternano un po’ tutte le arti. Alle 14:09 passa il convoglio del ritorno che mi fa apprezzare nuovamente la vista incredibile di Keyham; alle 14:50 scendo a Plymouth. Da ora in avanti avrò circa un’ora e mezzo a disposizione e, nonostante abbia smesso di piovere e stia addirittura uscendo il sole, devo capitolare decidendo di vagare senza meta perchè il tempo a mia disposizione è insufficiente per qualsiasi cosa, contando anche che che ho le mappe dei punti di interesse nel cellulare morto. La passeggiata che faccio mi fa rendere conto che questo posto, seppur non molto particolare a prima vista, merita senza dubbio una seconda occasione; andare via lasciandolo così per sempre mi dispiace, per cui ho già messo in conto che un giorno studierò un nuovo giro apposito che includa anche Plymouth. All’orario convenuto mi reco all’autostazione locale e prendo per la prima volta in vita mia il pullman della compagnia “National Express” delle 16:40 diretto a Bristol, città che già conosco molto bene per una visita passata (vedi post dedicato). Arrivo a destinazione alle 20:10 e corro immediatamente al Tesco più vicino per acquistare qualcosa per la cena. Ho freddo, sono stanco, deluso ed incazzato nero per la giornata buttata…però so anche che ho un po’ di luce davanti a me nonostante sia già buio pesto: oggi non avrò una stanza prenotata con Airbnb, bensì una camera d’albergo trovata ad ottimo prezzo. E’ la mia salvezza perchè, una volta li, mi permette di cenare in santa pace in un ambiente riscaldato, di asciugare tutti i miei vestiti che stendo per l’intera notte sui due termosifoni presenti e (incredibile) di far resuscitare il telefono dopo averlo esposto per almeno trenta minuti ai bollenti soffi di un phon. Certo…c’è una macchia di umido nella parte destra del display che non vuole saperne di andarsene, ma almeno funziona e mi permetterà domani di consultare le mappe durante la visita delle terza ed ultima località. Spaventato che l’incidente possa accadere di nuovo eseguo il check-in on-line dei due voli di ritorno previsti per lunedi pomeriggio e per martedi mattina e mando le carte di imbarco da stampare su carta all’e-mail della reception dell’albergo. Fatto questo segue una doccia bollente ed una partita al mia amico calcio manageriale prima di cadere in un sonno profondo.
Lunedi mattina: la sveglia suona alle 6:10 sia perchè avrò il treno per la località da visitare oggi alle 8:00 e disto circa due kilometri e mezzo dalla stazione di Bristol Temple Meads, ma anche perchè devo avere il tempo materiale di ricomporre il mio zaino di tutte le cose messe ad asciugare qualche ora fa. Alle 6:45 scendo in reception, riconsegno la chiave elettronica della stanza, ritiro le carte di imbarco e mi incammino seguendo le indicazioni del navigatore del telefono. Anche stavolta giungo a destinazione con largo anticipo, così passo il tempo ad ascoltare un inserviente di colore che canta una canzone assolutamente non adatta al suo vocione mentre ramazza il pavimento. Quando esce l’informazione che sto aspettando mi dirigo al binario numero sette superando i tornelli grazie al biglietto elettronico che ieri stava per negarmi anche la possibilità del giro nella Valle del Tamar. Il mio treno ha come destinazione finale Londra, ma scendo dopo soli undici minuti nella località di Bath, famosa perchè ha gli unici stabilimenti termali di tutta la Gran Bretagna. A dire il vero il pensierino di usufruire di questa rilassante possibilità lo avrei anche fatto in fase di studio del programma di viaggio, ma quando ho letto che il ticket di ingresso costa 42 sterline per due ore di permanenza massima ho subito rimesso l’idea nel cassetto. Comunque non ci sono solo le terme: l’intera cittadina è iscritta nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dal 1987 ed il suo centro storico è stato completamente ricostruito nel XVIII° secolo in stile georgiano utilizzando la cosiddetta Pietra di Bath caratterizzata da un colore caldo. Quando metto piede in strada c’è esattamente il meteo che avrei sognato per la giornata di ieri, ovvero un timido sole che spunta dalla solita coltre di nuvole tipiche dei paesaggi inglesi. Il primo punto di interesse che vedo è stato il più difficile da localizzare sulla mappa redatta a casa: il “St. James Viaduct” (che affaccia sul fiume Avon) è uno storico passaggio ferroviario che ha il punto di massimo splendore proprio dietro alla stazione centrale di Bath.
Già che mi trovo qui decido di dirigermi verso la zona più alta della città (Alexandra Park) dalla quale si gode una vista magnifica dell’area urbana. Una cosa la voglio precisare: la salita, fatta sia di strada in pendenza che di gradoni, è abbastanza/molto faticosa…quindi chi volesse andarci farà bene ad esserne preparato. Scendere è ovviamente più semplice, ma occorre fare attenzione a non scivolare. Proprio durante la discesa faccio una deviazione alla mia sinistra per vedere quella che era una chiesa e che oggi è invece il “St. Mark’s Community Center”.
Riattraverso il fiume ed inizio il setaccio vero e proprio della località che mi ospita dal “The Forum”, uno storico teatro. Cercando di seguire il più possibile un giro logico che mi sono piazzato in testa, mi sposto fin davanti alla “Manvers Street Baptist Church” seguita a breve distanza dalla “St. John the Evangelist’s Church”.
Poche decine di metri e, su Terrace Walk, osservo la “The Mineral Water Fountain”. Alla sua destra si estende il “Parade Gardens”, un parco che prevede un ticket di ingresso di due sterline per persona; calcolando che è interamente visibile dall’esterno e che non ha niente di particolare al suo interno se non aiuole curatissime, non capisco che senso abbia questa inutile gabella. Mi limito a fotografare ciò che è più degno (poca roba, per la verità…) e mi tengo i soldi in tasca. Al di là del corso d’acqua cittadino scorgo lo stadio di quello sport noioso che è il rugby, qui adorato ed idolatrato. Dalla zona in cui mi trovo è facilissimo ammirare il suggestivo colpo d’occhio offerto dal fiume Avon che transita nella zona del “Pulteney Bridge”. Vedere per credere.
Mi attende la piazza chiamata “Abbey Churchyard” dove si trova la facciata dell’Abbazia di Bath e l’ingresso delle famose “Terme Romane di Bath”. Segue poi l’edificio che ospita la “Guidehall” ed ancora la “Victoria Art Gallery”. Poche decine di metri a piedi ed ecco comparire altre due attrazioni, una vicina all’altra: sto parlando della bella “St. Michael’s Church” e del locale “Postal Museum”.
La passeggiata prosegue nella medesima direzione: la “Hay Hill Baptist Church” è carina, ma l’edificio che ospita il “Museum of Bath Architecture” è deludentissimo. Fortunatamente mi rifaccio gli occhi con la successiva “St. Swithin’s Church”, anche se non è poi tutta questa bellezza. Indovinate un po’? E’ giunto il momento di salire altre scale…e facendolo passo accanto ad un nuovo giardino che, come il precedente, non ha niente di particolare al suo interno. Il primo obiettivo dopo la nuova fatica è vedere la “Christ Church”.
Mi rimetto in moto, cerco e trovo “l’Admiral Arthur Phillip Memorial Globe” che fa da apripista all’edificio che ospita le “Bath Assembly Rooms”; sono delle antiche sale riunioni (il progetto risale al 1769) oggi aperte ai visitatori. Un tempo hanno avuto frequentatori abituali del calibro di Jane Austen e Charles Dickens…mica pizza e fichi. Udite udite: all’interno del medesimo palazzo c’è anche il Museo della Moda (sul quale metterei un timbro virtuale con su scritto “…e chi se ne frega?”).
Prendo ora Bennet Street e dopo poco mi trovo all’interno del “The Circus”; con questo nome è indicata una piazza quasi completamente chiusa che ha al centro una rotonda verde con pratino ed alberi, mentre l’intero perimetro circolare è formato da bellissimi edifici intervallati solo da tre strade . Dato che non dispongo di mezzi potentissimi mi è un po’ difficile, per non dire del tutto impossibile, scattare una foto unica che comprenda tutto quanto. Per tale ragione pubblico l’immagine di uno dei tre blocchi che compongono questo particolare spazio. So bene che serve parecchia immaginazione, ma la scelta è tra accettare ciò o attaccarsi al tram…
Mi sposto nella zona del Royal Victoria Park, ovvero un’area verde di grandi dimensioni che intendo visitare il più possibile. La prima immagine che regala questo posto è il “Royal Crescent”, un edificio semicircolare che ricorda vagamente il precedente “The Circus”. Il complesso è talmente grande che, nonostante il mio scatto venga preso da una distanza notevole, non entra completamente nell’obiettivo della mia reflex.
Poche centinaia di metri e varco la soglia ufficiale del Royal Victoria Park dove posso osservare il “Queen Victoria Obelisk”; come per le altre zone simili di Bath viste fino ad ora, anche qui non c’è molto oltre alle aiuole maniacalmente mantenute, tranne un piccolo laghetto con dentro oche e germani ed un Giardino Botanico.
Inverto totalmente la marcia fino a raggiungere il lato opposto del parco con l’obiettivo di trovare quella che, a detta di molti, è una chicca; sto parlando del “Georgian Garden” che, per dirla in maniera brutale ma assolutamente veritiera, è grande come uno sputo ed altrettanto interessante; ma cosa ci si trova di bello in una cosa del genere…mi domando io? Cerco di dimenticare in fretta e di passare al prossimo punto di interesse che è il “Jane Austen Center”, ovvero una mostra permanente incentrata sul periodo in cui la famosa scrittrice visse a Bath. A pochi passi osservo Queen Square che ha la suo centro il “Prince of Wales Monument”. Nonostante l’accesso all’interno della piazza sia attualmente interdetto causa lavori ci vedo due turisti intenti a scattarsi fotografie che se ne stra-fregano del divieto.
Mentre mi sposto verso il “Theatre Royal” mi fermo ad osservare e ad immortalare i caratteristici tetti delle abitazioni di Bath; non ricordo di averne visti di simili prima d’ora, ma magari mi sbaglio. Questi mi colpiscono perchè sono praticamente tutti fatti nel medesimo modo. Il prossimo spostamento è nella zona degli stabilimenti termali della città e ne incrocio più di uno lungo la mia strada (due esempi storici sono il “The Cross” ed il “Kings and Queens Bath”); intravedo anche quelli già conosciuti on-line per l’esoso ticket richiesto per sole due ore di permanenza; riconoscerli è facile perchè hanno anche una piscina sul tetto del palazzo che li ospita e dal piano strada si nota chiaramente la sua presenza.
Cambio decisamente zona e mi avvio verso la conclusione della visita. L’Henrietta Park è un po’ come tutto il resto delle aree verdi di questa località, ovvero tante aiuole perfette ma praticamente niente di interessante; qui c’è uno spazio che prende il nome di Garden of Remembrance ma rasenta il ridicolo per la troppa semplicità. La prossima tappa è ciò che rimane della “St. Mary’s Church” perchè anch’essa fu colpita durante la seconda guerra mondiale e mai ricostruita; particolare interessante è un ricco ed antico cimitero che gira a 360 gradi intorno al piccolo edificio religioso. Poche decine di metri più avanti ecco la “St. John’s Church”, stavolta ben più curata e addirittura oggetto di lavori di ristrutturazione.
Cammino ancora e raggiungo i Sydney Gardens; la solfa è la stessa, cioè tanti spazi verdi e nulla più. Qui però è possibile vedere l’edificio che ospita il “The Holbourne Museum” ed è un piacere per gli occhi. Poi ho di fronte la “St. Mary’s Church” che stranamente ha lo stesso nome di quella mai ricostruita della quale ho appena parlato. Sinceramente non so dire se questa qui sia la nuova versione di quella là, ma intanto la porto nel mio album dei ricordi. Raggiungo poi un sentiero pedonale messo abbastanza male: il fondo è completamente terroso e quindi pieno di fango a causa delle recenti piogge, la cui acqua non è ancora stata assorbita dal terreno. Stando attentissimo a non ripetere il patatrac di ieri quando mi sono sporcato tutti i pantaloni con un solo passo sbagliato, percorro un buon tratto che segue un lungo canale (a volte navigabile) caratterizzato da diverse chiuse. Infine, dopo aver tentato in mille modi di fotografare la St. Matt’s Church sono costretto a capitolare a causa della sua posizione disgraziata. Compenso però col simpatico ornamento di un edificio che rappresenta molto fedelmente una guardia britannica. Ovviamente questo coso non ha alcun valore nè storico nè artistico, però mi piace e ciò è sufficiente per un click.
Adesso è davvero tutto per la cittadina che mi ospita; ho ancora tempo e decido di spenderlo andando in centro a vagare senza meta come mio solito. Noto anche qui una marcata attività commerciale, ma è anche logico che sia così perchè il mondo va avanti; la cosa positiva è che non è estesa alla massima potenza come ad Exeter, bensì più in simbiosi con il contesto. Incredibile ma vero…alle 13:30 inizia a piovere anche oggi, per cui ancora memore del disastro di ieri decido di interrompere la mia passeggiata con trenta minuti di anticipo e torno in stazione; sinceramente non ho più intenzione di bagnarmi per questa volta, neanche minimamente. Alle 14:11 prendo il treno stabilito che mi riporta a Bristol Temple Meads e, una volta lì, seguo il percorso verso la fermata del bus a marchio Falcon che mi riporterà all’aeroporto locale. Siccome questo week-end me ne ha propinate poche di disgrazie, ecco che il mezzo si presenta con oltre venti minuti di ritardo e che non permette l’accesso immediato ai passeggeri perchè l’autista deve prima pulire del vomito che qualcuno ha lasciato tra la terza e la quarta fila di sedili durante il servizio precedente. Alla fine partiamo trentacinque minuti oltre l’orario stabilito, ma questo perchè mi incazzo a dovere, altrimenti chissà: fremo per raggiungere lo scalo di Bristol in tempo per non perdere l’aereo mentre vedo quel coglione del guidatore fumarsi tranquillamente una sigaretta elettronica nonostante la puntualità sia andata a farsi benedire da tempo, così scendo a dirgliene quattro a muso duro e “per magia” il tizio sale mettendo in moto all’istante. Ma si può sapere oggi come avvengono le assunzioni? Serve il quoziente intellettivo di una piattola per lavorare perchè chi lo ha migliore viene scartato di netto??? Roba da non credere!!! Per strada ci si mette anche un discreto traffico a darmi qualche altro patema, ma sarà tutto non importante perchè entrando nel terminal scopro che il mio volo per Dublino partirà con oltre quaranta minuti di ritardo, quindi ce l’avrei fatta comunque. Il fatto è che non potevo saperlo. La brevissima tratta (45 minuti) scorre tranquilla ed in Irlanda mi piazzo su una sedia accanto ad una presa di corrente per portare avanti un po’ di doveri col mio mini computer, questo prima di cenare al McDonald locale ad un orario impensabile. La solita notte scomodissima mi accompagna al volo del martedi mattina alle 6:25 con destinazione Roma Ciampino; una bella dormita di circa due ore e mezzo ad alta quota mi rimette in sesto e mi dà la forza per affrontare una nuova e dura giornata piena di impegni che finiranno non prima di notte inoltrata. Nota di colore: una volta a casa accendo il piccolo portatile per recuperare le foto ed il monitor non funziona più. Dò un’occhiata e ci sono tracce di umidità ovunque che, memore dell’esperienza col cellulare, asciugo col phon ottenendo nuovamente un risultato positivo. Capisco che l’acqua è entrata fin dentro lo zaino nonostante l’impermeabile ad esso dedicato, per cui lo svuoto totalmente e metto a lavare tutti gli indumenti (umidi anche loro) concludendo l’opera piazzando tutti gli apparecchi elettronici sopra ai termosifoni (ovviamente con un leggero strato di stoffa a fare da divisore, altrimenti avrei fatto altri tipi di danni) per permettergli di ultimare il processo di asciugatura e non aver in futuro ulteriori scherzi da questa clamorosa esperienza. Però resta il fatto che ancora oggi non mi spiego come possa essere finita l’acqua nello zaino mentre era coperto dal suo impermeabile…
Conclusioni: assicuro che i miei giudizi sono reali e non influenzati dalla brutta esperienza patita dal punto di vista del meteo; Exeter in definitiva non mi è piaciuta. Ha i suoi punti di interesse e questo è innegabile, però la sola zona del porto fluviale antico e qualche edificio religioso non sono sufficienti a contrastare la vocazione prettamente commerciale di questa località che mi aspettavo migliore. Di Plymouth non posso dire nulla tranne il fatto che ci tornerò prima o poi per completare il lavoro che mi è stato negato da condizioni avverse; almeno il Mount Edgcumbe Park ed il giro lungo la Valle del Tamar mi hanno regalato due lampi di luce nel buio pesto di quella terribile giornata. Bath è l’unica vera ciliegina sulla torta di questo week-end lungo: a parere mio merita assolutamente una visita se si è da queste parti; è piccolina e basta poco più di una mezza giornata per fare le cose con calma, quindi va inserita in un itinerario più ampio. Però ha passato abbondantemente la prova.